L’assoluzione di un imputato nel giudizio penale “perché il fatto non sussiste” non preclude la possibilità di pervenire, nel giudizio di risarcimento dei danni intentato nei suoi confronti, all’affermazione della sua responsabilità civile, alla luce del diverso “configurarsi” in quest’ultimo ambito dell’elemento della colpa e delle modalità di accertamento del nesso di causa.
Il giudice civile, peraltro, può (non ne ha l’obbligo) ben utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato, fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti in quella sede e riconsiderare autonomamente la fattispecie.
Con l’importante ordinanza n. 12164/21 depositata il 7 maggio 2021, la Cassazione riafferma l’autonomia del giudizio civile e fornisce anche una serie di preziosi chiarimenti circa l’efficacia delle prove penali in sede – appunto – civile.
Indice
Il lungo iter giudiziario per un sinistro stradale mortale
La Suprema Corte si è ritrovata a guidare su un tragico e giuridicamente complesso caso di incidente stradale mortale. La Cassazione, con sentenza del 2016, aveva già cassato una sentenza civile relativa alla vicenda, rinviando alla Corte d’appello di Cagliari per la definizione della liquidazione dei danni spettanti ai familiari di un uomo che aveva perso la vita nel 2008. La vittima, alla guida di un’Ape Piaggio, mentre si apprestava ad attraversare la Provinciale 126, si era scontrato con la Mercedes 200 condotta da un automobilista, che era stato indagato per omicidio colposo.
I familiari nel procedimento penale si erano costituti parte civile ma il conducente della Mercedes era stato assolto dai giudici, che avevano ascritto l’intera responsabilità del sinistro a guidatore dell’Ape.
La Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, aveva riconsiderato la vicenda ritenendo invece una concorrente responsabilità della vittima (nella misura dell’80 per cento) e dell’automobilista (nella misura del 20 per cento) nella causazione del sinistro, e per l’effetto liquidando somma a titolo di risarcimento dei danni in favore dei congiunti del defunto, detratta la percentuale di responsabilità del sinistro attribuita a questi.
I suoi cari hanno tuttavia riproposto ricorso per Cassazione adducendo quattro motivi di doglianza. La Suprema Corte li ha rigettati tutti ritenendoli inammissibili, innanzitutto sotto svariati aspetti formali e giuridici, a cominciare dal mancato rispetto del requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa.
Il giudizio penale e quello civile
Gli Ermellini, tuttavia, colgono l’occasione per chiarire alcuni concetti nel rapporto tra giudizio penale e civile, alla base di due motivi del ricorso, e ripercorrono innanzitutto ciò che era stato accertato relativamente al sinistro, avvenuto, rammentano, tra una Mercedes che procedeva in direzione Sant’Antioco-Carbonia, il cui conducente, nonostante la presenza della linea continua di mezzeria e di un segnale di pericolo di intersezione con diritto di precedenza, nonché di una colonna di veicoli che limitava la visuale, aveva effettuato una manovra di sorpasso invadendo quasi completamente la corsia del senso opposto di marcia, e il motocarro Ape Piaggio condotto dalla vittima che, provenendo da una laterale, non si era fermato al segnale di “stop” .
Ma i giudici del Palazzaccio ricordano soprattutto due principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità: “l’assoluzione dell’imputato nel giudizio penale secondo la formula “perché il fatto non sussiste” non preclude la possibilità di pervenire nel giudizio di risarcimento dei danni intentato a carico dello stesso all’affermazione della sua responsabilità civile, in ragione del diverso atteggiarsi in tale ambito sia dell’elemento della colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità di materiale”.
Il giudice civile può ben utilizzare le fonti di prova acquisite nel procedimento penale
E a maggior ragione, laddove, come nel caso specifico, l’assoluzione dell’imputato nel giudizio penale à stata emessa secondo la formula “perché il fatto non costituisce reato”, “ben può il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, utilizzare (non avendone peraltro l’obbligo) come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata, e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede all’esito del relativo diretto esame, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione, con pienezza di cognizione, al fine di accertare fatti materiali in base al relativo proprio vaglio critico”.
Ebbene, secondo la Cassazione, la Corte territoriale, facendo buon uso di tali principi, ha effettuato “un’autonoma valutazione complessiva dei fatti e dell’efficienza causale del comportamento colposo di ciascuno dei corresponsabili”: la vittima non solo non si era arrestata allo stop al termine della strada laterale, ma non aveva neppure effettuato una manovra di “affaccio” sulla Provinciale per verificare la presenza di altri mezzi, immettendosi direttamente nel flusso della circolazione senza nemmeno controllare la situazione del traffico su quella strada e senza avvedersi dell’auto condotte da una donna, che era riuscita a evitarlo, e dall’indagato, che procedeva alle spalle di quest’ultima.
I giudici, considerate poi le dichiarazioni dell’imputato circa la manovra di fortuna che egli aveva posto in essere, ossia sterzare sulla propria sinistra, aveva concluso che questi, più che attuare un sorpasso dell’autovettura che lo precedeva, si fosse “allargato” per evitare di tamponarla, trovandosi a quel punto la strada ostruita dal motocarro che aveva proseguito la sua manovra di immissione sulla Provinciale ed era arrivato al centro della carreggiata, all’altezza della linea di mezzeria.
Per converso, tuttavia, la Corte d’appello aveva preso atto che l’automobilista viaggiava ad una velocità che, se pur contenuta nei limiti stabiliti su quella strada, non era adeguata alle condizioni di luogo, per la prossimità di un incrocio debitamente segnalato, che rendeva prevedibile la presenza di un mezzo che provenisse dalla strada laterale e che imponeva di tenere un’andatura più moderata la quale avrebbe consentito, come accertato dal perito del Tribunale, di attuare una “tempestiva azione frenante”.
Considerate tali risultanze probatorie, la sentenza impugnata è dunque pervenuta ad ascrivere la causazione del sinistro al concorso di colpa di entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti, ravvisando la prevalente responsabilità del conducente del motocarro nell’80% e dell’automobilista nel restante 20%, e assolvendo anche l’obbligo della motivazione circa la maggiore o uguale gravità dell’una o dell’altra colpa: accertamento in termini percentuali del concorso di colpa che, vanno a concludere gli Ermellini, “costituisce il frutto di un procedimento logico e non matematico” e il cui apprezzamento si sottrae peraltro al sindacato di legittimità.
Dunque, ricorso rigettato e sentenza della Corte d’Appello di Cagliari confermata in toto.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Blog Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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