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Il datore di lavoro è tenuto a risarcire gli eredi del lavoratore anche dei danni morali quando la patologia, contratta in seguito alla violazione delle regole infortunistiche e sulla sicurezza, costringe la vittima a restare a letto per un lungo anno dovendo così rinunciare ad una vita normale e a qualsiasi relazione sociale.


La causa dei familiari di un operaio morto dopo una lunga agonia per esposizione ad amianto

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 23878/23 depositata il 4 agosto 2023, ha emanato un’altra decisione importante sul fronte degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali – nella fattispecie l’esposizione all’amianto – a tutela dei familiari vittime del cosiddetto “danno riflesso” per quanto patito dal proprio caro, vittima “primaria” del pregiudizi.


La Cassazione accoglie il ricorso

Più in particolare, gli Ermellini hanno accolto il ricorso degli eredi di un operaio deceduto per asbestosi al polmone sinistro dopo un’agonia protrattasi per un anno. I giudici del Palazzaccio, infatti, hanno ritenuto fondato il motivo di doglianza con il quale i parenti del lavoratore avevano impugnato la sentenza dei giudici territoriali che aveva negato loro l’istanza risarcitoria.

Nella sentenza hanno ricordato e chiarito che, “in tema di danno morale, se è vero che la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, tuttavia questo va allegato e può essere provato, anche attraverso presunzioni semplici”.


Provate le terribili sofferenze anche morali patite dal lavoratore e condivise con i propri cari

Ebbene, nel caso specifico, i ricorrenti avevano dedotto e dimostrato che il loro familiare era spirato, nel settembre del 2010, in conseguenza di un mesotelioma pleurico al polmone sinistro manifestatosi nel febbraio dello stesso anno e che l’ultimo anno di vita lo aveva trascorso prevalentemente allettato, “tra ospedali e centri per le terapie, senza intrattenere più rapporti con gli amici e senza coltivare attività di svago o ludiche, nella piena e lucida consapevolezza, condivisa dai familiari, dell’avvicinarsi dell’evento morte”.

Un profondo pregiudizio che, come evidenzia la Suprema Corte, non poteva non essere patito anche da chi gli viveva accanto e lo assisteva, di qui il loro diritto al pieno risarcimento.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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