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Il tribunale civile ha finalmente accertato le responsabilità dei sanitari dell’ospedale cittadino in un intervento che pure era di routine dopo una battaglia di quasi un decennio

C’è voluta una battaglia lunga quasi un decennio, ma alla fine i giudici hanno dato loro ragione, condannando l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale di Udine a risarcirli: Eugenio Sottile (in foto) è deceduto, ad appena 56 anni, per un grave caso di malpractice medica durante un intervento di routine, e oggi i suoi familiari, che in tutti questi anni sono stati assistiti da Studio3A-Valore S.p.A., hanno finalmente vista riconosciuta la responsabilità dei sanitari che lo ebbero in cura e della struttura ospedaliera.

Sottile, che risiedeva a Campoformido (Ud), a causa di un ictus, nel giugno del 2015 era stato sottoposto all’ospedale di Udine ad un intervento con asportazione di parte della calotta cranica, con la previsione di una successiva operazione di ricostruzione non appena il suo stato di salute si fosse stabilizzato. Il 2 novembre il 56enne, considerato ormai ristabilito, è così rientrato nel nosocomio per il programmato intervento di ricostruzione della calotta cranica, operazione considerata ormai routinaria. Ma qualcosa è andato storto, la massa cerebrale sarebbe stata compressa, il paziente è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva ed è stato comunicato ai familiari che non vi sarebbe stata alcuna possibilità di ripresa: familiari che non hanno potuto che assistere, impotenti, alla breve agonia del loro caro, spirato il 4 novembre.

Sconvolti e del tutto insoddisfatti delle scarse spiegazioni fornite loro dai sanitari, i congiunti di Sottile, per fare piena luce sull’accaduto e ottenere giustizia, attraverso l’Area Manager per il Friuli Venezia Giulia e responsabile della sede di Udine Armando Zamparo, si sono rivolti a Studio 3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, ed è stato presentato un esposto alla Procura di Udine, che ha subito aperto un procedimento penale per l’ipotesi di reato di omicidio colposo in ambito sanitario, iscritto nel registro degli indagati il neurochirurgo e l’anestesista che hanno effettuato l’intervento e disposto l’autopsia per accertare le cause della morte e, soprattutto, eventuali responsabilità dei professionisti. Alla fine però il fascicolo è stato archiviato, ma non perché non fossero emerse lacune dalla consulenza tecnica medico legale, ma perché non poteva essere provato, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, conditio sine qua non per dichiarare la sussistenza di una responsabilità penalmente rilevante, che in caso di condotta corretta Sottile si sarebbe salvato.

Diverso il discorso in ambito civilistico, dove invece vige il principio del “più probabile che non”. Studio 3A, che ha messo a disposizione di suoi assistiti i suoi migliori consulenti tecnici nelle innumerevoli operazioni peritali che hanno caratterizzato quest’estenuante contenzioso, e che ha chiesto più volte, invano, i danni all’Azienda Sanitaria per conto delle quale operavano i sanitari indagati, ha dunque richiesto un Accertamento Tecnico Preventivo e la consulenza tecnica disposta dal giudice ha confermato le responsabilità dei dottori, ma la struttura non si è schiodata dalla sua posizione di diniego assoluto, con la conseguenza che i congiunti di Sottile hanno dovuto procedere ad una formale citazione in causa avanti il Tribunale di Udine.

Il giudice assegnato, la dott.ssa Annamaria Antonini Drignani, ha rinnovato la perizia affidandola al medico legale dott. Paolo Moreni e allo specialista in Neurochirurgia dott. Salvatore Ferla. I quali hanno definitivamente accertato la responsabilità dei medici nella morte di Sottile, rilevando innanzitutto, per citare la sentenza del giudice, “una descrizione dell’atto operatorio imprecisa e gravemente deficitaria di dati rilevanti e necessari per comprendere le ragioni del quadro clinico-morfologico comparso nell’immediato post-operatorio, soprattutto qualora riferita ad un risultato così drammatico e inusuale per un intervento solitamente considerato a basso rischio come la cranioplastica”. In sintesi, proseguono i due Ctu, “in fase di chiusura, un importante sanguinamento extradurale di natura venosa ha indotto l’operatore a lasciare in sede ben tre drenaggi in aspirazione, ma nonostante la loro presenza si è formato, in poco tempo, un ematoma extradurale di tre centimetri”. In conclusione, “l’intervento non risulta essere stato affrontato con la dovuta attenzione che le caratteristiche degli esiti della pregressa craniotomia decompressiva imponevano. Queste inosservanze di doverose regole di condotta hanno assunto un ruolo determinante nello scatenamento delle reazioni della dinamica liquorale e dell’autoregolazione della perfusione cerebrale che hanno condotto al quadro clinico di swelling cerebrale con emorragie diffuse intraparenchiali, ematoma extradurale venoso e conseguente decesso in rapporto causale con esse”.

Fatte proprie le conclusioni dei periti la dott.ssa Antonini Drignani ha pertanto condannato l’Azienda Universitaria Friuli Centrale di Udine a risarcire con una somma importante i congiunti di Sottile ai quali tuttavia premeva soprattutto che fosse accertato ciò che avevano sostenuto fin dal primo momento, e cioè le gravi responsabilità dei medici nell’evitabile fine del loro caro, e di potergli rendere in qualche modo giustizia, sia pur solo in ambito civile. L’Azienda non ha appellato la sentenza, che quindi è già diventata esecutiva, e ha proceduto al risarcimento.

Caso seguito da:

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Armando Zamparo

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Categoria:

Malasanità

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