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In casi di assoluta emergenza sono ammesse “deroghe” rispetto alle “normali” condotte e potrebbe essere giustificata anche la guida senza patente, ma perché si configuri questa circostanza deve sussistere una situazione di estremo pericolo per la vita delle persone, non certo una… cefalea.

La Cassazione, con l’ordinanza n. 24679/21 depositata il 14 settembre 2021, ha approfondito il tema del cosiddetto “stato di necessità”, dando definitivamente torto ad un automobilista che lo aveva invocato in modo del tutto inopportuno per evitare una salata sanzione per aver violato il codice della strada.

 

Automobilista si oppone a una multa per guida senza patente invocando lo stato di necessità

L’uomo aveva presentato opposizione nei confronti di un verbale di accertamento della violazione dell’art. 218 comma 6, C.d.S. perché era stato sorpreso alla guida di un’auto nonostante la precedente sospensione della patente di guida.

L’automobilista non aveva contestato il fatto, ma si era giustificato sostenendo di aver dovuto correre quanto più rapidamente possibile all’ospedale per prestare la dovuta assistenza al cognato che aveva accusato un forte malore: egli aveva quindi invocato lo stato di necessità o, in subordine, lo stato di necessità “putativo”, ossia percepito come tale da una persona come lui che non era esperto in medicina.

Opposizione respinta dal tribunale: il cognato condotto all’ospedale aveva solo una… cefalea

In primo grado tuttavia l’opposizione alla sanzione era stata respinta, così come era stato rigettato l’appello dal Tribunale di Siena, nel 2018. Secondo i giudici di seconde cure non era stata fornita una prova convincente dell’invocata sussistenza della scriminante dello stato di necessità, la cui operatività, aveva chiarito la sentenza, viene riconosciuta solo in casi “limite”,  quando cioè non sia esigibile in concreto una condotta alternativa.

Al contrario, nello specifico il tribunale aveva ritenuto di non poter desumere dalla documentazione depositata, e in particolare dei referti medici che avevano riscontrato la diagnosi di una semplice “cefalea” nei confronti del cognato del ricorrente, i sintomi di un patologia di gravità tale da giustificare la sostituzione alla guida: per i giudici, il paziente avrebbe ben potuto chiamare il 118 o assumere un farmaco per contrastare la cefalea ed attendere che facesse effetto.

Il trasgressore, tuttavia, non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione sostenendo che la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione contraddittoria e insufficiente per disconoscere la sussistenza di uno stato di necessità “putativa” e, di più, avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni in materia di scriminante dello stato di necessità, non considerando che egli avrebbe agito alla luce di un pericolo imminente ingenerato dall’erronea persuasione – dunque in buona fede – di trovarsi nella situazione in cui l’unico concreto e realistico rimedio a fronte della cefalea con episodi di vomito del cognato fosse il raggiungimento in qualunque modo del presidio di Pronto Soccorso, mettendosi pertanto alla guida del veicolo nonostante la patente sospesa.

 

La Cassazione rigetta la doglianza: non vi era alcuna situazione di imminente pericolo

Ma per la Cassazione la censura è inammissibile. “In tema di sanzioni amministrativespiegano infatti gli Ermellini -, lesimente dello stato di necessità di cui all’art. 4 I. n. 689 del 1981, in applicazione degli artt. 54 e 59 c.p., presuppone la sussistenza di un’effettiva situazione di pericolo imminente di un grave danno alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea convinzione, provocata da concrete circostanze oggettive, di trovarsi in tale situazione”.

Premesso questo, secondo la la Suprema Corte il tribunale “si è attenuto a tale principio e la critica del ricorrente è destinata all’inammissibilità poiché nessun accertamento in ordine all’esistenza di fatti idonei ad ingenerare nell’agente la convinzione di trovarsi di fronte ad uno stato di necessità è rinvenibile nella sentenza impugnata”, concludono i giudici del Palazzazzio, con conseguente rigetto del ricorso: l’automobilista dovrà quindi pagare la sanzione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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