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In via generale, in materia di responsabilità civile derivante da sinistri stradali, stante la presunzione del cento per cento di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all’art. 2054, comma 1, c.c., per la valutazione e quantificazione di un concorso del pedone investito occorre accertare, in concreto, la sua percentuale di colpa.

E nello specifico, la presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale impone sempre ai conducenti dei mezzi che sopraggiungono di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non potendo ritenersi una circostanza imprevedibile, ed al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità, la presenza degli occupanti delle vetture incidentate sulla strada.

Sono i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 17418/19 depositata il 28 giugno 2019 con la quale ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva addossato una corresponsabilità del 50% in capo ad un pedone investito.

 

Pedone investito da un’auto pirata mentre sta regolamentando il traffico dopo un incidente

Il caso è sicuramente particolare, per due ragioni: l’auto investitrice era “pirata” e il pedone non stava attraversando la strada ma aiutando le forze dell’ordine dopo un incidente.

Più precisamente, l’uomo stata coadiuvando un vigile del fuoco nella regolamentazione del traffico in conseguenza di un sinistro stradale nel quale era stato coinvolto un pullman di linea, come gli era stato chiesto dall’azienda di trasporti proprietaria dell’autobus e di cui era dipendente, quando è stato travolto da una vettura rimasta sconosciuta in quanto il conducente non si era fermato.

Per essere risarcito dei gravi danni fisici patiti, la vittima dell’investimento ha pertanto chiamato in causa Assicurazioni Generali Spa, in qualità di compagnia designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, che, com’è noto, interviene (o meglio, dovrebbe intervenire) nei casi in cui il veicolo responsabile dell’incidente sia sprovvisto di assicurazione o non si possa rintracciare.

Il Tribunale, tuttavia, gli aveva attribuito una colpa concorrente del 50% nel sinistro e la Corte d’Appello di Trieste aveva respinto il suo appello, confermando l’accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria: a nulla erano valse le sue obiezioni, non ultime il comportamento del tutto azzardato del conducente dell’auto non identificata, che aveva superato a forte velocità le macchine incolonnate per il pregresso incidente, e il fatto che egli indossasse regolarmente il giubbotto fosforescente e stesse utilizzando una pila per rendersi visibile sulla strada dove le macchine erano in coda.

La Corte d’Appello si è basata su un’annotazione di servizio dei carabinieri di Tolmezzo che avevano evidenziato il “il comportamento colposo del (omissis….) che, senza averne i poteri ed in evidente spregio alla disposizione di cui all’artr. 190 CdS, si mise a regolare il traffico veicolare , in una zona completamente buia, per di più nascosto da una semicurva alla visuale dei conducenti che provenivano da Tolmezzo”, ed ha confermato il pronunciamento dei giudici di primo grado.

 

Il ricorso per Cassazione

Il danneggiato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, obiettando, tra l’altro, di aver tenuto una condotta “virtuosa”, nel rispetto delle norme precauzionali (indossando giubbotto catarifrangente e pila), di aver svolto la funzione emergenziale di “moviere” del traffico, in osservanza dei doveri previsti dagli artt. 189 co 2 e 190 co 4 cpc, e che i giudici di merito avevano del tutto ignorato sia la gravità della condotta del pirata della strada sia il fatto che la sua presenza sulla carreggiata era motivata dalla cooperazione con i vigili del fuoco: l’attribuzione del concorso di colpa, cioè, non era fondato su una previa ricostruzione del comportamento dell’investitore, visto che la norma era stata applicata senza la preventiva descrizione della dinamica dell’incidente, né era stata valutata, al fine di inquadrare il sinistro, l’attività che egli stava svolgendo sulla carreggiata, in relazione alla quale non era stato considerato lo “stato di necessità” che consentiva di prevedere una deroga al divieto per i pedoni di indugiare o sostare sulla carreggiata.

Per la Suprema Corte i motivi sono fondati. (Anche) secondo la Cassazione i giudici d’appello in merito alla loro decisione hanno reso una motivazione meramente apparente ed assertiva, “contraddetta – laddove in cui si assume che il danneggiato non aveva mosso alcuna contestazione concernente la ricostruzione della propria condotta e di quella del conducente dell’auto pirata – dal tenore dell’atto d’appello e delle conclusioni in esso contenute, nonché dalla stessa annotazione di servizio dei Carabinieri di Tolmezzo riportata nel ricorso in relazione alla quale nessuna argomentazione è stata spesa al fine di giustificare la determinazione del concorso di colpa del (omissis) nella misura del 50% in relazione alla condotta da lui tenuta, valutata esclusivamente alla luce di una acritica interpretazione dell’art. 190 CdS ” spiegano gli Ermellini.

 

In caso di incidente chi sopraggiunge deve raddoppiare la prudenza

I quali aggiungono che nel caso in esame, tenuto conto che il nodo della controversia verteva sulla valutazione delle condotte delle parti coinvolte nell’incidente e che esso postulava un percorso argomentativo volto a ricostruire, confrontandolo, il comportamento di ciascuna di esse, “si osserva che la motivazione resa si risolve in un mero enunciato privo di corrispondente riferimento alle censure specificamente proposte dalla parte danneggiata.

Infatti, è stato chiarito che in materia di responsabilità civile derivante da sinistri stradali, stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all’art. 2054, comma 1, c.c., ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso del pedone investito occorre accertare, in concreto, la sua percentuale di colpa e ridurre progressivamente quella presunta a carico del conducente”.

Non solo. “E’ stato altresì affermato – proseguono i giudici del Palazzaccio -, in un caso sovrapponibile a quello in esame, che la presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale impone ai conducenti dei veicoli sopraggiungenti di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non potendo reputarsi circostanza assolutamente imprevedibile, ed al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità, la presenza degli occupanti della vettura incidentata sulla sede stradale in prossimità della vettura stessa”.

In buona sostanza, nell’investimento di un pedone, tutti gli orientamenti citati, pur prevedendo la possibile applicazione dell’art. 1227 c.c nonostante la presunzione di colpa del conducente del veicolo sancita dall’art. 2054 co 1 c.c., “postulano che la decisione sia fondata su un attento esame della condotta delle parti coinvolte, accompagnato da un bilanciamento delle responsabilità a ciascuna ascrivibile, anche alla luce della diversa ed impari potenzialità offensiva dei comportamenti tenuti”.

Nel caso in esame, invece, lamenta la Suprema Corte, nessuna considerazione è stata formulata dalla Corte territoriale “in ordine alla velocità dell’auto-pirata, decisiva al fine di ricostruire la dinamica del sinistro e l’eventuale ricorrenza di un concorso di colpa del pedone danneggiato, in mancanza della quale deve ritenersi che debba essere applicata la regola generale di cui all’art. 2054 c.c”.

“Inoltre – conclude la sentenza -, la condotta del pedone è stata valutata soltanto alla luce dell’art. 190 CdS, mentre risulta totalmente ignorata la disciplina di cui all’art. 189 CdS che contiene un comando di carattere generale e di tenore anche solidaristico, rivolto a tutti gli utenti della strada ( e cioè anche a quelli non direttamente coinvolti nell’incidente: cfr art. 189 co 3 CdS ) che devono, comunque, prodigarsi per evitare ogni intralcio alla circolazione (…)

Nessuna considerazione è stata spesa dalla Corte territoriale sul comportamento del danneggiato che, estraneo al sinistro e rispondendo ad una richiesta del datore di lavoro, si era recato sul luogo dell’incidente per coadiuvare il collega coinvolto nella collisione e si era prodigato con le forze dell’ordine per velocizzare le operazioni di sgombero della carreggiata, utilizzando anche le normali precauzioni per essere visibile; né la sua condotta, alla luce di tali circostanze, è stata valorizzata rispetto alla presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore, disciplinata dall’art. 2054 co 1 c.c.”

Ergo, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che dovrà riesaminare la controversia alla luce di questi principi di diritto.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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