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E’ la Regione l’Ente da considerare, ex art. 2052 cod. civ., l’esclusivo responsabile dei danni causati dagli animali selvatici, salvo che provi il caso fortuito. Con l’ordinanza n. 18454/22 depositata l’8 giugno 2022 la Cassazione ha ribadito con forza e puntualità il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità circa i danni causati dalla fauna selvatica, che restituisce finalmente ai danneggiati delle più concrete possibilità di essere risarciti.  

Un automobilista cita Regione e Provincia per i danni al veicolo cagionati da un cinghiale

La Suprema Corte si è pronunciata su uno degli innumerevoli casi di investimento da parte di un automobilista molisano di un cinghiale che gli aveva attraversato all’improvviso la strada, con conseguenti ingenti danni per oltre quattromila euro alla sua Bmw. Non avendo avuto accolta, come spesso accade, la richiesta di risarcimento per le “vie ordinarie”, il danneggiato si era visto costretto a citare in causa, dinanzi al Giudice di Pace di Isernia, la Regione Molise e la Provincia di Isernia, per chiederne la condanna al pagamento dei danni. Ed era iniziato il solito “copione” all’insegna dello “scaricabarile”: la Regione, costituendosi, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, deducendo di non avere alcuna responsabilità né ai sensi dell’art. 2043 né ai sensi dell’art.2052 c.c.; la Provincia, dal canto suo, aveva fatto lo stesso, per assoluta mancanza di sua responsabilità ex lege 157/1992, ex artt. 2043 e 2052 c.c. addebitando anche l’incidente alla “imprudente” condotta di guida dell’automobilista. 

Il Giudice di Pace, con sentenza del 2014, aveva accolto parzialmente la domanda ritenendo ricorrente la pari responsabilità della Regione Molise e del danneggiato e, di conseguenza, aveva condannato la prima a corrispondere a titolo risarcitorio al secondo la somma di 1.400 euro, regolando le spese di lite.

La Regione Molise, tuttavia, aveva impugnato la sentenza dinanzi al Tribunale di Campobasso ritenendola erronea per non aver rilevato il giudice il difetto di sua legittimazione passiva, essendo  a suo dire l’Anas o l’Amministrazione provinciale responsabili dei danni cagionati da animali selvatici; per essersi avvalsa di prove testimoniali inammissibili; per la quantificazione del danno; per non aver preteso, da parte dell’appellato, la prova di aver tenuto una condotta di guida adeguata allo stato dei luoghi e della ricorrenza degli elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2043 c.c. e per avere disposto la parziale compensazione delle spese di lite. Ma anche l’automobilista aveva proposto appello in via incidentale, chiedendo al Tribunale, oltre a dichiarare inammissibile ed infondato l’appello principale, di ritenere responsabili dei danni occorsigli la Regione Molise e la Provincia di Isernia a qualunque titolo e che di modificare la decisione di prime cure nella parte in cui aveva dapprima presunto che egli avesse tenuto una velocità non adeguata allo stato dei luoghi, e poi decurtato di quasi un terzo il preventivo prodotto in giudizio. 

 

Pe il giudice di secondo grado il danneggiato non ha provato la condotta colposa della Regione 

Il Tribunale, con decisione del 2020, aveva accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale dando quindi ragione alla Regione Molise. In particolare, i giudici avevano ritenuto, sulla scorta della L. n. 157/1992 e della LR n. 19/1993, che del danno provocato a terzi dalla fauna selvatica potessero essere chiamate a rispondere sia la Regione sia la Provincia e che spettava al giudice di merito accertare se, nel caso concreto, l’evento dannoso andasse ricollegato a una condotta colposa dell’una o dell’altra; che il danno cagionato da fauna selvatica era disciplinato dall’art. 2043 c.c., stante l’incompatibilità dell’art. 2052 c.c. con il carattere selvatico degli animali in questione, sicché il danneggiato aveva l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, compreso l’elemento soggettivo; quindi, aveva negato il risarcimento del danno, perché in primo grado non era stata allegata né provata la ricorrenza di una condotta colposa omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità al danno sofferto.

L’automobilista a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione lamentando il fatto che il giudice avesse ritenuto che, per costante giurisprudenza, la responsabilità per i danni cagionati da fauna selvatica andasse ricondotta all’art.2043 c.c., e inoltre censurando “l’omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione circa un punto decisivo della controversia, avendo il Tribunale escluso la dimostrazione di una condotta causalmente ricollegabile al danno ricevuto e contraddicendo i dati emersi dall’istruttoria svolta nel giudizio di primo grado, e in particolare le prove testimoniali.

La Regione ha “risposto” con un ricorso incidentale condizionato contestando il fatto che la sentenza gravata avesse escluso la legittimazione passiva della Provincia di Isernia, a suo dire delegata all’esercizio di compiti di vigilanza e di controllo della fauna selvatica.

 

La Suprema Corte accoglie la doglianza: applicabile l’art. 2052 anche agli animali selvatici

 Suprema Corte, tuttavia, ribadisce che va data continuità all’indirizzo di legittimità con cui la stessa Cassazione ha affermato che “i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla Pubblica Amministrazione a norma dell’art. 2052 c. c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema”. 

Dunque, sottolinea con forza la Suprema Corte, “nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti”. Regione che poi potrà eventualmente rivalersi, “anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato”, nei confronti degli enti ai quali “sarebbe in concreto spettata nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”. 

 

Cambia l’onere della prova, il danneggiato deve dimostrate solo il nesso animale-incidente

Quanto all’onere della prova in capo al danneggiato, poi, gli Ermellini chiariscono che “in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art.2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”. Un indirizzo giurisprudenziale che oramai, spiegano i giudici del Palazzaccio, può considerarsi consolidato e che ha superato il precedente quadro interpretativo “che riteneva impossibile invocare per la fauna selvatica il regime previsto dall’art. 2052 c.c., attesa l’inestensibilità del dovere di custodia ivi previsto agli animali selvatici che vivono in libertà”.

Oggi dunque la Suprema Corte, ripete la sentenza, ritiene che “la proprietà pubblica delle specie protette disposta in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l’attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, determina una situazione equiparabile (nell’ambito del diritto pubblico) a quella della “utilizzazione”, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema, degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario”.

 

In conclusione, Regione esclusiva responsabile dei danni causati dalla fauna selvatica

Ne consegue, tira le fila del discorso la Cassazione, che “è la Regione a dover essere considerata, ex art. 2052 cod. civ., l’esclusiva responsabile dei danni causati dagli animali – perché se ne serve nel senso dianzi precisato – salvo che provi il caso fortuito”. Ciò però comporta anche, proseguono i giudici del Palazzaccio, “che sul danneggiato che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l’onere di dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato”. 

Anche il danneggiato però deve dimostrare bene la dinamica del sinistro

Vale a dire che quando  si controverta di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici “non basta ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai sensi dell’art. 2054, comma 1, c.c., in caso di incidenti stradali, il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo, per ottenere l’integrale risarcimento del danno che afferma di aver subito, dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida”: una dinamica da valutare con particolare rigore, puntualizza la Suprema Corte, “in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici, e per accettare se la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno”.

Il tribunale territoriale, discostandosi da questo indirizzo, aveva rigettato la domanda risarcitoria, attribuendo rilievo alla mancata prova della condotta omissiva della Regione Molise causalmente rilevante rispetto al danno lamentato, e lo aveva fatto, giustificano gli Ermellini, proprio perché, “applicando un orientamento all’epoca della decisione dominante, ma che questa Corte per le ragioni esposte ha deciso di superare, ha fatto leva sull’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 2052 c.c.”. Il ricorso del danneggiato pertanto è stato accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al tribunale di Campobasso in persona di altro magistrato. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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