Il cane randagio che provoca danno a una persona costituisce per il cittadino un’insidia, né prevedibile né evitabile, di cui è giuridicamente tenuta a rispondere la Pubblica Amministrazione. Lo ha precisato il Tribunale di Palermo, sezione III civile, nella sentenza n. 4580/2016 dello scorso 20 settembre.
I fatti. Una signora di 65 anni subiva una caduta in ospedale, mentre si recava verso il reparto di radiologia, a causa di un cane sdraiato sul pavimento che, al suo passaggio, si alzava improvvisamente facendola rovinare al suolo. Incidente era costato all’attrice numerose fratture e un’invalidità permanente dell’11%. La sua versione veniva poi confermata dalla deposizione resa da un testimone che dichiarava di aver assistito all’evento in quanto si trovava sul posto.
Per il giudice, l’espletata istruttoria ha evidenziato in modo inequivocabile che la responsabilità debba essere ascritta all’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) locale ex art. 2043 c.c. A tale proposito, evidenzia il Tribunale, occorre ricordare che la legge quadro n. 281/1991 ha imposto alle Regioni non solo l’istituzione dell’Anagrafe Canina, ma, altresì, l’adozione di specifici programmi per prevenire e controllare il randagismo e, a loro volta, le Regioni hanno distribuito i compiti in materia di randagismo tra Comuni e Servizi Veterinari presso le ASP territorialmente competenti.
Ciononostante, la suddetta legge n. 281/1991 non ha imposto ai Comuni l’obbligo di vigilanza o di custodia specifica sui cani “randagi”, né, tantomeno, attribuito ad essi il diritto di “proprietà” su tali animali, tale da imputare all’Ente la responsabilità oggettiva ex art. 2052 c.c. in caso di aggressione da parte di cani randagi. La richiamata legge contiene solamente principi generali, finalizzati a reprimere ogni forma di maltrattamento in danno di animali, nonché a salvaguardare la salute pubblica e l’ambiente dai danni derivanti dal randagismo.
Dal quadro normativo delineato, prosegue la sentenza, emerge, dunque, che, sebbene non si possa imputare all’ente comunale alcun obbligo di vigilanza su tali animali presenti sul proprio territorio, nei giudizi risarcitori, aventi ad oggetto i danni causati da animali randagi, legittimati passivi, in solido tra loro, risultano essere Comune e ASP territorialmente competente.
Pertanto, le rispettive responsabilità, al fine di verificare l’esistenza di illecite omissioni dell’uno o dell’altro Ente o di entrambi, nei limiti delle rispettive competenze in materia, vanno accertate caso per caso, alla luce del principio generale del neminem laedere e, quindi, della responsabilità civile extracontrattuale ex art. 2043 c.c. secondo il quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno“.
Tale responsabilità grava in solido tra Comune e ASP, qualora abbiano omesso e trascurato di adottare i provvedimenti e/o le cautele idonee a rimuovere ed eliminare il potenziale pericolo rappresentato dai cani randagi, con i poteri attribuiti dalla legge e con le modalità oggetto della discrezionalità amministrativa.
Infatti, “il cane randagio che aggredisce e/o provoca danno all’uomo costituisce per il cittadino un’insidia, né prevedibile né tantomeno evitabile e, dunque, in definitiva, costituisce un pericolo occulto, del quale la P.A. è giuridicamente tenuta a rispondere“. Se così non fosse, infatti, il soggetto danneggiato non godrebbe di alcuna tutela, dal momento che, dalla normativa ad oggi vigente, non emerge altro soggetto passivo al quale imputare il fatto ed il conseguente obbligo di risarcimento dei danni cagionati.
Sul punto è intervenuta anche la Suprema Corte, la quale, con la sentenza n. 8137/2009, ha precisato che “…in seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al D.Lgs. n. 502/1992, risulta reciso il ‘cordone ombelicale’ fra Comuni e USL (cfr. anche Corte Cost. n. 220/2003) con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla Regione, strumentali per l’erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale: ne consegue che la locale Azienda Sanitaria, succeduta alla USL, deve essere considerata soggetto giuridico autonomo sul quale può, perciò, ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dall’evento dannoso“.
Tanto premesso, posto che dopo il D.Lgs. n. 502/1992 le Aziende Sanitarie Provinciali non sono più strutture operative dei Comuni, ma soggetti giuridici autonomi, va affermata la responsabilità dell’ASP locale in ordine al sinistro per cui è causa, e, per l’effetto, quest’ultima va condannata al risarcimento del pregiudizio sofferto dalla protagonista della vicenda.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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