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In sede civile, in materia di responsabilità sanitaria, ai fini del risarcimento del danno, la condotta omissiva colposa del medico non va accertata in base al parametro della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, come accade nel processo penale, ma della preponderanza dell’evidenza che emerge nel caso concreto, ossia della “preponderante evidenza” di quali sarebbero state le conseguenze se, al posto dell’omissione, il medico avesse posto in atto il comportamento di cui si lamenta la mancanza.

A riaffermare con forza questo principio a tutela delle vittime di errori medici e dei loro familiari la Cassazione, con la rilevante sentenza n. 8144/22 depositata il 14 marzo 2022.

Una causa civile per responsabilità medica contro l’ospedale di Palermo

Alla Suprema Corte hanno proposto ricorso i congiunti di un paziente dopo che, con sentenza del 2019, la Corte d’Appello di Palermo aveva rigettato ha rigettato la loro domanda per ottenere la condanna dell’Azienda Ospedaliera palermitana Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo e di quattro medici al risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del loro caro in conseguenza dell’asserita responsabilità dei sanitari attivi presso l’azienda ospedaliera in questione.

Ai medici si imputavano gravi omissioni su un paziente deceduto per embolia

In particolare, ai dottori si contestava di aver colpevolmente trascurato l‘approfondimento diagnostico delle condizioni della vittima, presentatosi al pronto soccorso a seguito di un sinistro stradale nel quale era stato precedentemente coinvolto, omettendo colpevolmente di avvedersi della frattura alle ossa del bacino subita per effetto dell’incidente e di adottare gli opportuni presidi terapeutici di carattere farmacologico (segnatamente, la somministrazione di eparina) indispensabili al fine di impedirne il decesso, determinato da una trombosi polmonare indicata come conseguente alla stasi imposta a carico del paziente in ragione della rilevata frattura ossea.

 

In appello la richiesta di risarcimento dei familiari viene respinta

La corte territoriale, sulla base del complesso degli elementi istruttori acquisiti in sede penale (utilizzabili anche dal giudice civile), aveva concluso per la totale incolpevolezza dei sanitari coinvolti nella vicenda, essendo risultato come nessuna evidenza probatoria avesse manifestato in modo inequivocabile (e comunque ragionevolmente rilevabile da un professionista del livello dei sanitari convenuti in giudizio) l’esistenza della frattura al bacino lamentata dal paziente, e non essendo emersa con certezza alcuna prova del nesso di causalità tra le omissioni contestate ai sanitari e il decesso del paziente.

I congiunti della vittima ricorrono per Cassazione che dà loro ragione sul punto

I congiunti della vittima hanno proposto svariati motivi di doglianza. I giudici del Palazzaccio ne hanno rigettato alcuni, con articolare riferimento a quello in cui si sosteneva la responsabilità colposa del medico radiologo e la piena diagnosticabilità della frattura ossea, ritenendo corretta la decisione della Corte d’appello che aveva accertato invece la non riconoscibilità della frattura al bacino subita dal paziente a seguito del sinistro stradale che lo condusse al pronto soccorso di Palermo.

La Suprema Corte ha invece ritenuto fondato il motivo con cui i ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello avesse escluso, sulla base di una lettura inadeguata degli elementi di prova complessivamente acquisiti, la responsabilità colposa della struttura ospedaliera e di tutti gli altri sanitari coinvolti nella vicenda, eccezion fatta per il radiologo, così come la sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni imputate loro e il decesso del paziente: a loro avviso gli estremi documentali acquisiti e gli esiti delle consulenze tecniche eseguite in sede penale avevano attestato, in modo sufficientemente inequivocabile, la piena diagnosticabilità della frattura ossea occorsa alla vittima all’epoca del suo accesso al pronto soccorso della struttura ospedaliera, nonché la sicura acquisizione di elementi obiettivi di valutazione tali da rendere esigibile, dai sanitari, la prescrizione terapeutica (consistente nella somministrazione di eparina) indispensabile per cautelare le prevedibili conseguenze connesse alla condizione di stasi del paziente, nonché l’esistenza di un preciso nesso di causalità (valutabile secondo il tradizionale parametro civilistico della preponderanza dell’evidenza) tra tutte le omissioni in cui erano colpevolmente incorsi detti medici e la trombosi che ebbe a condurre al decesso del paziente.

La Cassazione conviene sul fatto che tale censura coglie “un punto critico non adeguatamente esplorato nella sentenza impugnata, e segnatamente la questione concernente l’accertamento dei profili di rilevanza colposa della condotta omissiva dei sanitari (diversi dal radiologo) specificamente riguardante la mancata somministrazione dell’eparina, ossia l’effettiva sussistenza di elementi obiettivi di valutazione che avrebbero certamente reso esigibile il riconoscimento della necessità di adottare tale presidio farmacologico terapeutico in considerazione della stasi cui il paziente era stato costretto dal sinistro stradale, indipendentemente dal fatto che detta stasi fosse stata imposta dalla frattura ossea o da altra causa”.

Al di là della circostanza concernente “l’obiettiva diagnosticabilità della frattura ossea del bacino”,  secondo gli Ermellini “la valutazione clinica dei sanitari (diversi dal radiologo) che ebbero immediatamente a disposizione gli elementi costitutivi del quadro clinico del paziente, all’atto della relativa presentazione presso il pronto soccorso, avrebbe verosimilmente dovuto comprendere la prospettiva, concretamente verosimile, di una persistente condizione di stasi del paziente per un tempo ragionevolmente significativo, in considerazione della rilevantissima sintomatologia dolorosa dallo stesso riportata”.

In altri termini, la prevedibile formazione di una trombo-embolia polmonare dovuta alla prolungata immobilità alla quale il paziente fu costretto a seguito del trauma subito (trombo-embolia polmonare che gli stessi giudici palermitani avevano riconosciuto come alla base del decesso della vittima), “avrebbe necessariamente dovuto indurre i sanitari del pronto soccorso, indipendentemente dall’esistenza della frattura del bacino e della sua mancata evidenziazione, ad assumere le necessarie contromisure terapeutiche e, in primo luogo, a provvedere alla somministrazione dell’eparina, essendo chiaro come l’immobilizzazione di un paziente costituisca un importante fattore di rischio per trombosi venosa profonda, e ciò a prescindere da un trauma, essendo tutti i pazienti allettati soggetti a un concreto rischio di trombosi” prosegue la Suprema Corte.

 

I giudici di merito hanno errato nel valutare il nesso causale tra omissione e decesso

Sul punto tuttavia, il giudice territoriale, dopo aver (correttamente) riconosciuto come un’eventuale terapia eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e il conseguente decesso del paziente, aveva aggiunto che la terapia eparinica sarebbe stata idonea a proteggere il paziente traumatizzato da una trombosi venosa profonda solo nel 68/70% dei casi, non potendo escludersi una certa percentuale di casi che, nonostante il trattamento con terapia eparinica, si concludono ugualmente con la morte del paziente.

Ed è appunto in forza di tali premesse, e dunque sul presupposto dell’inesistenza di alcuna “prova certa” dell’efficacia causale della terapia eparinica, che il giudice di merito aveva tratto la conclusione dell’inesistenza di un prospettabile nesso di causalità materiale tra l’omissione imputabile ai medici convenuti e il decesso del paziente, a fronte della mancata dimostrazione, in chiave probatoria, che un eventuale comportamento terapeutico corretto dei medici (ricostruito in termini controfattuali) avrebbe evitato, in termini causali, la verificazione dell’evento letale così come in concreto manifestatosi.

 

Nel civile il giudizio controfattuale va compiuto secondo il criterio del più probabile che non

Una conclusione censurabile secondo i giudici del Palazzaccio, che richiamano il consolidato insegnamento della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), secondo cui “la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi, la cosiddetta probabilità quantitativa o pascaliana, la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto”.

E nella prospettiva della preponderanza dell’evidenza

Nel caso di specie, il giudice territoriale, “lungi dall’esigere, ai fini del riconoscimento del nesso di causalità tra l’omissione ascritta ai sanitari convenuti e il decesso, la “prova certa” dell’efficacia salvifica del trattamento eparinico (sulla base di uno standard probatorio, quello della certezza capace di resistere ad ogni “ragionevole dubbio”, valido ed efficace ai fini della ricostruzione della responsabilità penale di un imputato di reato), avrebbe viceversa dovuto orientare il giudizio sull’efficacia rappresentativa degli elementi probatori acquisiti nella prospettiva della preponderanza dell’evidenza, ossia della maggior probabilità (in termini logici o ‘baconiani’) del successo terapeutico della somministrazione di eparina rispetto all’esito contrario” sentenzia la Cassazione.

Una verifica che, già sul piano astratto, l’avvenuto riconoscimento dell’idoneità della terapia eparinica a proteggere il paziente traumatizzato da una trombosi venosa profonda nel 68/70% dei casi “avrebbe consentito di avviare a un giudizio affermativo (circa la positiva sussistenza del nesso di causalità), una volta (eventualmente) escluso il decorso o l’incidenza di serie causali alternative – continua la Cassazione – E una volta stabilita la relazione causale in esame sulla base dello standard probatorio indicato, la corte territoriale avrebbe dovuto approfondire in modo adeguato e scrupoloso gli indici istruttori utili ai fini della ricostruzione dei profili di esigibilità dell’eventuale condotta terapeutica corretta dei medici dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale palermitano, al fine di attestarne (o di negarne) la concreta responsabilità colposa (ai fini civilistici) in relazione al decesso del paziente”.

 

Nel civile il parametro “dell’aldilà di ogni ragionevole dubbio” non è corretto

Avendo invece il giudice territoriale svolto il suo ragionamento, in termini di causalità, esclusivamente “in relazione al parametro probatorio configurato sul metro della certezza oltre ogni ragionevole dubbio”, la sentenza impugnata è stata cassata sul punto, e la causa nuovamente rimessa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, e il giudice del rinvio dovrà riformulare il proprio giudizio sulle questioni indicate in conformità al seguente principio di diritto riaffermato nell’occasione dalla Suprema Corte.

Il principio di diritto finale

In tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell’inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio contro fattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c. d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)“.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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