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Non basta al datore di lavoro, per andare indenne da responsabilità in caso di infortunio sul lavoro, dimostrare di aver impartito una direttiva finalizzata a scongiurare quel determinato rischio: deve provare di averla anche fatta rispettare concretamente, vigilando e sanzionando le violazioni. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11227/22 depositata il 6 aprile 2022, ha riaffermato in modo forte gli stringenti obblighi sul piano antinfortunistico dei legali rappresentanti delle imprese, confermando la condanna dall’azienda a risarcire un lavoratore rimasto vittima di un serio incidente.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 2021, in totale riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Viterbo, aveva accolto la domanda di risarcimento di un operaio nei confronti dell’attività di produzione e vendita di ceramiche per la quale lavorava in seguito a un infortunio occorsogli nel marzo del 2011, condannando il datore di lavoro a liquidare al suo dipendente una somma di 61.873,50 euro (detratto l’importo di 6.870,13 euro ricevuto dall’Inail) a titolo di danno biologico, comprensiva di danno morale e previa personalizzazione del danno.

Datore di lavoro condannato a risarcire un operaio infortunatosi per culpa in vigilando

La Corte territoriale, applicando la regola di giudizio dettata dall’art 2697 cod. civ. (che, in caso di domanda di condanna al pagamento del cosiddetto danno differenziale, prevede, ex art. 1218 cod. civ., che il datore di lavoro dimostri di aver adempiuto all’obbligo di sicurezza), e rilevando la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali quanto alla movimentazione dei pezzi pesanti di ceramica (oltre i 25 kg) dal tornio al carrello di trasporto, aveva ravvisato la culpa in vigilando dell’impresa che non aveva sorvegliato che lo spostamento del pezzo lavorato dall’operaio, pesante 25 kg, fosse effettuato in coppia da due lavoratori, e non da uno soltanto, com’era accaduto.

L’imprenditore ricorre per Cassazione obiettando di aver impartito direttive precise

Contro questa sentenza la società ha quindi proposto ricorso per Cassazione con quattro motivi. Quelli che qui più interessano sono primi due con cui si lamentava il fatto che la Corte d’appello avesse trascurato che il datore di lavoro aveva dato disposizione perché i pezzi più pesanti fossero movimentati in due operai e che la direttiva veniva generalmente rispettata, dato che i capi reparto intervenivano per vigilare, sottolineando che doveva ritenersi comportamento abnorme la condotta di un dipendente che vìoli le direttive aziendali nel momento in cui non sia sotto stretta vigilanza.

I giudici territoriali avrebbero quindi trascurato che il lavoratore, con il suo comportamento clandestinamente inottemperante alle direttive datoriali, avrebbe apportato un contributo causale determinante all’insorgere del (suo) danno.

 

Le indicazioni antinfortunistiche non venivano fatte rispettare

Ma per la Suprema Corte i due motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Gli Ermellini evidenziano infatti come la Corte territoriale, pur dando atto della sussistenza di una direttiva datoriale che prescriveva che la movimentazione dei pezzi di ceramica superiori a 25 kg fosse effettuata da una coppia di operai (e non da uno solo), avesse accertato, sulla scorta delle risultanze istruttorie di fonte testimoniale (cinque testimoni su sette), “la responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., in quanto non impediva fattivamente, ad esempio, sanzionando le violazioni, la movimentazione da soli dei carichi, prassi che di fatto era solita avvenire anche solo nei momenti di temporanea assenza dei Capi reparto”.

Inoltre, i giudici di merito avevano evidenziato la carenza di direttive con riguardo allo spostamento di pezzi pari a 25 kg (come nel caso di specie) e l’assenza di prova circa la dedotta impossibilità di meccanizzare il passaggio dei pezzi di ceramica dal tornio al carrello. “L’accertato comportamento del datore di lavoro, di omessa adozione delle idonee misure protettive e di insufficiente controllo e vigilanza (rilevante in via esclusiva anche esso solo) che di tali misure fosse fatto effettivamente uso da parte del dipendente, costituisce inadempimento agli obblighi protettivi tale da esaurire il nesso eziologico dell’infortunio occorso al lavoratore, così da radicarne in via esclusiva la responsabilità” conclude la Suprema corte.Per inciso, la Cassazione ha rigettato anche gli altri due motivi del ricorso relativi al quantum riconosciuto all’operaio.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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