Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Tra i casi di malpractice medica, uno dei più frequenti riguarda fatti, spesso anche tragici, verificatisi per la condotta omissiva da parte di un sanitario che aveva l’obbligo di impedire quell’evento, o quanto meno di tentare di evitarlo.

Ma quando a un medico o ad un operatore può essere contestato a ragione il cosiddetto reato omissivo improprio? A chiarire la questione è la sentenza n. 11729/21 depositata il 29 marzo 2021 dalla Corte di Cassazione su una vicenda emblematica e drammatica.

 

Medico dell’elisoccorso condannato per non aver trasportato un giovane paziente all’ospedale

La Corte d’appello di Trieste, confermando peraltro la sentenza di primo grado, aveva condannato una dottoressa dell’ospedale di Pordenone alla pena sospesa di un anno di reclusione ed al risarcimento del danno nei confronti dei familiari della vittima per aver causato per colpa la morte di un giovane di appena 34 anni, il 4 agosto 2013. In seguito all’allarme lanciato dagli amici della vittima, che aveva fatto un’escursione in bici e si era sentito male, il medico rianimatore era intervenuto con l’elicottero dell’elisoccorso, alle 18.08, aveva effettuato una raccolta di dati anamnestici “alquanto sommaria”, secondo i giudici, e anziché trasportare immediatamente il paziente nell’ospedale più vicino, lo aveva “abbandonato a se stesso”, raccomandandogli di non praticare sforzi e di recarsi da solo presso un ospedale per l’esecuzione di un elettrocardiogramma.

Purtroppo però non ci sarebbe stato il tempo: il trentaquattrenne poco dopo si era sentito nuovamente male e, soccorso questa volta da sanitari austriaci (si era al confine con l’Austria, nella zona di Tarvisio), era giunto in elicottero, in stato di rianimazione cardio-polmonare, all’ospedale di Klagenfurth, dove però era deceduto alle 21,35 di quella stessa giornata per infarto miocardico acuto della parete anteriore con occlusione trombotica dell’arteria coronarica discendente.

 

La dottoressa ricorre per Cassazione contestando il nesso di causa

Il medico ha quindi proposto ricorso per Cassazione, con un unico motivo, adducendo il vizio di motivazione, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., relativamente all’esistenza del nesso causale tra la sua condotta colposa ed il decesso della vittima. A suo dire tutto il ragionamento dei giudici dei merito sarebbe stato fondato su un dato di fatto errato, e cioè sulla ritenuta possibilità per l’elicottero dell’elisoccorso, ripartito non dopo le ore 18,30 dal luogo ove si trovava il giovane, di raggiungere, prima della crisi del paziente alle ore 19,23, l’ospedale di Udine, ove sarebbero state eseguite con successo le manovre salvifiche.

Una conclusione che invece sarebbe stata non solo in contrasto con il documento “dettaglio missione”, da cui risultava annotato che questa si era conclusa alle ore 18,52, ma manifestamente illogica, in quanto non avrebbe tenuto conto del tempo necessario per il trasferimento del paziente con la barella dalla baita al luogo di atterraggio dell’elicottero, in cima al monte, per il suo caricamento e per il recupero dell’infermiere e dell’attrezzatura.

Ma per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile, in primis dal punto di vista “formale” limitandosi a “contestare la ricostruzione dei fatti effettuata, in modo esaustivo e del tutto congruo, dai giudici di merito” premette subito la Cassazione, rammentando per l’ennesima volta che “nel giudizio di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà. In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito”.

 

Ci sarebbero stati il tempo, il modo e l’attrezzatura necessaria per salvare il paziente

I giudici del Palazzaccio, tuttavia, entrano comunque nel merito asserendo che la “Corte territoriale ha individuato l’orario di ripartenza dell’elicottero (all’incirca alle 18,30, cioè, ben prima di quello indicato nella scheda della missione come orario di chiusura) in modo del tutto ragionevole, alla luce del complessivo quadro indiziario (e, cioè, delle deposizione di una pluralità di testi), e ha, inoltre, ritenuto che, anche tenendosi conto dei minuti aggiuntivi occorrenti per decollo e atterraggio e per i trasbordi del paziente, vi sarebbero state elevate probabilità, confinanti con la certezza, di un intervento tempestivo dei sanitari essendo sufficiente un lasso temporale di circa 20 minuti per raggiungere Udine in elicottero, stante le favorevoli condizioni atmosferiche e l’ora diurna”.

Gli Ermellini, al riguardo, citano anche la sentenza di primo grado secondo la quale, se l’imputata avesse optato per “quella che appariva essere la soluzione più logica e più appropriata, anche in base al comune buon senso, in ragione sia delle condizioni cliniche del paziente, sia della natura montuosa dei luoghi, nella migliore delle ipotesi la vittima sarebbe giunto all’ospedale di Tolmezzo o quello di Udine prima del manifestarsi della crisi cardiaca, nella nella più sfavorevole delle ipotesi tale crisi si sarebbe manifestata nella parte conclusiva del tragitto aereo e nell’imminenza dell’atterraggio, di modo che il medico avrebbe potuto praticare a bordo dell’elicottero o immediatamente dopo l’atterraggio le prime e indispensabili manovre rianimatorie, nelle quali era specializzata, quali intubazione, massaggio cardiaco, defibrillazione, somministrazione di adrenalina, trombolitici, vasocostrittori e altri farmaci”. Nella dotazione dell’elicottero, per inciso, erano inclusi il materiale per intubazione, il pallone manuale auto-espandibile, l’elettrocardiografo, il defibrillatore, i farmaci di emergenza e altri presidi per gli interventi urgenti.

In definiva, secondo la Cassazione i giudici di merito hanno correttamente quantificato, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, “il tempo di trasporto della vittima in un ospedale, tenendo conto anche delle operazioni indicate dal ricorrente, sebbene non analiticamente descritte, e delle relative oscillazioni della loro durata”. La Suprema Corte aggiunge anche come la tesi difensiva risulti alquanto vaga, “in quanto non si confronta né con l’orario effettivo della morte del paziente (alle ore 21,35), facendo riferimento solo all’orario dell’inizio della seconda crisi, né con la possibilità, da parte del medico, di porre in essere, laddove si fosse optato per il trasporto aereo, manovre più adeguate di quelle effettuate dagli amici per fronteggiare il malore, grazie non solo alla maggiore competenza, ma anche alla disponibilità di attrezzature e farmaci: elementi che, in maniera del tutto logica, sono stati ritenuti rilevanti dai giudici di merito nell’accertamento del nesso causale

E per completezza di informazione, gli Ermellini convengono con la prospettazione dell’accusa e con i giudici territoriali anche laddove si sottolineava come “la diligenza avrebbe richiesto un rapido e tempestivo intervento a decorrere fin dall’inizio della visita, da collocarsi, alle ore 18.08”, e che si era irragionevolmente protratta per tre quarti d’ora concludendosi, come detto, con un mancato intervento.

 

Come va inquadrato il reato colposo omissivo improprio

Ed è qui che la Cassazione, nel ribadire che la sentenza impugnata risulta al contrario correttamente motivata e conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, spiega che “nel reato colposo omissivo improprio, da un lato, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (la cosiddetta prova controfattuale, ndr) e, dall’altro lato, il giudizio di alta probabilità logica deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”.

In conclusione, ricorso respinto e condanna del medico confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Blog Malasanità

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content