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Una strada buia, le difficoltà di “visibilità” accentuate dai fari dei veicoli che procedono nella direzione opposta ed altri elementi sul genere non rappresentano una scusante per l’automobilista che investa un pedone.

La ha ribadito per l’ennesima volta la Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n. 43704/22 depositata il 14 novembre 2022.

 

Automobilista condannato per omicidio stradale per aver investito un pedone

L’uomo era stato ritenuto colpevole sia dal Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Trieste sia, nel 2020, dalla Corte d’Appello cittadina, del reato di omicidio stradale perché, per colpa generica e inosservanza delle norme del codice della strada, alla guida della sua Bmw 520, di notte, procedendo a una velocità di 55 k/h, e pertanto superiore al limite, e non prestando la necessaria attenzione alla situazione dei luoghi, non si era avveduto della presenza di un’anziana di 81 anni che stava attraversando a piedi la carreggiata in prossimità delle strisce pedonali e l’aveva investita caricandola sul cofano e sbalzandola ad una distanza di ben 17 metri, procurandole lesioni gravissime al capo che ne avevano causato il decesso pressoché istantaneo.

L’imputato ricorre per Cassazione adducendo, tra l’altro, la scarsa avvistabilità della vittima

L’imputato ha proposto ricorso anche per Cassazione lamentando un’erronea valutazione di prove decisive da parte dei giudici territoriali, in particolare per quanto riguardava la scarsa “avvistabilità” del pedone,  anche perché influenzata dall’auto che proveniva dal senso opposto,  e la velocità tenuta. Inoltre, aveva battuto sulla – a suo dire – totale incertezza in ordine all’effettiva distanza della vittima dalle strisce pedonali, alla velocità che essa teneva al momento dell’attraversamento e alla traiettoria seguita, sostenendo che la Corte di merito non avrebbe indicato in base a quali elementi egli fosse stato, nel caso concreto, in condizione di percepire la presenza del pedone, vestito di scuro e fuori dalle strisce pedonali. Sarebbe stata quindi applicata su presupposti errati la regola dell’art. 141 del Codice della Strada, e cioè che “sia sempre probabile la presenza di un pedone fuori dalle strisce, che attraversi improvvisamente la carreggiata, in zona scarsamente illuminata e non si fermi, pur avvedendosi della presenza dei veicoli in transito” per citare il ricorso.

Ma per la Suprema Corte le doglianze sono infondate, innanzitutto sul piano formale in quanto, come ribadiscono gli Ermellini, “tutte le argomentazioni addotte afferiscono alla dinamica del sinistro: la difesa prospetta una erronea interpretazione delle circostanze emerse nel corso del dibattimento, e fornisce una diversa versione dei fatti, sollecitando una rilettura delle emergenze processuali, non consentita nella presente sede di legittimità. In tema di giudizio di Cassazione, infatti, sono precluse al giudice di legittimità “la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. La ricostruzione di un incidente stradale, nella sua dinamica ed eziologia, è rimessa al solo giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti in fatto sottratti al giudice di legittimità se sorretti da congrua e logica motivazione”.

 

L’investimento è stato dovuto solo a distrazione e violazione delle regole del codice stradale

Premesso ciò tuttavia, secondo gli Ermellini la Corte d’appello nella sua sentenza ha supportato l’affermazione di responsabilità dell’imputato com un “congruo apparato motivazionale”, adeguatamente esaminando e confutando i motivi di doglianza, reiterati nel ricorso per Cassazione “Quale che fosse la velocità tenuta dall’imputato – spiegano i giudici del Palazaccio -, non era adeguata alla condizione dei luoghi, atteso che l’imputato avrebbe, comunque, avuto tutto il tempo per avvistare il pedone, visibile sia per le condizioni dell’illuminazione, sia per il tempo di attraversamento della prima corsia a sinistra, e quindi per evitare l’investimento”.

Il consulente tecnico d’ufficio aveva infatti addebitato l’investimento a mera distrazione da parte dell’automobilista.

Mancato l’obbligo di attenzione

Ciò che è è mancato nella condotta dell’imputato è proprio l’osservanza della basilare regola cautelare dell’obbligo di attenzione che il conducente di veicolo deve tenere ai sensi dell’art. 191 cod. strada, al fine di avvistare tempestivamente il pedone e porre efficacemente in essere gli opportuni accorgimenti, atti a prevenire un rischio di investimento: un dovere di attenzione che si sostanzia negli obblighi di “ispezionare” la strada percorsa, mantenere un costante controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo, comprese le imprudenze e le trasgressioni degli altri utenti della strada” aggiunge la Cassazione, concludendo con un’altra affermazione importante, e cioè la corretta esclusione da parte della Corte territoriale che nella fattispecie potesse ravvisarsi una qualsiasi “causa eccezionale idonea, in quanto tale a escludere la responsabilità del conducente, che egli si fosse cioè trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti”.

E non rileva che il pedone non si trovasse esattamente sulle strisce pedonali

Accertando il nesso di causa tra la violazione delle regole cautelari e l’investimento, la Corte territoriale, conclude la Suprema Corte sfatando un altro falso “mito”, “ha fatto corretta applicazione del consolidato principio secondo il quale, in tema di circolazione stradale, il conducente di un veicolo è tenuto ad osservare, in prossimità degli attraversamenti pedonali, la massima prudenza e a mantenere una velocità particolarmente moderata, tale da consentire l’esercizio del diritto di precedenza, spettante in ogni caso al pedone che attraversi la carreggiata nella zona delle strisce zebrate, essendo al riguardo ininfluente che l’attraversamento avvenga sulle dette strisce o nelle vicinanze”. Dunque, ricorso rigettato e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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