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Come si è avuto modo di ripetere spesso, anche il committente dei lavori non va esente da responsabilità se accade un infortunio ad un lavoratore, ma ciò vale in particolare quando l’incidente è collegato strettamente alla conformazione dell’ambiente di lavoro, che non è riconducibile alla natura specialistica degli interventi commissionati all’impresa appaltatrice.

E a nulla vale l’obiezione, da parte della committenza, di non essere esperta in lavori edili, tanto più se si omettono di nominare figure professionali richieste per legge nei cantieri, come quella del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione delle opere, che è altro dal direttore dei lavori.  A chiarire questi principi la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n. 21072/22 depositata il 31 maggio 2022.

Committente condannata per omicidio colposo per tragica la morte di un operaio

Confermando integralmente la sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli del 2018, nel 2021 la Corte d’Appello partenopea aveva ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, per un tragico infortunio occorso nel 2009,  anche la committente di un intervento di ristrutturazione edilizia, condannandola di conseguenza, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, a favore delle parti civili, con assegnazione di una provvisionale.

In estrema sintesi era accaduto che un carpentiere dipendente della ditta di costruzioni che stava eseguendo i lavori, mentre stava trasportando all’interno del cantiere materiali di risulta con una carriola, era scivolato all’interno di un’ampia e profonda buca, non protetta da recinzioni o altre opere, quantomeno lungo il lato che stava percorrendo, che era stata realizzata per porre le fondazioni di un immobile da costruire. Il malcapitato, dopo un volo di tre metri e mezzo, era finito letteralmente “infilzato” in un “ferro in attesa” che fuoriusciva da una trave in cemento, e che non era protetto dai prescritti “cappelletti” di protezione. L’operaio, nonostante la rapidità dei soccorsi, era deceduto per le gravissime lesioni interne riportate, avendo il ferro trapassato il suo corpo dal fianco alla testa.

La donna non aveva nominato alcune figure tecniche richieste né predisposto il Pos

Per l’ennesima morte bianca erano stati riconosciuti responsabili di omicidio colposo all’esito del giudizio di primo grado, sotto diversi profili, con condotte colpose tra loro indipendenti, la proprietaria del terreno e committente dei lavori per la realizzazione dell’immobile, il titolare della ditta esecutrice dei lavori ed il direttore dei lavori. La sentenza del Tribunale, impugnata dai primi due imputati, come detto era stata integralmente confermata. La donna, in particolare, era stata ritenuta (cor)responsabile, in qualità di committente dei lavori e di titolare del permesso di costruire, per non avere nominato un responsabile per la sicurezza, non avere predisposto il Piano Operativo per la Sicurezza, il Pos, e non avere nominato il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione delle opere, figura necessaria che va incaricata o da parte della committenza o della impresa esecutrice, ai sensi dell’art. 90, commi 3 e 4, del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, quando è prevista la presenza, anche se non contemporanea, di più imprese nel cantiere.

 

L’imputata ricorre per Cassazione contestando la rilevanza causale delle omissioni

La committente tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione, contestando la rilevanza causale nel caso di specie della mancata indicazione del coordinatore per la sicurezza. Secondo la ricorrente, la decisione impugnata non avrebbe tenuto conto dei principi espressi dalla Corte di legittimità, che, sosteneva, in più occasioni aveva ribadito che la responsabilità del committente, nel caso di infortunio del lavoratore, non può essere riconosciuta automaticamente, in quanto non si può prescindere da un’analisi fattuale al fine di verificare, in concreto, quale sia stata l’effettiva incidenza della sua condotta nella eziologia dell’evento.

Secondo la tesi difensiva, la Corte d’appello si sarebbe limitata a richiamare quanto argomentato dal Tribunale circa la mancata indicazione del coordinatore per la sicurezza, omettendo totalmente di verificare in concreto se vi fosse stata effettiva ingerenza della committenza nell’esecuzione dei lavori e se essa avesse riservato a sé poteri tecnico-organizzativi sull’opera da eseguire o se avesse percepito eventuali situazioni di pericolo per i lavoratori.

La proprietaria del terreno ha altresì evidenziato come dall’istruttoria fosse emerso che i tecnici comunali, in occasione dei sopralluoghi precedenti l’infortunio, non avevano constatato alcuna irregolarità né dal punto di vista documentale né dal punto di vista della predisposizione dei mezzi di sicurezza, parlando di “motivazione lacunosa e addirittura soltanto apparente” nella parte della sentenza impugnata laddove si farebbe discendere la responsabilità dell’imputata dalla semplice mancata indicazione del coordinatore per la sicurezza, omettendo di riflettere sull’esistenza del nesso di causalità tra l’azione o la omissione dell’imputata e l’evento, anche tenendo conto dell’incontestabile assenza della stessa dal cantiere durante i lavori, della mancanza di qualsiasi direttiva impartita da lei, del suo livello culturale minimo e della documentata presenza delle comunicazioni di inizio lavori da parte della ricorrente con l’indicazione dei progettisti, del collaudatore, del direttore dei lavori e dell’impresa edile esecutrice.

Ma per la Suprema Corte, il ricorso è “manifestamente infondato”. La Cassazione prende le mosse dalla previsione dell’art. 90, commi 3 e 4, del d. Igs. 81 del 2008, che recita: “nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione. Nel caso di cui al comma 3, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98”.

 

La fondamentale figura del coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori

Gli Ermellini rimarcano quindi come la sentenza della Corte di merito avesse già replicato già all’appello, dove pure si contestava la rilevanza causale nel caso di specie della mancata indicazione del coordinatore per la sicurezza, asserendo che “l’obbligo di nominare il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori imposto al committente riveste, all’evidenza, fondamentale importanza in quanto il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art. 92 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, oltre ad assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell’incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni”.

Se fosse stato nominato il cantiere sarebbe stato più rispettoso delle misure di sicurezza

Pertanto, viene al dunque la Suprema Corte, essendo questo il quadro e la ratio normativa di riferimento, “appare chiaro che con la violazione del disposto di cui all’art. 90 d.lgs. 81/08 l’imputata abbia, con la sua condotta omissiva, colposamente contribuito alla realizzazione del terribile evento”. I giudici del Palazzaccio sostengono inoltre che la tesi difensiva, che vorrebbe l’appellante estranea rispetto ai fatti in quanto non dotata della preparazione tecnica necessaria, tanto da non essersi mai recata sul cantiere, ovvero di avere per così dire delegato i suoi compiti al direttore dei lavori, “non è sostenibile”. Infatti, prosegue la Suprema Corte, la figura del direttore dei lavori “svolge un’attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del progetto nell’interesse del committente ed è figura ben diversa da quella del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione delle opere, la cui nomina, nel caso di specie, era necessaria da parte della committente. Infatti, ove l’imputata avesse assolto agli obblighi imposti dalla legge, verosimilmente il cantiere sarebbe stato allestito in modo diverso, più rispettoso delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e si sarebbe potuta evitare la morte del lavoratore. Sussiste, pertanto, il richiesto nesso eziologico tra la condotta colposa omissiva dell’appellante e l’evento”.

Per la Cassazione il ragionamento dei giudici di merito è corretto e logico, “vertendosi nel caso di specie in tema di obblighi facenti capo al committente in relazione alla nomina del coordinatore ed essendo stata accertata in punto di fatto la sussistenza di lavori di scavo non muniti delle opere provvisionali necessarie a prevenire la caduta, la mancata predisposizione dell’armatura o del consolidamento del terreno, risultando, per effetto di tali omissioni, lo scavo non protetto, e la mancata apposizione del “cappelletti” di protezione sopra i ferri di attesa“.

 

Committente sempre responsabile se l’infortunio è legato alla conformazione dell’ambiente

In conclusione, ed è la parte della sentenza che più preme, la decisione impugnata è in linea con “consolidati principi puntualizzati anche recentemente dalla Corte di legittimità” secondo gli Ermellini, che con l’occasione li richiamano: “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rischio derivante dalla conformazione dell’ambiente di lavoro grava sul committente, perché, inerendo all’ambiente di lavoro, non è riconducibile alla natura specialistica dei lavori commissionati all’impresa appaltatrice”: applicando questo principio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5802/21, aveva confermato la responsabilità del committente per il reato di lesioni colpose in relazione all’infortunio occorso a un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice, addetto all’autobetoniera, investito da una scarica elettrica in quanto il braccio del mezzo, manovrato con radiocomando da altro lavoratore dipendente della stessa impresa, era stato alzato sino a giungere in prossimità di un elettrodotto sovrastante il cantiere di proprietà del committente stesso.

Anche la committenza privata non “professionale” ha i suoi doveri

Ancora, la Suprema Corte cita un ulteriore principio sulla scorta del quale, “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente privato non professionale che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, pur non essendo tenuto a conoscere, alla pari di quello professionale, le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale, ha comunque l’onere di scegliere adeguatamente l’impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla Camera di Commercio, che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell’art. 14, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, altrimenti assumendo su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza”.

Il ricorso è stato pertanto rigettato e la condanna della committente dei lavori confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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