Il datore di lavoro, in quanto “garante della sicurezza”, deve impartire particolari prescrizioni e fornire adeguate informazioni ai propri dipendenti, tanto più se neoassunti: viceversa, risponde degli infortuni di cui siano rimasti vittima.
A riaffermare con forza questo principio due recenti e autorevoli provvedimenti, a cominciare dall’ordinanza del 19 dicembre 2017 con cui la Corte di Cassazione sezione Lavoro ha rigettato l’appello contro la sentenza di primo grado e della Corte d’Appello di Caltanisetta presentato dalla titolare di una impresa edile che era stata condannata a rifondere all’Inail una somma di oltre 50mila euro a titolo di regresso per l’infortunio sul lavoro occorso a un proprio dipendente, neo assunto, che era caduto al suolo da un’impalcatura su cui era salito per verificare la stabilità del ponteggio esistente, riportando gravissime lesioni. A fondamento della sentenza la Corte d’appello sosteneva che gravasse sul titolare dell’impresa il preciso obbligo non solo di fornire, ma anche di assicurarsi che il lavoratore facesse effettivo uso del casco e della cintura di sicurezza, aggiungendo anche che non si poteva ritenere che il comportamento posto in essere dall’operaio (salire sulla parte non calpestabile del ponteggio e appoggiare il piede sulla mantovana) fosse connotato da abnormità e/o imprevedibilità.
Ebbene, nel respingere i motivi addotti dalla ricorrente, la Cassazione chiarisce che “le censure sono infondate anche nel merito, atteso che l’infortunio è avvenuto sul luogo di lavoro e nell’esecuzione di una attività lavorativa in relazione alla quale lo stesso datore di lavoro, il quale accampa come propria giustificazione di “non avere impartito nessuna direttiva al lavoratore”, sostiene nel contempo di avergli fornito i necessari mezzi di sicurezza; mentre egli, oltre che fornire i presidi di protezione, aveva il preciso obbligo di individuare anzitutto ogni situazione di rischio presente sul luogo di lavoro, di informare tempestivamente e dettagliatamente il lavoratore e di sottoporlo alla opportuna vigilanza in ordine al corretto impiego dei medesimi mezzi di prevenzione, essendo tra l’altro al suo primo giorno di lavoro”. Ancora, che “salire su una parte non calpestabile del ponteggio ed appoggiare un piede su una mantovana non costituisce comportamento connotato da abnormità e/o imprevedibilità in quanto non esorbitava dall’attività lavorativa; posto che il lavoratore infortunato era salito sul ponteggio, in quella parte ove erano sistemate delle mantovane costituite da due tavole poste al riparo dei calcinacci, proprio al fine di procedere allo smontaggio delle stesse; in quanto il punteggio esistente doveva essere smontato, perché già ritenuto non conforme alle esigenze di sicurezza, e ciò richiedeva, evidentemente, l’impiego di una ulteriore attenzione e di una supplementare cautela da parte del datore di lavoro, garante della sicurezza, il quale ha invece adibito ad una attività particolarmente pericolosa un lavoratore al primo giorno di assunzione, senza dargli adeguate informazioni e vincolanti prescrizioni”.
Si tratta delle stesse conclusioni a cui è giunta recentemente, su un caso per certi versi analoghi, la Procura di Vicenza, che ha emanato un decreto di citazione diretta in giudizio per il datore di lavoro di un giovane apprendista, assunto da neanche due mesi, mandato letteralmente allo sbaraglio da solo in un tetto che doveva bonificare dall’amianto: il lavoratore, staccatosi temporaneamente dalla linea vita per recuperare un arnese, era scivolato cadendo di sotto dall’altezza di oltre sei metri e riportando traumi gravissimi, e aveva persino ricevut una nota disciplinare per la sua “disattenzione” dal titolare mentre si trovava ancora in pericolo di vita in Rianimazione.
Ora la parziale rivincita. Il titolare dovrà rispondere del delitto di lesioni colpose gravi “perché, nella sua qualità di amministratore unico della *** e datore di lavoro di ***, operaio addetto alla copertura di edifici produttivi con bonifica, cagionava lesioni personali gravi al lavoratore (…) con malattia superiore ai 40 giorni, con colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché in violazione dell’art. 77 del decreto legislativo 81/2008 e delle disposizioni contenute nell’allegato VIII dello stesso decreto, per non avere fornito al lavoratore una completa formazione sull’uso dei dispositivi di protezione individuale e adeguato addestramento all’utilizzo corretto egli stessi, esponendolo al rischio, poi verificatosi, di caduta dall’alto. In particolare, il lavoratore stava proseguendo nelle operazioni di bonifica della copertura del tetto di un fabbricato industriale, con indossata l’imbragatura, essendosi momentaneamente sganciato dalla linea vita esistente, per il corretto passaggio da una trave ad Y ad un’altra trave a Y, a causa del difetto di formazione sul corretto utilizzo dei dispositivi anti-caduta, raccoglieva una smerigliatrice presente sopra un cupolino, che si rompeva, provocando la caduta dall’alto del lavoratore che si cagionava le lesioni descritte”.
Il messaggio è sempre lo stesso: investire in sicurezza significa salvare vite umane ed evitare maxi-risarcimenti.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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