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Guai ad affidare lavori di casa a un tecnico non abilitato: si rischiano condanne pesanti.

Con una recente e rilevante sentenza, infatti, la n. 33244/19 depositata il 24 luglio 2019, la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, ha definitivamente condannato per omicidio colposo il proprietario di un’abitazione per la morte di un idraulico a cui si era rivolto per riparare l’autoclave, che non aveva i requisiti professionali previsti e che, durante l’intervento, è rimasto folgorato.

 

L’ennesima tragedia sul lavoro: un idraulico fulminato

La vittima si era recato nella proprietà dell’imputato per eseguire la riparazione dell’autoclave che costituiva parte dell’impianto di alimentazione idrica dell’abitazione, di cui aveva eseguito egli stesso la parte idraulica, mentre quella elettrica era stata realizzata da un elettricista, che pure è stato ritenuto responsabile e processato separatamente.

Secondo gli accertamenti tecnici confluiti poi nel giudizio, l’idraulico, venuto a contatto con parti dell’impianto, era rimasto vittima di elettrocuzione a causa della mancanza del dispositivo di protezione differenziale (il salvavita), perdendo la vita.

Al padrone di casa, che aveva commissionato i lavori, è stato ascritto di averli affidati a un soggetto privo dei requisiti di idoneità tecnica richiesti per la loro esecuzione, che li aveva eseguiti non secondo la regola dell’arte e in modo difforme da quanto prescritto dal D.M. n. 37 del 2008, art. 6.

Egli, infatti, non aveva i requisiti di cui all’art. 4 del citato decreto né aveva rilasciato il certificato di conformità prescritto dall’art. 7 di tale provvedimento. Il Tribunale di Nola l’ha quindi condannato alla pena ritenuta equa nonché al risarcimento dei danni in favore dei familiari della vittima, sentenza confermata, per quanto riguarda la sua posizione, dalla Corte d’Appello di Napoli.

 

Il D.M. n. 37 del 2008 e la dichiarazione di conformità

Il proprietario dell’abitazione ha proposto ricorso anche per Cassazione insistendo, tra i vari, sul punto che la vittima era un soggetto “qualificato da un grado di esperienza tale da far ritenere che fosse sostanzialmente in possesso dei requisiti di cui al D.M. n. 37 del 2008, art. 4”.

Di qui la richiesta di rivalutare la sussistenza della colpa nella scelta di quell’idraulico, non limitandosi a rilevare la carenza di un dato puramente formale quale la titolarità della qualifica prevista dal citato decreto.

Il ricorrente ha poi sostenuto che la natura “non significativa” dell’intervento richiesto al tecnico e la sua notoria qualificazione lavorativa nel contesto di vita comune avrebbe dovuto imporre alla Corte di Appello di approfondire il “profilo psicologico” della fattispecie contestata.

Inoltre, dal punto di vista più strettamente tecnico, il committente ha sostenuto la tesi secondo la quale il collegamento dell’elettropompa esterna al fabbricato all’impianto elettrico dell’abitazione fosse esclusa dal novero delle attività soggette alla disciplina prevista dal D.M. n. 37 del 2008, e come tale l’opera sarebbe stata richiesta a un idraulico qualificato all’esecuzione di quel collegamento.

Aggiungendo anche che, per le installazioni per apparecchi per usi domestici, non sussisteva l’obbligo di farsi rilasciare la dichiarazione di conformità dell’impianto o di acquisire tale dichiarazione prima di metterlo in esercizio, e che non si trattava di impianto per il quale era richiesta la redazione di un progetto da depositare presso lo sportello unico per l’edilizia del Comune competente.

 

La Cassazione rigetta seccamente il ricorso

Le argomentazioni utilizzate pencolano tra la dimostrazione dell’insussistenza della violazione cautelare e la affermazione della insussistenza di una rimproverabilità dell’imputato sul piano soggettivo.

Così, mentre da un verso si scrive che la convinzione del (omissis) di affidare i lavori ad un soggetto in possesso dei necessari requisiti tecnici era stata sicuramente erronea, proprio come ritenuto dalla Corte di Appello, e che tuttavia tale errore era giustificato dalle “condizioni di fatto suggestive”, dall’altro si insiste sulla equiparazione tra presenza di formale riconoscimento dei requisiti tecnici e adeguato bagaglio esperienziale e si assume che l’imputato non avrebbe dovuto chiedere la certificazione di conformità dei lavori eseguiti perché questi non rientrano nella previsione del D.M. n. 37 del 2008, art. 2, comma 1, lett. e” stigmatizza la Suprema Corte, che ha rigettato il ricorso.

L’affermazione del ricorrente secondo cui “l’idoneità tecnico-professionale richiesta per coloro che devono operare su impianti elettrici può essere ritenuta anche in assenza di titoli o altri dati formali”; e quella che “la vittima era nota nel paese come elettricista accreditato ed aveva svolto quelle attività lavorative che a mente del D.M. n. 37 del 2008, art. 4, lett. d), sono sufficienti a far ritenere che i requisiti tecnico-professionali siano posseduti” secondo la Cassazione è destituita di qualsiasi fondamento.

 

I requisiti tecnico professionali necessari

La disciplina pertinente – ribadiscono con forza gli Ermellini – contempla l’espressa previsione che l’imprenditore individuale o il legale rappresentante ovvero il responsabile tecnico da essi preposto con atto formale abbia i requisiti tecnico-professionali indicati dal D.M. n. 37 del 2008, art. 4:

  • ovvero il possesso di un diploma di laurea in materia tecnica specifica conseguito presso una università statale o legalmente riconosciuta o, in alternativa, di un diploma o una qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo con specializzazione relativa al settore delle attività pertinenti presso un istituto statale o legalmente riconosciuto ma seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore;
  • ovvero, di un titolo o un attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, previo un periodo di inserimento, di almeno quattro anni consecutivi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore;
  • infine, sempre in alternativa, che abbia svolto una prestazione lavorativa alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell’operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni (escluso quello computato ai fini dell’apprendistato e quello svolto come operaio qualificato), in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato nelle attività di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti di cui all’art. 1.

Non solo. La disciplina, ricorda la Suprema Corte nella sentenza, prevede altresì che questi requisiti possano essere certificati.

Certificazione di estremo rilievo perché è grazie ad essa che il committente può essere certo di adempiere alla previsione dell’art. 8, del decreto, che gli impone di affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione straordinaria degli impianti ad imprese abilitate.

In assenza di tale certificazione – ammonisce la Cassazione – il committente assume consapevolmente o almeno con colpa il rischio della inadeguatezza dell’impresa esecutrice affidataria”.

 

Non ci si doveva affidare alla vittima per quell’intervento

Nel caso di specie, prosegue la sentenza, è stato provato chiaramente come l’idraulico fosse realmente privo della necessaria competenza tecnica, “non solo con il richiamo all’assenza della certificazione ma anche segnalando le gravi anomalie dell’opera realizzata, la sua non conformità alle regole dell’arte ed obiettiva pericolosità, sulla scorta di quanto riferito dal consulente tecnico del Pm”.

Pertanto, secondo la Cassazione, la Corte di Appello ha ritenuto correttamente che il committente e proprietario dell’abitazione avesse affidato i lavori alla vittima con colpa.

Lungi dal poter fare affidamento sulla “fama” in paese – continua, severa, la Suprema Corte – egli avrebbe dovuto pretendere che il (omissis) gli documentasse il possesso dei requisiti tecnico-professionali richiesti; tale comportamento risulta certamente esigibile dall’imputato, che non aveva alcuna difficoltà ad accertare l’effettiva competenza del soggetto cui affidava i lavori”.

E neppure coglie il segno, secondo i giudici, il rilievo secondo cui si sarebbe trattato di lavori per i quali non era prescritta la redazione di un progetto e l’attestazione di collaudo, “perché non si è ascritto al committente di non aver preteso tali documenti ma piuttosto di non aver richiesto la certificazione di conformità”: l’art. 10, comma 2, citato dal ricorrente, infatti, nel prevedere che “sono esclusi dagli obblighi della redazione del progetto e dell’attestazione di collaudo le installazioni per apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari”, ribadisce però sempre la necessità del rilascio di quella certificazione: “fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità” precisa e conclude la Cassazione.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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