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In un sinistro stradale con più soggetti coinvolti, non rileva il fatto che anche gli altri siano incorsi in violazioni “prevedibili” per far venire meno le responsabilità di chi ha dato il la al sinistro, tanto più se la sua condotta è risultata in palese contrasto con le norme della circolazione stradale.

E’ una sentenza molto interessante, sia per quanto riguarda la questione delle cosiddette “cause sopravvenute” sia per la valutazione della guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, quella – la numero 22268/21 – depositata dalla Corte di Cassazione, quarta sezione Penale, l’8 giugno 2021.

 

L’automobilista che ha innescato l’incidente ricorre per cassazione

I giudici del Palazzaccio si sono occupati di un incidente tanto rocambolesco quanto tragico accaduto nel settembre del 2010 a Palestrina (Roma). Un automobilista con la sua macchina aveva tamponato una Mini Cooper che lo precedeva, appena uscita dal parcheggio di un centro commerciale, e, in seguito all’urto, la sua vettura era prima finita addosso a un muretto e poi aveva preso il volo, nel vero senso della parola, ricadendo nella corsia opposta e finendo per schiacciare una Fiat Punto che sopraggiungeva per l’appunto nel senso inverso di marcia: una drammatica carambola fatale al passeggero di quest’ultimo mezzo, deceduto sul colpo.

Il conducente del veicolo che aveva causato il tutto era stato condannato dal Tribunale di Tivoli per omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e dallo stato di alterazione dovuto alla assunzione di sostanze stupefacenti: sentenza confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Roma.

L’imputato, tuttavia, ha proposto ricorso per cassazione contestando la decisione dei giudici territoriali sotto il profilo dell’accertamento del nesso di causalità e della causalità della colpa, avendo a suo dire omesso di svolgere una indagine valutativa sul concorso di cause predominanti diverse, quali la condotta di guida di entrambi i conducenti delle altre due auto coinvolte, condotta che avrebbe interrotto il nesso di causalità tra quella che veniva contestata a lui e l’evento. In particolare, il guidatore della vettura che aveva tamponato avrebbe omesso di dargli a precedenza, mentre il conducente della Punto avrebbe tenuto una velocità eccessiva.

Il ricorrente, inoltre, ha dedotto analoghi vizi con riferimento all’accertamento dello stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti: la prova ematica infatti non avrebbe dimostrato l’epoca della assunzione degli stupefacenti, ma la sola presenza dei metaboliti delle differenti sostanze, laddove la verifica dello stato di alterazione sarebbe stata affidata alla sola condotta di guida.

 

Il concorso di cause indipendenti

Per la Suprema Corte, tuttavia, le doglianze vanno rigettate. Gli Ermellini sottolineano come la Corte territoriale avesse ricostruito puntualmente la dinamica del sinistro rilevando come questo fosse accaduto in orario notturno (alle 22.30), e come l’imputato stesse viaggiando a una velocità quasi doppia rispetto al vigente limite di 50 Km/h (il consulente tecnico del Pubblico ministero l’aveva stimata in 100 km/h, quello della difesa a 85). E’ vero che il conducente della Mini Cooper si era immesso nella corsia percorsa dall’imputato provenendo dalla rampa di accesso di un centro commerciale, vedendo poi tamponato. Ma è altrettanto vero che i profili di responsabilità riconosciuti in capo al ricorrente erano stati ben quattro e pesanti: la velocità non consentita, la sua inadeguatezza rispetto alle condizioni di visibilità particolarmente scarse (il tratto stradale in questione era male illuminato); l’invasione della opposta corsia di marcia; l’alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti.

La Cassazione ripercorre dunque le considerazioni della Corte d’appello. Quanto al tema dell’automatismo probatorio e della presunta mancata valutazione delle condotte degli altri conducenti, ossia al concorso di cause indipendenti, i giudici territoriali avevano dato conto della circostanza che il conducente della Mini era stato assolto dalle contestazioni mossegli in sede di giudizio abbreviato per avere omesso di dare la precedenza alla vettura dell’imputato nell’immettersi nella strada percorsa dall’auto da quest’ultimo.

E, in ogni caso, aveva ritenuto che si trattasse di violazioni tutte etiologicamente riconducibili al sinistro per come si era verificato, dal momento che l’interruzione del relativo nesso causale interviene “solo quando la causa sopravvenuta inneschi un rischio e, dunque, un processo causale del tutto eccentrico rispetto a quello innescato dalla condotta dell’agente”. Nello specifico, che il guidatore della Mini avesse violato l’obbligo di dare la precedenza non era un fatto imprevedibile, poiché i doveri di prudenza e diligenza in materia di circolazione stradale – aveva ricordato la Corte d’Appello capitolina – presidiano anche situazioni di pericolo causate da comportamenti irresponsabili altrui.

 

Sulla strada niente principio di affidamento: si è responsabili anche dell’imprudenza altrui

Conclusioni condivise appieno dai giudici del Palazzaccio, che spiegano: “In tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, il principio (di affidamento, ndr) richiamato dalla difesa dell’imputato trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità”.

Con riferimento all’ambito della circolazione stradale, proseguono gli Ermellini, “esiste una tendenza a escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza: un condivisibile orientamento più rigorista è giustificato dalla circostanza che il contesto della circolazione stradale è meno definito rispetto, per esempio, a quello di équipe proprio della responsabilità derivante dall’esercizio delle professioni sanitarie, ma anche dal rilievo che alcune norme del Codice della Strada sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a ricomprendervi il dovere dell’agente di prospettarsi le altrui condotte irregolari”.

 

Le violazioni degli altri automobilisti coinvolti erano “veniali” e prevedibili

In conclusione, la lettura dell’art. 41, c. 1 e 2, cod. pen. operata dai giudici del merito “è pienamente coerente con i principi testé richiamati, da ribadirsi anche in questa sede dal che discende la manifesta infondatezza del primo motivo”: la difesa dell’imputato si era infatti limitata a contestare le valutazioni dei giudici di merito “opponendo una propria, antitetica lettura della norma e dei principi di matrice giurisprudenziale, affermando un’elisione del nesso causale del tutto avulsa dalla dinamica dei fatti e dalle considerazioni svolte nelle sentenze di merito, in cui si è dato conto della dirimente circostanza che le presunte condotte colpevoli degli altri due conducenti erano al più espressione di atteggiamenti di imprudenza alla guida del tutto prevedibili da parte del ricorrente”.

Ma la Suprema Corte approfondisce anche l’altro motivo di ricorso circa l’aggravante dello stato di alterazione, richiamando anche qui il ragionamento della Corte d’appello capitolina, che si era articolato sui due differenti piani della prova dell’assunzione delle sostanze e dell’alterazione: quanto al primo, aveva ritenuto dimostrata l’assunzione alla stregua di un referto attestante la presenza dei metaboliti della cocaina e dei cannabinoidi, rispetto alla quale aveva considerato inconferente la formale attestazione della non valenza medico-legale del risultato, atteso che la bontà di esso non era stata messa in alcun modo in discussione.

Quanto, invece, alla prova dell’alterazione, aveva valorizzato la condotta di guida tenuta dall’imputato nell’incidente e l’imprudenza della quale egli aveva dato prova viaggiando a una velocità pari al doppio di quella autorizzata, in orario notturno, lungo una strada interessata da intersezioni varie.

 

La differenza tra guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti

La Suprema Corte chiarisce innanzitutto che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 187 del Codice della strada, non è sufficiente la positività alla sostanza, come avviene invece nel caso di guida in stato di ebbrezza, “ma è necessario che sia riscontrato anche uno stato di alterazione psico-fisica, derivante dall’assunzione di droga, poiché il reato in esame è integrato dalla condotta di guida in stato di alterazione psico-fisica determinato dall’assunzione di sostanze e non già dalla condotta di guida tenuta dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti”.

Come dovrebbe essere noto, a differenza dell’alcool, che viene assorbito velocemente dall’organismo, le tracce degli stupefacenti permangono nel tempo, “sicché l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione a un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione – prosegue la Cassazione – In questa ottica la differenza di disciplina tra gli artt. 186 e 187 C.d.S. trova una sua giustificazione razionale”.

M la differente disciplina, fanno notare i giudici del Palazzaccio, trova la sua ratio anche nella diversa considerazione riservata dal legislatore alla condotta di cui all’art. 187 codice strada rispetto alle fattispecie previste dall’art. 186: “per la prima, infatti, non è replicato lo stesso sistema di soglie crescenti di pericolosità e di gradazione punitiva, evidentemente valutandosi in termini di maggior pericolosità e disvalore la compromissione delle facoltà psichiche e di risposta del soggetto che si è posto alla guida in condizioni alterate dalla assunzione di sostanze stupefacenti”.

 

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 187 Cds va riscontrato uno stato di alterazione

Quanto poi alla prova delle due condizioni, ed è il punto cruciale, gli Ermellini rammentano che, con riferimento alla contravvenzione di cui all’art. 187 CdS, “l’alterazione richiesta per l’integrazione del reato esige l’accertamento di uno stato di coscienza semplicemente modificato dall’assunzione di sostanze stupefacenti, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione.

Tale condizione, peraltro, non deve essere necessariamente accertata attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell’avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato”.

Ora, venendo al caso specifico, secondo la Cassazione la risposta che i giudici del merito hanno riservato all’osservazione difensiva sui risultati dell’esame biologico è del tutto congrua: tali esiti non erano stati contestati nella loro correttezza, ma era stata evidenziata solo la loro dichiarata “non valenza” a fini medico-legali. Dunque, la doglianza prospettata in Cassazione era meramente ri-propositiva di quella rigettata in appello e, quindi, manifestamente infondata.

La condotta di giuda “rocambolesca” dell’imputato ben provava questa alterazione

Ma anche con riferimento allo stato di alterazione il ragionamento dei giudici di merito, secondo la Cassazione, è congruo, “avendo dato conto di elementi sintomatici dell’alterazione ricavati direttamente da una condotta di guida che, per come descritta nelle sentenze di merito, è stata giudicata a dir poco rocambolesca e del tutto incompatibile con il pieno possesso di normali capacità di reazione, tenuto conto del rilevato margine di scostamento della velocità impressa dal (omissis) al mezzo dal medesimo condotto, della circostanza che l’auto aveva dapprima urtato un mezzo senza riuscire a controllarlo, che era pure finita su un muretto, finendo per invadere la corsia sulla quale viaggiava il veicolo con a bordo la vittima”.

Dunque, ricorso respinto e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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