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Com’è (tristemente) noto, la Legge di Bilancio per il 2019, la n. 145/2018, ha apportato significative modifiche agli articoli 10 e 11 del D.P.R. 1124/65 che incidono profondamente sui criteri di calcolo del cosiddetto “danno differenziale”, che è dovuto a chi subisce un incidente sul lavoro o sviluppa una malattia professionale, con notevoli e negative conseguenze sull’integralità del risarcimento del danno alla persona.

Tagli per il risarcimento del danno differenziale

In estrema sintesi, la nuova norma ha modificato le voci da considerare per stabilire il quantun, imponendo di adottare un criterio di scomputo “per sommatoria” o “integrale” anziché “per poste” come accadeva prima, con conseguente diritto di regresso dell’Inail per “le somme a qualsiasi titolo pagate”.

Ma cosa accede per i procedimenti iniziati prima dell’entrata in vigore della legge, il primo gennaio 2019, ma ancora in itinere.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha chiarito la questione con la sentenza n. 11114/2019 depositata il 19 aprile 2019, decidendo sul caso di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico.

 

La Corte d’Appello stabilisce il risarcimento per gli eredi del lavoratore

I suoi familiari avevano chiesto e ottenuto dalla Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, il risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio e iure hereditatis.

La Corte territoriale aveva riconosciuto la legittimazione passiva del Consorzio di Trasporti pubblici presso il quale la vittima aveva lavorato, la nocività dell’ambiente di lavoro per l’esposizione all’inalazione di fibre di amianto e la sussistenza del nesso causale tra tale condizione di pericolo e l’evento morte.

Per la quantificazione del danno non patrimoniale iure hereditatis aveva applicato le tabelle di Roma, personalizzando il danno nella misura del 50%, e riparametrando l’importo ad un dodicesimo, pari al mese di sopravvivenza dell’uomo tra diagnosi della patologia infausta e il decesso.

La società, però, ha presentato ricorso per Cassazione contro quest’ultimo pronunciamento affidandosi a tre motivi. Con i primi due denunciava la mancata contestazione dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva, i criteri di liquidazione utilizzati dalla Corte territoriale e la mancata utilizzazione delle tabelle di Milano per la liquidazione del danno iure proprio.

 

La nuova legge non si applica agli infortuni occorsi prima del 2019

Ma quello che preme è il terzo motivo, nel quale i ricorrenti lamentano, per l’appunto, la mancata detrazione dal danno biologico liquidato iure hereditatis della rendita corrisposta dall’Inail alla vedova del deceduto.

Ed è appunto qui che la Suprema Corte ritiene necessario operare alcune doverose precisazioni in ragione dello nuova legge sopravvenuta. Ebbene, gli Ermellini ritengono che l’applicazione dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 145/2018 ai giudizi in corso comporterebbe una modifica degli effetti ricollegabili agli infortuni o alle malattie professionali verificatesi o denunciati prima dell’entrata in vigore della stessa, ponendosi quindi in violazione del divieto di retroattività ex art. 11 preleggi.

E aggiungono anche che, analizzando la novella normativa, non vi sono “statuizioni espresse nel senso della retroattività, anzi sembrano esservi previsioni che depongono in senso contrario”. Infine, tale tesi di non applicabilità appare alla Cassazione l’unica coerente con i principi desumibili dalla Costituzione e dalla Carta EDU.

Pertanto, la Corte dichiara – quanto meno – che le modifiche introdotte dall’art. 1 come 1126 della Legge n. 145/2018 non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima del primo gennaio 2019, data di entrata in vigore della Finanziaria.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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