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Gli occhiali per rinforzare la vista dell’addetto indebolita a causa del costante uso del computer sono a carico del datore di lavoro. A stabilire questo principio, che va a tutela e vantaggio di milioni di lavoratori, la Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, con una rilevante sentenza pubblicata il 22 dicembre 2022.

 

La direttiva europea a tutela della “vista” dei lavoratori che operano con i videoterminali

In premessa è opportuno citare per esteso la normativa in questione. L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio dell’Unione Europea, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1), come modificata dal regolamento (CE) n. 1137/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008 (GU 2008, L 311, pag. 1), recita: “Il Consiglio, su proposta della Commissione, fondata sull’articolo 153 TFUE, stabilisce direttive particolari riguardanti, fra l’altro, i settori di cui all’allegato”.

La quinta di queste direttive particolari, la numero 90/270, “considerando che il rispetto delle prescrizioni minime atte a garantire un migliore livello di sicurezza dei posti di lavoro dotati di videoterminali costituisce un imperativo per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori”, fissa appunto “prescrizioni minime di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali quali sono definite all’articolo 2”. E, ai sensi dell’art. 9 della direttiva particolare 90/270, intitolato “Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori”, si stabilisce che “i lavoratori beneficiano di un adeguato esame degli occhi e della vista, effettuato da una persona che abbia le competenze necessarie: prima di iniziare l’attività su videoterminale, periodicamente, in seguito, e allorché subentrino disturbi visivi attribuibili al lavoro su videoterminale. I lavoratori beneficiano di un esame oculistico, qualora l’esito dell’esame di cui al paragrafo 1 ne evidenzi la necessità. I lavoratori devono ricevere dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta, qualora i risultati dell’esame di cui al paragrafo 1 o dell’esame di cui al paragrafo 2 ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare dispositivi di correzione normali. Le misure prese in applicazione del presente articolo non devono assolutamente comportare oneri finanziari supplementari a carico dei lavoratori. La protezione degli occhi e della vista dei lavoratori può far parte d’un sistema sanitario nazionale”.

 

La causa di un impiegato rumeno cui il datore di lavoro negava il rimborso degli occhiali

La causa su cui è stata chiamata ad esprimersi la Corte di Giustizia Europea è stata intentata da un lavoratore rumeno impiegato presso l’Ispettorato generale, al servizio dell’Immigrazione del dipartimento di Cluj, il quale esercitava la propria attività lavorando su attrezzature munite di videoterminali. Il lavoratore lamentava il fatto che il lavoro su schermo, unito ad altri fattori di rischio, quali la luce “visibile discontinua, l’assenza di luce naturale e il sovraccarico neuropsichico, gli avevano comportato un forte deterioramento della vista. Pertanto, egli avrebbe dovuto, su raccomandazione di un medico specialista, cambiare gli occhiali da vista, per correggere la diminuzione della sua acutezza visiva. Facendo valere che il sistema nazionale di assicurazione di malattia rumeno non prevedeva il rimborso della somma di 2.629 lei rumeni (circa 530 euro), che rappresentava il controvalore del costo degli occhiali da vista, vale a dire il costo delle lenti, della montatura e della manodopera, il dipendente aveva chiesto all’Ispettorato generale di rimborsargli tale somma, ma la sua domanda era stata respinta, di qui l’azione legale.

La corte d’Appello di Cluj sospende il giudizio e chiede chiarimenti alla Corte Europea

Il contenzioso, dopo che la domanda era stata rigettata anche in primo grado, era così approdato alla Curtea de Apel Cluj, ossia la Corte d’appello di Cluj, la quale ha deciso di coinvolgere la Corte Europea ritenendo che, per statuire sulla controversia, occorreva interpretare la nozione di “dispositivi speciali di correzione” di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270, nozione che non era definita dalla norma e che, secondo i giudici rumeni, andava interpretata nel senso che essa includeva gli occhiali da vista, nella misura in cui essi sono necessari al dipendente che soffre di un deterioramento della vista causato dalle sue condizioni di lavoro.

Il giudice di Cluj ha chiesto inoltre se i dispositivi speciali di correzione di cui al citato articolo 9, paragrafo 3, rimandassero a dispositivi utilizzati esclusivamente sul posto di lavoro o anche a dispositivi utilizzabili al di fuori di esso. Ancora, la Corte d’appello rumena, per quanto riguarda le modalità di fornitura dei dispositivi speciali di correzione, sosteneva che, se è vero che la direttiva 90/270 fa espressamente riferimento solo alla fornitura da parte del datore di lavoro, un risultato analogo si sarebbe raggiunto se il datore rimborsasse al dipendente il costo di acquisto di tale dispositivo, soluzione che presenterebbe altresì il vantaggio di consentire al lavoratore di adottare in tempo utile le misure necessarie per correggere la sua vista. Infine, il giudice si chiedeva se l’obbligo di mettere a disposizione dei dipendenti che ne provino l’esigenza dispositivi speciali di correzione fosse soddisfatto con la concessione di un premio salariale versato per l’esistenza di condizioni di lavoro gravose.

In conclusione e riassumendo, la Curtea de Apel Cluj ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali. “Se l’espressione “dispositivo speciale di correzione”, di cui all’articolo 9 della direttiva 90/270, debba essere interpretata nel senso che essa non può comprendere gli occhiali da vista. Se con l’espressione “dispositivo speciale di correzione”  debba intendersi unicamente un dispositivo utilizzato esclusivamente sul posto di lavoro/nell’adempimento delle mansioni lavorative. Se l’obbligo di fornire un dispositivo speciale di correzione, previsto dalla direttiva, riguardi esclusivamente l’acquisto del dispositivo da parte del datore di lavoro o se possa essere interpretato estensivamente, ossia comprendendo anche l’ipotesi che il datore di lavoro si faccia carico delle spese necessarie sostenute dal lavoratore al fine di procurarsi il dispositivo. Se sia compatibile con l’articolo 9 della direttiva la copertura di tali spese da parte del datore di lavoro sotto forma di un aumento generale della retribuzione, corrisposto permanentemente a titolo di “aumento per condizioni di lavoro gravose

 

I “dispositivi speciali di correzione della vista” della normativa includono anche gli occhiali

Analizzando i quesiti, la Corte Europea evidenzia, tra le altre cose, come l’articolo 9 della direttiva 90/270 non possa essere interpretato nel senso “che esso esige un nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta su videoterminali e il verificarsi di eventuali disturbi visivi, dal momento che l’applicabilità di ciascuno dei tre trattini dell’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva può comportare la fornitura di dispositivi speciali di correzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva suddetta”. I dispositivi speciali di correzione ai sensi di quest’ultima disposizione riguardano quindi la correzione o la prevenzione di disturbi visivi in funzione di un’attività lavorativa che si svolge su attrezzature munite di videoterminali.

Nel caso di specie, la Corte europea evidenzia come dal procedimento fosse emerso che il dipendente aveva svolto le sue funzioni nell’ambito dell’Ispettorato generale su attrezzature munite di videoterminali e avesse sostenuto di essere stato esposto, nell’esercizio di tali funzioni, a luce visibile discontinua, assenza di luce naturale e sovraccarico neuropsichico, che egli avrebbe cagionato una forte diminuzione della sua acutezza visiva, il che aveva indotto il medico specialista a prescrivergli di cambiare occhiali da vista e, più in particolare, le lenti correttive. “Sebbene non spetti alla Corte di giustizia, adita in via pregiudiziale, ma al giudice del rinvio decidere se gli occhiali da vista di cui il ricorrente chiede il rimborso debbano essere qualificati come “dispositivi speciali di correzione” ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270, occorre tuttavia rilevare, da un lato, che il ricorrente nel procedimento principale ha beneficiato, a seguito di un grave deterioramento della vista, di una visita oculistica effettuata da un medico specialista, che sembra corrispondere agli esami di cui all’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/270” osservano i giudici comunitari.

Inoltre, il fatto che tale medico specialista avesse raccomandato al lavoratore di cambiare occhiali da vista e, più in particolare, le lenti correttive, al fine di correggere il forte deterioramento della sua vista, “sembra altresì indicare che le sue vecchie lenti correttive non potevano più essere utilizzate per svolgere funzioni su attrezzature munite di videoterminali, in particolare a causa dei disturbi dell’acutezza visiva che erano stati diagnosticati all’interessato.

La Corte di Bruxelles ribadisce che spetta tuttavia al giudice rumeno verificare se gli occhiali da vista servissero effettivamente a correggere disturbi visivi in rapporto con il lavoro piuttosto che di ordine generale non necessariamente connessi alle condizioni di lavoro, aggiungendo peraltro che il fatto che i “dispositivi speciali di correzione”, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270, “debbano essere, in forza di tale disposizione, in funzione dell’attività svolta, non può significare che essi debbano essere utilizzati esclusivamente sul posto di lavoro o nell’esercizio di mansioni professionali, dato che detta disposizione non prevede alcuna restrizione quanto all’utilizzazione di detti dispositivi.

Alla luce di tutte queste considerazioni che precedono, la Corte Europea conclude che l’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270 deve essere interpretato nel senso che “i dispositivi speciali di correzione, previsti da tale disposizione, includono gli occhiali da vista specificamente diretti a correggere e a prevenire disturbi visivi in funzione di un’attività lavorativa che si svolge su attrezzature munite di videoterminali. Peraltro, tali dispositivi speciali di correzione non si limitano a dispositivi utilizzati esclusivamente nell’ambito professionale”.

 

Gli occhiali “correttivi” sono a carico del datore

Quanto poi alla terza e quarta questione, la Corte ricorda e ripete che i lavoratori devono ricevere dispositivi di correzione speciali in funzione dell’attività svolta, conformemente all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270, a condizione che gli esami ne evidenzino la necessità e che non possano essere utilizzati dispositivi di correzione normali. E qui i giudici riconoscono che, sebbene questa disposizione “imponga al datore di lavoro un obbligo diretto a garantire che i lavoratori interessati ricevano, se del caso, un dispositivo di correzione speciale”, il modo in egli cui è tenuto ad adempiere detto obbligo “non risulta dal testo della direttiva 90/270”.

La Corte però rileva che la direttiva stabilisce “soltanto prescrizioni minime” e, soprattutto, che il rimborso da parte del datore di lavoro del costo di acquisto di un dispositivo di correzione speciale “è conforme all’obiettivo della direttiva 90/270 in quanto garantisce un miglior livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. Peraltro, aggiungono i giudici europei, l’espressione “devono ricevere” della direttiva, letta alla luce del paragrafo 4, che dispone che le misure prese in applicazione dell’art. 9 non devono assolutamente comportare oneri finanziari supplementari a carico dei lavoratori, “non osta a che il diritto nazionale preveda che il lavoratore possa scegliere, anziché di ottenere direttamente dal suo datore di lavoro un dispositivo speciale di correzione, di anticiparne il costo e di ottenerne successivamente il rimborso da parte di quest’ultimo”.

Ne consegue che l’obiettivo dell’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della direttiva 90/270, in quanto mira a garantire che i lavoratori ricevano, senza alcun onere finanziario, dispositivi speciali di correzione in caso di necessità, “può essere raggiunto vuoi direttamente, mediante fornitura di tale dispositivo dal datore di lavoro al lavoratore, vuoi indirettamente, mediante rimborso del costo di tale dispositivo da parte del datore di lavoro.

Per inciso, i giudici hanno risposto negativamente solo circa la possibilità che la messa a disposizione dei lavoratori interessati, da parte del datore di lavoro, di dispositivi speciali di correzione, avvenga mediante un premio che consenta al lavoratore stesso di acquistare tale dispositivo. Infatti, spiegano, “un premio salariale generale, versato in modo permanente a titolo di gravosità delle condizioni di lavoro, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, non sembra soddisfare gli obblighi imposti al datore di lavoro dal citato articolo 9, paragrafo 3, in quanto non sembra destinato a coprire le spese anticipate dal lavoratore ai fini di tale acquisto”.

Per il resto, però, la Corte Europea conclude che “l’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della direttiva 90/270 deve essere interpretato nel senso che l’obbligo, imposto da tale disposizione al datore di lavoro, di fornire ai lavoratori interessati un dispositivo speciale di correzione, può essere adempiuto vuoi mediante fornitura diretta di tale dispositivo da parte del datore di lavoro, vuoi mediante rimborso delle spese necessarie sostenute dal lavoratore, ma non mediante versamento al lavoratore di un premio salariale generale”.

In conclusione, la seconda sezione della Corte di Giustizia europea dichiara: “L’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990 (…) deve essere interpretato nel senso che i “dispositivi speciali di correzione», previsti da tale disposizione, includono gli occhiali da vista specificamente diretti a correggere e a prevenire disturbi visivi in funzione di un’attività lavorativa che si svolge su attrezzature munite di videoterminali. Peraltro, tali “dispositivi speciali di correzione” non si limitano a dispositivi utilizzati esclusivamente nell’ambito professionale.

E inoltre che “l’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della direttiva 90/270 deve essere interpretato nel senso che l’obbligo, imposto da tale disposizione al datore di lavoro, di fornire ai lavoratori interessati un dispositivo speciale di correzione, può essere adempiuto vuoi mediante fornitura diretta di tale dispositivo da parte del datore di lavoro, vuoi mediante rimborso delle spese necessarie sostenute dal lavoratore, ma non mediante versamento al lavoratore di un premio salariale generale”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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