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Non si può pretendere che un cittadino conosca e soprattutto ricordi per filo e per segno l’ubicazione delle buche sulle strade che percorre abitualmente per evitare di finirci dentro: con questo ragionamento, prima di tutto di buon senso, la Corte di Cassazione ha disposto il risarcimento per due ciclomotoristi che si erano visti privare di questo diritto da una discutibile sentenza della Corte territoriale.

 

Risarcimento per la caduta sulla buca

Il conducente e la passeggera di uno scooter, percorrendo una stradina che portava a casa loro, a Scalea, alla fine di una salita, finivano in una buca, in quel momento piena dell’acqua per le recenti piogge, e riportavano lesioni serie.

Entrambi i danneggiati agivano contro il Comune di Scalea, contestando una responsabilità di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ.

In primo grado il giudice, ritenuto che la fattispecie rientrasse appieno nella previsione di quella norma, accoglieva la domanda ed accordava ai due attori un risarcimento dei danni di 22.647,28 euro.

Il Comune di Scalea, tuttavia, ha appellato la decisione e la Corte d’Appello di Catanzaro gli ha dato ragione, riformando la sentenza di primo grado e ascrivendo l’esclusiva colpa della caduta al conducente del ciclomotore.

Secondo i giudici di merito, quest’ultimo non aveva colpevolmente evitato un pregiudizio che, per ordinaria diligenza, avrebbe invece potuto evitare: la sua responsabilità stava nel fatto che, secondo la corte, da un lato non avrebbe moderato la velocità adeguandola alle condizioni del momento (scarsa illuminazione, strada resa scivolosa dalla pioggia) e per altro verso, avrebbe dovuto evitare la buca, in quanto abitava nelle vicinanze, e si doveva quindi presumere che la conoscesse.

 

Il ricorso in Cassazione per caso fortuito per la prova presuntiva

Il conducente e la passeggera dello scooter hanno quindi proposto ricorso per Cassazione, sulla scorta di tre motivi.

In particolare, il primo denunciava un’errata interpretazione dell’art. 2051 cod. civ. in relazione anche all’articolo 1227 cod., civ, nel senso che la corte di merito avrebbe falsamente attribuito alla colpa del danneggiato la responsabilità dell’incidente, per via di una malintesa interpretazione della nozione di fortuito; con il secondo ed il terzo motivo, poi, i ricorrenti hanno lamentato la violazione delle norme che guidano la valutazione e l’ambito della prova (115 e 166 cod. civ.) e di quella presuntiva in particolare (2727 cod.civ.), nel senso che la corte di merito avrebbe attribuito valore di prova ad elementi (l’eccesso di velocità, la vicinanza della buca alla abitazione) che non avevano quel valore, ma soprattutto, che non erano allegati, e dunque non potevano essere assunti ad elemento di prova.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso nell’ordinanza n. 14908/19 depositata il 31 maggio 2019, nella quale ha anche colto l’occasione per rinfrescare i concetti che ruotano attorno al “caso fortuito” e alla prevedibilità ed evitabilità degli eventi.

La corte di merito infatti asseriva che la caduta nella buca fosse prevedibile e ricavava tale conclusione dalla circostanza che il danneggiato abitava nelle vicinanze: circostanza che faceva presumere la conoscenza dell’esistenza della buca, e quindi la prevedibilità del danno.

“L’elemento della prevedibilità è così ricavato da un indizio, da un fatto noto, che, secondo la corte, vale di per sé (ossia a prescindere dalla circostanza concreta) a far presumere conoscenza della buca e dunque prevedibilità dell’evento – chiarisce l’ordinanza della Cassazione – Invece, l’evitabilità di quest’ultimo è ricavata dalla corte dalla regola cautelare dell’andatura moderata: il danno sarebbe stato evitabile se fosse stata rispettata una andatura moderata”.

 

L’eccessiva velocità

Per gli Ermellini, tuttavia, le censure mosse dai ricorrenti a questo ragionamento sono più fondate.

Innanzitutto, la Suprema Corte “bacchetta” la Corte di merito per aver posto a base della decisione, quale elemento di prova, “un fatto inesistente, non allegato dalle parti, né altrimenti emerso” per citare il ricorso: quello della velocità del motociclo.

“Nel caso presente non risulta affatto che il conducente del motociclo stesse percorrendo la strada a velocità non adeguata – spiegano i giudici del Palazzaccio – O meglio, la corte non dice perché ritiene che l’andatura fosse eccessiva avuto riguardo allo stato dei luoghi, né indica alcun elemento (entità dei danni, tracce di frenata, o altro genere di indizio) da cui ha potuto inferire che l’andatura fosse elevata.

Non essendovi alcuna ragione per affermare ciò, il giudizio controfattuale sulla evitabilità del danno è sicuramente viziato. Non si può concludere che una velocità moderata avrebbe fatto evitare il danno, se non risulta né certo né probabile che la velocità fosse, al contrario, elevata o non adeguata alle condizioni della strada.

Con la conseguenza che la corte di merito pone a base della decisione un fatto assolutamente non risultante dagli atti di causa, in violazione dell’articolo 115 cd. proc. civ., norma che vieta di reputare esistenti prove o elementi indiziari in realtà inesistenti o non emersi in giudizio”.

 

La vicinanza della buca all’abitazione non può valere “di per sé”

Ma l’ordinanza si sofferma soprattutto sul primo motivo, quello relativo alla “buca sotto casa” e quindi “da conoscere”, e pertanto sulla prevedibilità dell’evento.

“La vicinanza della buca alla abitazione del danneggiato, oppure ai luoghi da quest’ultimo solitamente frequentati, è usata, nella prassi, quale indizio di prevedibilità dell’evento, e dunque quale indizio di un elemento della colpa, nel senso che, se la buca è li vicino, si presume, sulla base di massime di esperienza, che la si conosca.

Ciò rende l’evento prevedibile. Come è noto la prevedibilità dell’evento è altresì criterio per stabilire una regola cautelare, nel senso che gli eventi prevedibili, nei limiti del possibile, vanno evitati” prosegue la Cassazione, chiarendo però che questo criterio dell’accertamento della colpa del danneggiato va precisato.

“Infatti, l’elemento della vicinanza della buca ai luoghi frequentati di solito dal danneggiato, non può valere, da solo, di per sé, a far presumere la conoscenza della stessa e soprattutto della sua ubicazione, e dunque a far ritenere come prevedibile ed evitabile l’evento.

Un simile indizio non ha, di per sé, sufficiente gravità, ossia non ha la capacità di far indurre il fatto ignoto se da solo considerato, e va valutato in concreto, unitamente alle altre circostanze note, altrimenti si finisce con il far operare non solo una presunzione destituita di fondamento razionale, ossia di ciò che rende quel fatto (vicinanza della buca) un elemento indiziante, ma altresì si finisce con il far gravare sul cittadino l’obbligo cautelare di conoscere e ricordare l’ubicazione delle buche che stanno nelle vicinanze dei luoghi che frequenta solitamente, e di farne anche aggiornamento periodico, visto che le buche alcune spariscono ed altre compaiono anche a breve tempo di distanza”.

In altre parole, se la vicinanza della buca indica che doveva essere nota al conducente (o da questi conoscibile) a prescindere da altre circostanze del caso concreto, ossia, di per sé, “ciò avviene sulla base di una massima di esperienza che viene generalizzata, vale a dire che collega due classi di eventi astrattamente considerati, la classe della vicinanza del pericolo e la classe della prevedibilità del medesimo, e induce quest’ultima da quella, a prescindere dalle circostanze del caso.

Con la conseguenza che da questa astrazione si ricava poi una regola cautelare: chi ha la buca vicina è tenuto a conoscerla ed evitarla, e ciò, per l’appunto, a prescindere dalle circostanze del caso concreto”.

 

La posizione e la vicinanza della buca va valutata caso per caso

Invece, spiegano gli Ermellini, il significato indiziante di quel fatto (la vicinanza della buca), va valutato nella fattispecie singola, e non in astratto, tenendo conto delle circostanze del caso specifico.

Nello specifico, ad  esempio, come peraltro si dà atto nella stessa e sentenza di merito, la strada era buia, la buca era piena d’acqua, e dunque coperta, a causa delle precipitazioni recenti.

“Vi erano quindi questi altri indizi che andavano considerati insieme alla circostanza che la buca fosse vicino casa, e che andavano valutati insieme all’elemento della vicinanza”.

Laddove sussista una pluralità di fatti potenzialmente significativi, “il giudice di merito è tenuto a considerarli tutti, per verificare la loro concordanza, come preteso dall’articolo 2729 cod. civ., e cosi come è viziata la decisione che nega valore indiziario ad un fatto, senza prima aver valutato se esso concorda con gli altri fatti noti, allo stesso modo è viziata la decisione che attribuisce valore indiziario ad un fatto noto senza valutare se esso sia discordante quanto a tale valore con gli altri fatti noti emersi in giudizi”

Non tener conto di queste concrete circostanze, ribadisce la Cassazione, significa addossare al danneggiato “non solo l’obbligo cautelare di conoscere le buche a lui vicine, ma anche quello di ricordarne esattamente l’ubicazione, in modo tale che, quando, come nella fattispecie, non sono visibili, possono comunque essere evitate ricordandosi l’esatta loro collocazione.

Infatti, nel caso concreto, solo il ricordo preciso della ubicazione della buca, e non già la mera conoscenza che ve ne fosse una sul percorso, avrebbe consentito di evitare l’evento, dal momento che la buca non era visibile e sapere semplicemente che vi fosse non era sufficiente ad evitarla”. 

Il ricorso dunque è stato accolto con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro per un diverso esame.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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