Se si è assaliti all’improvviso, mentre si è al volante, da un impellente bisogno fisiologico, è lecito accostare e fermarsi in corsia di emergenza? Secondo la Cassazione sì, perché questa situazione si configura a tutti gli effetti come un malessere che pregiudica la guida.
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Il tragico incidente
Sembrerebbe un argomento “leggero”, in realtà a monte del pronunciamento della Suprema Corte, con la sentenza 13124/19, depositata il 26 marzo 2019, vi è l’ennesima tragedia della strada accaduta oltre dieci anni fa, nel 2006 sul grande raccordo anulare di Roma.
Un tassista si era appunto fermato in corsia di emergenza e vi aveva lasciato la vettura per correre ai servizi igienici, ma un motociclista, transitando nella stessa corsia, non si era avveduto della macchina ferma, c’era finito addosso e aveva riportato gravissime lesioni che ne avevano causato la morte.
Il tassista è stato indagato per omicidio colposo ma prima il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma e poi anche la Corte d’Appello lo hanno mandato assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
In particolare, nel respingere i motivi di appello delle parti civili rappresentante dai familiari della vittima, la Corte capitolina aveva asserito come nel bisogno fisiologico che aveva spinto l’automobilista a fermarsi in corsia d’emergenza doveva ravvisarsi una condizione di malessere che legittimava l’imputato alla sosta, anche a fronte della sua età non più giovane e del fatto che soffriva di problemi di prostata.
Sottolineando anche come il suo taxi fosse stato parcheggiato in posizione corretta, ben accostato sulla destra.
Il ricorso per Cassazione dei familiari della vittima
I congiunti del motociclista, attraverso il proprio legale, hanno appellato questa sentenza per Cassazione battendo, tra l’altro, proprio sulla tesi che un bisogno urinario non potesse qualificarsi come “malessere”, “non essendo tale l’incontinenza cronica, che non costituisce alcunché di imprevedibile o di improvviso, tanto più che il bisogno fu preceduto da una telefonata e che ben avrebbe potuto il (omissis) proseguire fino al vicino autogrill, distante appena tre chilometri”.
E lamentando anche il fatto che il tassista non avesse azionato le quattro frecce.
Ma la Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso. “A proposito della contestata qualificazione del bisogno urinario come “malessere”, ai fini di quanto stabilito dall’art. 176 C.d.S., comma 5, è sufficiente richiamare l’indirizzo, qui condiviso, adottato dalla giurisprudenza di legittimità in un caso per molti versi analogo (Sez. 4, Sentenza n. 7679 del 14.01.2010) – recita la sentenza -: la Corte regolatrice ha affermato che dev’essere “inquadrato il bisogno fisiologico nel concetto di malessere che giustifica la sosta sulla corsia di emergenza ai sensi dell’art. 157 C.d.S., comma 1, lett. d)”.
Secondo gli Ermellini, il termine “malessere” non può ridursi alla “nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall’art. 88 c.p. o nell’ipotesi di caso fortuito di cui all’art. 45 c.p., bensì nel lato concetto di disagio e finanche di incoercibile necessità fisica anche transitoria che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione e quindi in esso deve necessariamente ricomprendersi l’improvviso bisogno fisiologico (dipendente o meno da malfunzionamento organico) che notoriamente esclude quella condizione di benessere fisico indispensabile per una guida corretta che non ponga in pericolo sia lo stesso conducente ed i terzi trasportati sia gli altri utenti della strada”.
Irrilevante la telefonata precedente
Secondo la Suprema Corte, inoltre, è infondata anche la doglianza circa la breve telefonata effettuata (e ammessa) dal tassista “poco prima di soddisfare il suo bisogno di minzione, perché l’impatto avvenne dopo che, terminata la suddetta comunicazione telefonica, il (omissis) aveva espletato il bisogno fisiologico e si accingeva a risalire in macchina; dunque, nel momento in cui l’impatto avvenne, la sosta d’emergenza era comunque giustificata (essendo essa consentita, a norma dell’art. 176 C.d.S., comma 6, per “il tempo strettamente necessario per superare l’emergenza stessa”), a nulla rilevando che essa fosse stata protratta di qualche istante per la precedente, breve telefonata”.
Respinta, infine, anche la doglianza relativa alla mancanza delle quattro frecce perché, ricorda la Cassazione, “non sussistevano le condizioni nelle quali è prescritto come obbligatorio l’uso delle segnalazioni luminose (c.d. quattro frecce) in base agli artt. 153 e 162 C.d.S., e art. 176 C.d.S., comma 7, né quelle nelle quali è prescritto l’uso dei dispositivi retroriflettenti di protezione individuale (c.d. giubbotti catarifrangenti, di cui all’art. 162 C.d.S., comma 4 bis): il sinistro infatti si verificò in una mattinata di pieno sole, alle 9.00, in un tratto pressoché rettilineo e quindi “con visibilità più che buona”.
Nonostante ciò la vittima, conclude la Cassazione ponendo definitivamente fine alla vicenda giudiziaria, “probabilmente per distrazione non si avvide della traiettoria seguita e del fatto che, con essa, si sarebbe immesso nella corsia d’emergenza andando a impattare contro l’auto in sosta”.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Blog Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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