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Una “epidemia“: questa l’espressione utilizzata per descrivere l’impennata che la pratica del parto cesareo ha subìto negli ultimi anni in Italia. Nascere è diventata sempre più una “questione chirurgica“, come dimostrano i dati del Ministero della Salute che, relativamente al solo 2015, hanno evidenziato che il 34,1% dei bambini è venuto al mondo tramite parto cesareo. Percentuali che collocano l’Italia al primo posto tra i Paesi europei quanto al numero di cesarei. La cultura del “parto naturale” sembra essere meno diffusa in Campania, regione sopra la media nazionale per quantità di cesarei (quasi 60%), seguita da Sicilia, Puglia e Lazio. Le più virtuose sono Toscana e Valle d’Aosta, mentre un vero e proprio modello potrebbe essere giudicato quello del Trentino Alto-Adige, le cui nascite chirurgiche rasentano il  10%.

Questi numeri hanno spinto i parlamentari italiani a intervenire a difesa del parto naturale, in quanto si ritiene che non sempre la scelta del cesareo sia libera e consapevole, ma piuttosto indotta dai medici per ragioni economiche e organizzative. Lo dimostrano le proposte di legge che ruotano intorno alla partoriente e al neonato, come quella d’iniziativa del deputato Adriano Zaccagnini (Gruppo Misto), in questi giorni all’esame della commissione della Camera in comitato ristretto.

Il disegno di legge, presentato l’11 maggio 2016 e titolato “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico“, ha lo scopo di “promuovere il rispetto dei diritti della partoriente e del neonato durante il parto ospedaliero ed extraospedaliero“.

Per promuovere la salute materno-infantile a livello nazionale, la proposta di legge punta al rispetto dei diritti della donna che dovrà essere considerata  soggetto di cure e non “oggetto passivo di trattamenti, troppo frequentemente realizzati senza un reale coinvolgimento della donna stessa nei processi decisionali che riguardano il suo corpo“. 

Ciò che spinge a mettere in discussione il parto cesareo è la “progressiva medicalizzazione dell’evento nascita” a cui si è assistito negli ultimi anni, con un incremento del tasso dei tagli cesarei che la proposta di legge non ritiene giustificato sul piano clinico. Anzi, un’inchiesta condotta nel 2013 dal Ministro della salute, aveva dimostrato che “l’alto numero dei tagli cesarei non era basato su criteri di appropriatezza e di effettiva necessità“. 

In particolare, si evidenziano anche gli effetti potenzialmente dannosi che il taglio cesareo non giustificato può avere sulla salute a breve e a lungo termine delle madri e dei bambini. Alla luce di questo quadro, la proposta di legge stabilisce che, poiché il taglio cesareo è un intervento chirurgico invasivo e pericoloso per la salute della donna e del neonato, dovrà “essere effettuato solo qualora ricorrano comprovati motivi di necessità clinica e previo espresso consenso informato, libero e consapevole della partoriente“.

Inoltre, alle donne che hanno subìto il taglio cesareo, si vedrebbe riconosciuto il diritto ad un’adeguata assistenza nel periodo post-operatorio, pena una multa di mille euro in caso di abbandono e trascuratezza dell’assistenza, a prescindere dal fatto che si siano verificate conseguenze dannose e fatto salvo il diritto al risarcimento del danno in caso di lesioni personali.

Sempre allo scopo di ridurre il numero di tagli cesarei, il d.d.l. precisa che dovrà essere garantita alla donna la possibilità di un parto vaginale non operativo anche in presenza di un pregresso taglio cesareo, previa adeguata e obbligatoria informazione sulla possibilità di affrontare in piena sicurezza un travaglio e un parto spontaneo. A tal fine si richiede alle strutture ospedaliere di dotarsi di protocolli per l’assistenza al parto spontaneo dopo taglio cesareo.

In caso, poi, fosse la donna a fare richiesta di taglio cesareo senza indicazioni mediche, la sua richiesta dovrà essere considerata senza pregiudizi e la stessa dovrà ricevere informazioni dettagliate sulla procedura chirurgica e sui benefici e rischi di breve e lungo periodo per la salute propria e del bambino. La decisione dovrà, tuttavia, essere presa in accordo con il personale che ha fornito le informazioni e le motivazioni indicate nella cartella clinica: alla donna è fatto comunque salvo il diritto di recedere dalla propria decisione prima dell’inizio dell’intervento chirurgico per il taglio cesareo.

Il disegno di legge introduce addirittura un vero e proprio reato, quello di “violenza ostetrica”, consistente nelle azioni od omissioni realizzate dal medico, dall’ostetrica o dal personale paramedico volte a espropriare la donna della sua autonomia e della sua dignità durante il parto. In particolare, rappresenterebbe atto di violenza ostetrica quello di “praticare il taglio cesareo in assenza di indicazioni mediche e senza il consenso espresso, libero, informato e consapevole della donna“. I responsabili di atti di violenza ostetrica rischierebbero la reclusione da due a quattro anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

In generale, comunque, sono ben otto i progetti di legge all’esame della commissione Affari sociali della Camera che ruotano intorno alla tutela dei diritti della partoriente e del neonato e che vedono coinvolti esponenti di diversi partiti. Oltre ad Adriano Zaccagnini, i progetti sono stati presentati da: Paola Binetti (Udc), Elena Carnevali (Pd), Vega Colonnese (M5S), Vittoria D’Incecco (Pd), Benedetto Fucci (Misto), Marisa Nicchi (Sinistra Italiana) e Daniela Sbrollini (Pd),. A tal proposito, sono stati ascoltati esperti e rappresentati di associazioni, così da poter valutare e approfondire le innovazioni che potrebbero essere introdotte nel settore.

Oltre a voler disincentivare, tramite interventi appropriati, il ricorso al parto cesareo, al parto vaginale operativo e a tutte le pratiche lesive dell’integrità psico-fisica della donna, emergono anche la valorizzazione del consenso libero e informato della partoriente, nonché una generale tendenza a favorire il parto fisiologico, spontaneo, eutocico, normale e naturale. La grillina Vega Colonnese, inoltre, ipotizza persino il reato di truffa nei confronti dello Stato nei casi in cui una struttura ospedaliera o convenzionata pratichi un parto cesareo non necessario, guadagnando circa 2.457 euro invece dei 1.139 euro previsti per un parto naturale.

Tutto bene, purché naturalmente queste normative, ancora in fase di discussione, nel caso dovessero essere approvate, non producano un effetto contrario con rischi ancora maggiori, spingendo i medici a praticare sempre e comunque il parto naturale anche quando il cesareo sia inevitabile, mettendo così a repentaglio la vita del bambino e della mamma.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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