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Nell’ambito dei giudizi di responsabilità medica, gli esiti del procedimento penale a carico di un sanitario non possono in alcun modo vincolare le sorti del procedimento civile, che viaggia su un binario autonomo.

A riaffermare e illustrare questo fondamentale principio la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22520/2019 depositata il 10 settembre 2019 su un tragico e complesso caso di mala sanità.

 

Medico condannato penalmente in primo grado, assolto in secondo

Il Tribunale penale di Modica, nel 2012, aveva condannato un medico alla pena (sospesa) di sei mesi di reclusione, al risarcimento del danno a favore della parte civile costituita ed al pagamento delle spese processuali, perché ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo avendo causato, per colpa professionale, la morte di un paziente.

Al dottore era stato rimproverato di essersi limitato ad eseguire sulla vittima – presentatasi alle 7 del mattino al pronto soccorso dell’Ospedale di Modica (in foto), dove egli prestava servizio, con disturbi respiratori, dolori allo stomaco, al petto e al braccio e alla parte laterale destra – una puntura intercostale e un elettrocardiogamma e di averlo dimesso, con la diagnosi di torocoalgia conseguente ad esofagite da reflusso, omettendo di effettuare un prelievo ematico, e di tenere il paziente in osservazione onde eseguire un nuovo ecocardiogramma o un ulteriore prelievo del sangue per controllare il dosaggio della troponina: accorgimenti che, secondo i giudici, avrebbero consentito di accertare e diagnosticare la malattia cardiaca ed avviare l’adeguato percorso terapeutico.

Il paziente, infatti, sarebbe deceduto di lì a poche ore per insufficienza cardiorespiratoria acuta, dissociazione elettromeccanica con arresto cardiaco irreversibili, dopo essere tornato poco dopo la mezzanotte al pronto soccorso, in ragione del protrarsi dei dolori toracici, accompagnati da senso di soffocamento, essere stato sottoposto ad un nuovo elettrocardiogramma che non evidenziava alterazioni ischemiche ed essere stato trattato per via infusionale con farmaco gastroprotettore. nLa Corte d’Appello di Catania, invece, aveva assolto l’imputato per assenza di prova del nesso causale tra la sua condotta omissiva e l’evento morte, con la formula “perché il fatto non sussiste”.

La Corte di Cassazione penale, con sentenza del 28/04/2015, n. 35528, sul ricorso promosso dalla parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, aveva annullato la sentenza gravata con rinvio al giudice civile competente affinché, con giudizio controfattuale, valutasse se, anche in presenza della patologia cardiaca da cui era affetta la vittima (aritmia ventricolare maligna) l’adesione da parte dell’attuale ricorrente alle linee guida avrebbe consentito di effettuare una diagnosi differenziale e di intervenire tempestivamente in modo risolutivo.

 

Il giudice del rinvio condanna il medico al risarcimento in sede civile

La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1587/2017, pubblicata il 12/09/2017, aveva quindi dichiarato la responsabilità professionale del medico, ne aveva rigettato l’appello interposto agli effetti civili avverso la sentenza n. 85/2012 del Tribunale di Modica, ne aveva confermato la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, condannandolo al pagamento di una provvisionale di 150mila euro.

E’ appunto contro questa sentenza che il medico ha proposto ricorso per Cassazione, adducendo tre motivi.

Con il secondo, in particolare, il dottore ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. “non essendosi il giudice di rinvio – asseriva  uniformato al quesito di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione penale e per non avere applicato le regole di diritto penale, essendo in questione ex art. 185 c.p. il danno da reato, nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nella parte in cui si accerta la morte del (omissis) non attraverso la violazione delle linee guida in riferimento all’aritmia ventricolare maligna, ma con riferimento all’ischemia cardiaca, malattia non accertata da nessun elemento scientifico e contraddetta dall’esame istologico”.

Il dottore dunque ha sostenuto la tesi che, investendo la richiesta rivolta al giudice del rinvio dalla parte civile l’an ed il quantum debeatur per un fatto previsto dalla legge come reato che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, il giudice del rinvio avrebbe dovuto attenersi ai limiti tracciati dal giudicato penale, essendo stato il giudizio di rinvio disposto solo ai fini della responsabilità civile, e applicare le regole del giudizio penale: il ricorrente ha rimproverato al giudice del rinvio di aver violato l’art. 384 c.p.c., per essersi non solo discostato dal principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione penale, ma anche per averlo travalicato, modificando la causa del decesso della vittima, individuandola in una ischemia piuttosto che in una aritmia ventricolare maligna.

A suo avviso, però, la causa della morte avrebbe dovuto considerarsi coperta da giudicato interno, in assenza di impugnazione sul punto da parte del Pubblico Ministero o di censura formulata dalla parte civile con il ricorso per cassazione.

 

Le questioni in discussione

Le questioni controverse poste dal ricorso sono pertanto queste: se ai fini dell’accertamento del nesso causale tra condotta omissiva ed evento nel giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., in seguito all’annullamento della sentenza penale limitatamente ai capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile, il giudice del rinvio sia vincolato o meno alle statuizioni sul punto emergenti dalla pronuncia della Corte di Cassazione penale, come pretendeva il ricorrente, ovvero se, fermo l’accertamento dei fatti materiali operato dal giudice penale, il giudice del rinvio possa rivalutarli in via autonoma qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno.

Inoltre, se il giudice civile sia tenuto ad applicare le regole di giudizio del diritto penale e non le distinte regole di giudizio consolidatesi nella giurisprudenza civile; e se, ai fini dell’accertamento del nesso di causa, il giudice del rinvio debba avvalersi della regola propria del processo penale (basato sul giudizio di alta probabilità logica, per cui un evento deve considerarsi causato da un comportamento omissivo, solo ove si accerti, con un giudizio controfattuale che, considerata realizzata la condotta doverosa omessa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo oppure si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva) o di quella adottata nel processo civile, della preponderanza dell’evidenza, per cui un evento è da ritenere causato da un dato comportamento quando il suo verificarsi per effetto di quel comportamento sia più probabile che non il suo contrario.

 

La Cassazione respinge il ricorso: il giudizio civile è autonomo rispetto a quello penale

Dopo una lunga disquisizione sul nodo preliminare da sciogliere, riguardante i rapporti – se di autonomia o di indipendenza – del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. rispetto al giudizio penale conclusosi con la sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Corte di Cassazione penale, la Cassazione conclude che “il giudizio in sede civile conseguente alla cassazione della sentenza penale sia autonomo sostanzialmente e funzionalmente da quello penale e legato ad esso solo dal punto di vista formale, rappresentando il giudizio di rinvio, ex art. 622 c.p.p., la via fisiologica per transitare dal processo penale a quello civile quando parte impugnante sia la parte civile: non essendo più in discussione i temi centrali del giudizio penale, quali la sussistenza del fatto, la sua illiceità e l’attribuibilità all’imputato, l’ulteriore svolgimento del giudizio davanti al giudice civile si configura come prosecuzione solo formale del processo penale, giacché presenta quell’autonomia strutturale e funzionale che concretizza la scissione tra le materie oggetto del giudizio, con la restituzione dell’azione civile alla giurisdizione cui essa naturalmente compete”.

Nella sostanza, nel giudizio di rinvio, secondo la Suprema Corte, non vi è più spazio per ulteriori interventi del giudice penale, essendo venuta meno l’esigenza di qualunque accertamento agli effetti penali; “il processo sul versante penalistico risulta del tutto esaurito ed il seguito appartiene al giudice civile, alla sua competenza ed alle regole proprie del processo civile”.

A supporto della fondatezza della tesi che svaluta il carattere prosecutorio del giudizio di rinvio, esaltandone, invece, le caratteristiche di autonomia ed indipendenza, la Cassazione cita tra le altre la sentenza “Sciortino” delle stesse Sezioni unite penali della Suprema Corte, che hanno ritenuto applicabili, nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 . c.p.p., le regole e le forme della procedura civile.

 

La conclusione

Ecco dunque la conclusione che si impone   sentenziano gli Ermellini -: il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. è un giudizio trasmigrato dalla sede penale a quella civile, in quanto più consona ad accertare, senza deroghe e limitazioni alle regole processuali civilistiche ed a quelle sostanziali, una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l’interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del “fatto” (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall’altro”.

Passando caso specifico, secondo la Suprema Corte la Corte d’Appello, dopo aver adeguatamente motivato la propria scelta, senza incorrere in vizi logico-giuridici, “ha adottato la regola del più probabile che non, propria del giudizio civile, e, dopo aver svolto una puntuale analisi di tutte le emergenze istruttorie, ha ritenuto che la morte della vittima fu causata da un errore diagnostico che indusse l’odierno ricorrente a non attenersi alle linee guida applicabili nel caso di paziente sospettato di avere una patologia cardiaca”.

“A prescindere dall’esito negativo dell’elettrocardiogramma – aggiungono i giudici del Palazzaccio – e dal fatto che la morte del paziente fosse riconducibile ad ischemia o ad aritmia ventricolare maligna, anche ipotizzando che un monitoraggio strumentale eseguito tra il primo ed il secondo elettrocardiogramma non avrebbe evidenziato alterazioni significative e che l’esame degli enzimi ematici non avrebbe rilevato la concentrazione di troponima, l’applicazione della regola della preponderanza dell’evidenza, in assenza di ogni altra causa possibile del decesso, ha correttamente indotto il giudice del rinvio ad affermare che se il paziente fosse stato ricoverato in osservazione il ricorrente sarebbe giunto, anche consultando un medico specialista che avrebbe potuto eseguire un ecocardiogramma, alla giusta diagnosi ed avrebbe potuto intraprendere le terapie, che avrebbero potuto, se pur senza certezza, risolvere la manifestazione acuta della patologia e stabilizzare farmacologicamente il paziente al fine di trasferirlo in un centro di emodinamica”.

Il ricorso è stato dunque respinto e la condanna del medico al risarcimento confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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