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Quando si viaggia su strada è fondamentale verificare sempre che il veicolo sia in condizioni di sicurezza, per l’incolumità propria e dei passeggeri che si trasporta, a partire dagli pneumatici.

E se le gomme sono usurate e capita un incidente a causa della pioggia, non ci si può “aggrappare” alle condizioni meteo e al fenomeno dell’acquaplaning.

Ad essere estremamente chiara in merito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39744/19 depositata il 27 settembre 2019, con la quale ha definitivamente respinto le pretese in tal senso di un automobilista.

 

Incidente stradale causato dalla strada bagnata

La vicenda giudiziaria trae origine da un fatto tragico successo il 9 ottobre 2011 sulla Statale 100, nel territorio del comune di Mottola, in Puglia.

L’imputato stava guidando una Porche Carrera, che però, come sarebbe poi emerso, aveva gli pneumatici posteriori privi di battistrada regolamentare, pari a mm 1,60, e quelli anteriori solcati da crepature sui canali del battistrada. A bordo si trovavano altri tre passeggeri.

All’improvviso il conducente ha perso il controllo dell’auto in prossimità di una curva a destra, complice la visuale non libera ma soprattutto la sede stradale bagnata a causa della pioggia, e ha invaso la corsia opposta scontrandosi frontalmente con una Peugeot 3008 che sopraggiungeva nella direzione opposta e con a bordo altre tre persone.

In seguito all’impatto una passeggera della Porche è stata proiettata fuori dall’abitacolo ed è deceduta per le gravissime lesioni riportate, e anche le altre persone coinvolte hanno riportato lesioni pesanti.

 

Automobilista condannato, viaggiava con gli pneumatici usurati

Secondo la ricostruzione del giudice di prime cure del Tribunale di Taranto, peraltro condivisa anche dalla Corte d’appello di Lecce, sezione staccata di Taranto, il sinistro, in particolare lo sbandamento e i testacoda a sinistra, erano stati causati dalle condizioni deteriorate degli pneumatici posteriori e anteriori della Porche (come detto, privi di battistrada regolamentare e pressoché lisci, quelli posteriori, e con crepe e solchi, quelli anteriori), che, in presenza di un manto stradale bagnato dalla pioggia, nonostante la velocità moderata, avevano impedito l’aderenza al terreno.

Di qui la condanna, pronunciata il 7 giugno 2017, per il reato di omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale: responsabilità penale e condanna confermata anche in appello, sia pure con una riduzione della pena inflitta al conducente della Porche a quattro mesi di reclusione.

 

L’imputato si giustifica con l’aquaplaning

L’imputato però ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, in particolare, che nei motivi di appello era stata richiesta la rinnovazione istruttoria mediante l’espletamento di una perizia che consentisse di verificare ed accertare la dinamica del sinistro in relazione alla sua compatibilità con il fenomeno dell’acquaplaning: richiesta che la Corte territoriale aveva respinto.

Inoltre, a suo dire, sarebbe stato carente l’iter argomentativo della sentenza nella parte in cui riteneva provata la responsabilità dell’imputato escludendo la ricorrenza della causa di non punibilità della forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen. riconducibile allo stesso acquaplaning dovuto alla forte pioggia e alle cattive condizioni del manto stradale, fatto imprevisto imprevedibile e inevitabile.

Secondo la Cassazione, tuttavia, il ricorso è infondato. La Suprema Corte afferma che la sentenza impugnata “fornisce ampia e logica argomentazione del percorso valutativo adottato in sede di vaglio del materiale probatorio, costituito dai rilievi tecnici e fotografici effettuati nell’immediatezza del sinistro stradale, dalle testimonianze acquisite e dalle consulenze tecniche del PM e della difesa”.

Ma quel che qui interessa è soprattutto quanto gli Ermellini contro deducono circa la presunzione del “caso fortuito” legato all’acquaplaning.

Anche da questo punto di vista, la sentenza di appello appare ineccepibile in quanto la Corte territoriale, richiamando anche le argomentazioni del Giudice di primo grado, ha spiegato con dovizia di particolari le ragioni che l’hanno condotta a ritenere attendibile la consulenza del CT del PM e, quindi, provato il nesso di causalità tra il comportamento dell’impatto e l’incidente dall’esito mortale”.

 

Ruote lisce e conducente responsabile

Rispondendo ad ogni singolo rilievo difensivo, la Corte territoriale, aveva in effetti messo in luce come fosse stato considerato il possibile verificarsi di un fenomeno di aquaplaning dovuto alla pioggia, ipotesi che tuttavia veniva smentita dal fatto che la pioggia non era scrosciante, ma piovigginava, la struttura stradale era a “schiena d’asino” in discesa, con le acque che defluivano lateralmente nei canali di scolo, e che non vi erano pozzanghere.

In ogni caso, ribadisce la Cassazione, il fenomeno “non può aver avuto in nessun caso un’efficienza causale determinante al fine di escludere la responsabilità dell’automobilista: l’incidente si è infatti verificato a causa della condotta imprudente dell’imputato che viaggiava con le gomme posteriori lisce, in condizioni tali cioè da non consentire all’acqua piovana di defluire, e ciò è stato sufficiente, in relazione alla differenza di aderenza su strada tra le due ruote posteriori, a causare i testacoda”.

La pioggia ha reso inevitabile l’incidente atteso che il controllo del veicolo è divenuto praticamente impossibile.

In altre parole, l’incidente, anche secondo la Suprema Corte era “prevedibile ed evitabile dal conducente della Porche, che ha posto in esser un comportamento gravemente colposo procedendo con gli pneumatici posteriori in uno stato pericolosissimo, praticamente lisci, condizione che, in presenza del manto stradale bagnato, in quanto piovigginava, della struttura della strada a schiena d’asino e in discesa, oltre che della notevole potenza della vettura a trazione posteriore, hanno impedito l’aderenza al suolo, laddove una più prudente condotta di guida e il rispetto del regole cautelari relative al battistrada regolamentare pari mm 1,60 avrebbero consentito di mantenere l’aderenza al suolo”: le scolpiture avrebbero infatti permesso la defluizione laterale dell’acqua e persino di evitare l’effetto di acquaplaning o comunque contenerne l’incidenza.

Per la Cassazione dunque “risulta positivamente apprezzata la sussistenza del nesso di causalità, dal momento che la perdita di controllo del proprio veicolo da parte dell’imputato è stata causata proprio dal comportamento omissivo da lui tenuto che ha determinato, nonostante la velocità moderata, l’impossibilità di governare il mezzo, il suo sbandamento, le collisioni con il muro di contenimento fino all’invasione violenta della opposta corsia di marcia”.

In forza delle gravi omissioni commesse dal conducente, anche ammettendo l’aquaplaning “esso non avrebbe comunque potuto avere efficacia interruttiva del nesso di causalità”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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