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E’ possibile e non è vietato, per una persona vittima di un incidente stradale, intraprendere due azioni distinte per ottenere il risarcimento dei danni materiali al mezzo da una parte e quelli fisici dall’altra, ma solo se alla base di questa scelta di “frazionamento del credito” vi siano motivazioni fondate, un interesse oggettivamente riscontrabile in capo al creditore; viceversa, si aggraverebbe immotivatamente la posizione del danneggiante-debitore, si abuserebbe dello strumento processuale e, soprattutto, si rischia fortemente di vedersi per questo respinte richieste risarcitorie per pregiudizi della cui liquidazione si avrebbe pur diritto.

A mettere in guardia i danneggiati dal “frazionare” immotivatamente il credito duplicando le azioni legali la Corte di Cassazione, che è tornata sulla questione con l’ordinanza n. 2278/23 depositata il 25 gennaio 2023, giudicano definitivamente un contenzioso per un sinistro stradale.

Domanda di risarcimento rigettata per illegittimo frazionamento del credito

Un motociclista aveva citato in giudizio, avanti il tribunale cittadino, il Comune di Roma per ottenere il risarcimento dei danni fisici patiti in conseguenza di un sinistro verificatosi nella capitale, nell’ottobre 2007, a causa di radici di alberi presenti sul manto stradale, non segnalate, che ne avevano provocato la caduta dalla moto. E a sostegno della sua domanda aveva esposto, tra del varie cose, di aver precedentemente già promosso un separato giudizio, davanti al Giudice di pace di Roma, per i danni materiali alla motocicletta riportati nello stesso incidente, causa che si era conclusa con una sentenza di condanna di Roma Capitale ormai passata in giudicato.

Ma il tribunale capitolino aveva rigettato la domanda ritenendo che fosse improponibile per l’illegittimo frazionamento del credito, quello dovuto per i danni materiali e quello per le lesioni fisiche. Decisione confermata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza del 9 aprile 2019, aveva rigettato il gravame proposto dal danneggiato, osservando che nel momento in cui era stata proposta la domanda risarcitoria davanti al Giudice di pace di Roma (nel maggio 2008), la cui decisione favorevole al motociclista come detto, era passata in giudicato, il danno alla persona da questi lamentato si era già verificato nella sua interezza.

Il fatto che l’appellante il 27 febbraio 2008 dovesse ancora sottoporsi ad una visita per il successivo 27 maggio 2008 non avrebbe dimostrato che i postumi non si fossero già verificati integralmente a quella data, come sostenuto dal motociclista. E al riguardo, secondo i giudici, era significativo il fatto che egli avesse notificato il proprio atto di citazione davanti al Giudice di pace il 23 maggio 2008, senza attendere gli esiti di un’ulteriore visita per lui fissata per il successivo 27 maggio.

La documentazione sanitaria prodotta dal danneggiato e successiva al maggio 2008 non avrebbe dimostrato alcun aggravamento dei postumi, escludendo la necessità di un ulteriore intervento chirurgico. La scelta di agire separatamente per il danno al motociclo e per il danno alla persona non sarebbe stata quindi determinata dall’effettiva incertezza sul consolidamento degli esiti negativi della sua malattia, ragion per cui la proposizione in due diversi giudizi delle domande di risarcimento dei danni derivanti da un unico incidente si risolveva in un abuso dello strumento processuale.

Il centauro tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione asserendo che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che egli aveva fatto espressa riserva, nel proporre il primo giudizio davanti al Giudice di pace, di agire con un autonomo giudizio per il risarcimento dei danni fisici subiti, in quanto gli stessi non si erano ancora stabilizzati, ricordando che, per costante giurisprudenza in argomento, la seconda domanda risarcitoria poteva essere proposta separatamente in presenza di un dubbio circa la stabilizzazione degli esiti dannosi, elemento che la sentenza impugnata non avrebbe considerato.

Egli inoltre sosteneva che, per accertare la sussistenza della correttezza e buona fede da parte del danneggiato che abbia promosso due diversi giudizi risarcitori, bisognava tener conto non della situazione che si sarebbe venuta a manifestare in un momento successivo, bensì di quelle che erano le conoscenze del danneggiato stesso nel momento in cui aveva avviato il primo giudizio. Il ricorrente, al riguardo, aveva chiarito che nella visita del 27 maggio 2008 al centro della discussione gli erano stati richiesti ulteriori accertamenti, per cui la Corte d’appello non avrebbe potuto affermare che già al momento della proposizione del primo giudizio egli fosse pienamente consapevole dei postumi lesivi riportati.

I giudici territoriali avrebbero dunque omesso di pronunciarsi sulla questione, posta nei motivi di appello, relativa al momento esatto in cui egli aveva effettivamente avuto consapevolezza della stabilizzazione dei postumi, né avrebbe esaminato l’espressa riserva che egli aveva posto, nel momento in cui aveva inoltrato la prima domanda risarcitoria davanti al Giudice di pace, di agire separatamente per i danni alla persona. Così come non sarebbe stata fornita alcuna valida motivazione in ordine ai criteri adottati per individuare il momento in cui i postumi invalidanti si erano effettivamente stabilizzati a suo carico, dal momento che era stato dimostrato che il percorso di cura che aveva intrapreso era ancora in corso quando era stato promosso il primo giudizio.

 

Quando è ammesso frazionare il credito in due distinti giudizi

La Suprema Corte approfitta del caso per soffermarsi sull’importante questione del cosiddetto frazionamento del credito, ricordando come le Sezioni Unita della Cassazione, con la sentenza n. 4090/2017, abbiano stabilito che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. “Laddove però – avevano precisato le Sezioni Unite – le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – così da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”. Un principio a cui gli Ermellini intendono dare continuità.

In linea di principio, è preferibile non duplicare i procedimenti

I giudici del Palazzaccio poi, quanto alla materia specifica oggetto del giudizio di specie, cioè il risarcimento dei danni da responsabilità civile, riaffermano il principio per cui “non è consentito al danneggiato, in presenza di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, già verificatosi nella sua completezza, di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando l’azione extracontrattuale davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, e ciò neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento. Tale disarticolazione dell’unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, infatti, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, per l’aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale”.

Ne consegue che, pur non essendo totalmente precluso al danneggiato, in astratto, di agire separatamente per due diversi danni che derivano dal medesimo fatto illecito, “ciò può avvenire solo in presenza dell’effettiva dimostrazione, da parte dell’attore, della sussistenza di un interesse obiettivo al frazionamento”. Interesse che, ribadisce con forza la Cassazione, “non può consistere in una scelta soggettiva dettata da criteri di mera opportunità e neppure dalla prospettata maggiore speditezza del procedimento davanti ad uno piuttosto che ad un altro dei giudici aditi”.

A fronte di tali premesse, pertanto, il motivi di doglianza del ricorrente risultano inammissibili per la  Cassazione, secondo i quali la Corte d’Appello di Roma, già sollecitata all’esame del problema dai motivi di gravame, ha fornito un’argomentata risposta, “osservando che il danno alla persona si era già palesato nel momento in cui fu proposto il primo giudizio, dato che la documentazione sanitaria successiva al 2008 non evidenziava alcun aggravamento dei postumi. L’odierno giudizio ebbe inizio nel 2011, quando il quadro era delineato da tempo (lo stesso ricorso dice che il danneggiato fu dimesso dall’ospedale, subito dopo l’incidente, con una prognosi di 30 giorni)”.

In definitiva, secondo gli Ermellini, la Corte territoriale, con un accertamento di merito non più sindacabile in sede di legittimità, ha ben ricostruito la cronistoria delle due cause e, valutando in modo globale le prove, ha escluso che il motociclista avesse dimostrato la sussistenza di una qualche incertezza sui residui postumi dell’incidente allorquando aveva deciso di dare inizio alla prima causa davanti al giudice di pace di Roma, nel maggio 2008.

In motivazione, anzi – evidenziano e concludono i giudici del Palazzaccio – la sentenza impugnata ha posto in luce la singolarità della scelta dell’odierno ricorrente di intraprendere il primo giudizio pochissimi giorni prima di una visita medica già fissata proprio per accertare le sue condizioni di salute. Ne consegue che rimane priva di pregio la tesi del ricorrente relativa alla necessità di una valutazione ex ante e non ex post circa la stabilizzazione delle conseguenze dannose del sinistro, proprio perché sul punto la Corte di merito ha compiuto un preciso accertamento”.

Dunque ricorso respinto con la conseguenza che il motociclista, a causa della scriteriata scelta processuale di frazionare il credito, non potrà ottenere il risarcimento dei danni fisici patiti di cui pure avrebbe avuto diritto.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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