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Non solo il criterio della coabitazione non viene più considerato indispensabile per riconoscere il risarcimento ai parenti delle vittime ali di fuori del contesto di famiglia tradizionale, ma anche quello della consanguineità oggi va stretto.

Merita di essere approfondita, al riguardo, una recente sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecce, I Sezione, la n. 634/21 del 4 marzo 2021, che ha condannato l’assicurazione a risarcire il cognato di un giovane deceduto a soli 16 anni in seguito ad un incidente stradale.

 

Il cognato di un giovane deceduto in un incidente cita l’assicurazione per essere risarcito

L’uomo aveva citato in giudizio la compagnia assicurativa del veicolo responsabile del sinistro per essere risarcito del grave danno non patrimoniale per la perdita del ragazzo, motivando la sua pretesa risarcitoria per il fatto di aver aver convissuto con il cognato fin da quando questi era in fasce e di essersene occupato come un genitore, in quanto il padre naturale lo aveva abbandonato.

Gli orientamenti giuridici contrastanti

Nella sentenza i giudici ripercorrono le questioni inerenti il tema del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale invocato da soggetti differenti dai tradizionali componenti della famiglia nucleare, e si soffermano sul contrasto esistente al riguardo nella giurisprudenza di legittimità e di merito. Com’è noto, infatti, vi sono in materia orientamenti più restrittivi (e datati), che negano categoricamente che possa essere riconosciuto il risarcimento del danno a persone estranee rispetto al nucleo familiare; orientamenti mediani che richiedono la prova della convivenza ai fini del risarcimento ed orientamenti maggiormente “permissivi” che riconoscono il risarcimento anche in caso di mancanza di convivenza.

Il tribunale ammette che, nel caso di rapporti di parentela o affinità esterni rispetto alla composizione della famiglia nucleare, la prova del vincolo affettivo deve essere molto più rigorosa, ma aggiunge anche che non lo si può escludere a priori. E’ necessario, pertanto, analizzare il caso concreto e accertare l’esistenza di un effettivo rapporto parentale suscettibile di essere equiparato a quello dei componenti della famiglia nucleare, anche se con un danno più modesto.

 

La convivenza non è più conditio sine qua non

Il Tribunale ritiene condivisibile l’orientamento che inquadra la convivenza come requisito individuante un particolare legame affettivo, ma non unico elemento dirimente, sul quale possa basarsi il riconoscimento del presupposto risarcitorio, in quanto le mutate relazioni sociali hanno ormai superato anche la famiglia nucleare.

Del resto, nella società attuale la casistica riguardante le dinamiche relazionali della famiglia presenta una “galoppante evoluzione” verso “modalità di coniugio e di genitorialità” basata sulla distanza fisica fra marito e moglie, fra padri, madri e figli e fra questi ed i parenti, distanza che spesso intercorre perfino fra nazioni diverse, senza con ciò intaccare il vincolo di solidarietà e la comunione di vita e di affetti che governano le relazioni parentali e che rappresentano il valore fondante della tutela garantita dalla Carta Costituzionale e dalle fonti internazionali e comunitarie.

Inoltre, i giudici hanno osservato che la relazione allegata alle Tabelle del Tribunale di Milano prevede che non vi sia un minimo garantito e sottolinea l’importanza, per il giudice di merito, di valutare ogni elemento utile, al fine di garantire che il danno risarcito corrisponda a quello realmente patito.

 

Documentata accuratamente la relazione affettiva

Nello specifico, l’uomo che aveva promosso la causa si era preso cura del cognato, più giovane di lui di ben 19 anni, fin dalla nascita di questi, convivendo con lui anche il suo nucleo familiare dal 2010 fino al giugno del 2015, pochi mesi prima della morte, avvenuta nel settembre di quell’anno.  La madre della vittima, una donna sola e con tre figli, era costretta a svolgere numerosi lavori ed era spesso assente e lontano da casa, per cui erano lui e sua moglie ad occuparsi della ragazzo, a portarlo a scuola e ad andare a prenderlo, a seguire gli incontri scuola-famiglia, etc.

Il cognato ha quindi allegato le prove testimoniali delle insegnanti del ragazzo, fin dalla scuola materna, e della stessa madre, nonché altre prove documentali che comprovavano il lungo periodo di convivenza nonché prove fotografiche che immortalavano i tanti momenti vissuti assieme nella quotidianità: tutte attestazioni di come il cognato più grande fosse stato di fatto una figura paterna per la vittima fin dall’infanzia. Un rapporto rimasto intatto anche quando il primo ha ha avuto figli propri: diverse foto prodotte riproducevano tutti i bambini insieme.

I giudici riconoscono quindi il risarcimento

Per tali e tante ragioni il Tribunale ha dunque ritenuto provata l’esistenza di un rapporto parentale giuridicamente rilevante, leso per effetto del sinistro stradale che ha causato la morte dell’adolescente e come tale risarcibile. Per la liquidazione i giudici hanno preso a riferimento le Tabelle milanesi e, considerata la modesta differenza di età tra il ricorrente e la vittima, il “rapporto liquidabile” è stato valutato in modo simile a quello che lega un fratello maggiore e quello minore, una sorta di ibrido tra quello di genitorialità e quello fraterno.

La compagnia di assicurazione è stata pertanto condannato a risarcire il cognato del ragazzo con una somma di 80mila euro.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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