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Va riconosciuto il danno differenziale (quello cioè che spetta quando il pregiudizio è maggiore rispetto all’indennizzo liquidato dall’Inail) agli eredi di un lavoratore deceduto che è stato esposto all’amianto, anche se questi era un fumatore e anche accanito. E questo perché il tumore ai polmoni è una patologia che può essere indotta da più fattori e nelle malattie professionali il rapporto causale tra l’evento e il danno risulta governato dal principio di equivalenza delle condizioni: l’eccezione alla regola scatta solo quando si dimostra che uno dei fattori alternativi è stato (da solo) in grado di produrre l’evento.

E per farlo non bastano le presunzioni semplici, ma serve una probabilità qualificata da verificare in base a dati epidemiologici. E’ un’ordinanza di spicco per la tutela dei diritti dei familiari delle vittime dell’asbesto quella, la n. 21950/23, depositata dalla Cassazione, sezione Lavoro, il 21 luglio 2023.

 

I familiari di un lavoratore esposto all’amianto e deceduto per tumore citano i datori di lavoro

A ricorrere alla Suprema Corte sono stati i congiunti di un operaio manutentore che avevano citato in causa gli ex datori di lavoro del loro caro, due compagnie di trasporto pubblico locale, per essere risarciti dei danni conseguenti alla morte del loro familiare per un tumore ai polmoni che reputavano direttamente correlato alla sua esposizione per lungo tempo all’amianto.

L’operaio era un fumatore accanito

La loro richiesta, tuttavia, era stata rigettata dai giudici di merito anche e soprattutto per il fatto che la vittima fumava parecchio, ritenendo quindi che il decesso potesse essere piuttosto (o anche) collegato a questo fattore di rischio.

Gli Ermellini tuttavia hanno innanzitutto condiviso la censura dei ricorrenti che avevano lamentato come i giudici territoriali non avessero considerato che vi era già una sentenza definitiva, pronunciata nella controversia per la rendita Inail ai superstiti, secondo la quale aveva origine professionale la malattia che aveva condotto alla morte il lavoratore.

Ma, soprattutto, secondo gli Ermellini la Corte di merito ha errato nell’escludere il risarcimento del danno differenziale sul mero rilievo che l’operaio avesse il vizio del tabacco fin da quanto era un ragazzino e fumasse trenta sigarette al giorno dall’età di quindici anni. E questo anche se nell’officina “incriminata” della seconda azienda citata in causa era stato esposto alle fibre di amianto per soli quattro anni, a cui però andavano aggiunti i quindici-venti di esposizione presso l’impresa del precedente datore di lavoro.

 

La regola dell’equipollenza, va escluso il fattore alternativo

Le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di appello, infatti, spiega la Cassazione, viola la regola dell’equipollenza. Nelle cause per malattia professionale, ricorda la Suprema Corte, va applicato il principio dell’articolo 41 del codice penale, ossia la patologia può essere attribuita alla causa indiziata, nello specifico il fumo da sigaretta, soltanto dopo che si è escluso che il fattore alternativo, nel caso di specie l’esposizione all’amianto, abbia rivestito un ruolo eziologico. Senza poi contare che alcuni fattori hanno un effetto sinergico rispetto all’insorgenza e all’aggravarsi della malattia, come il fumo di sigaretta rispetto al tumore del polmone.

Il canone dalle probabilità qualificata

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione, che dovrà procedere ad un nuovo esame della causa attenendosi ai principi di diritto richiamati dai giudici del Palazzaccio, accertando cioè, secondo il canone della probabilità qualificata, se l’esposizione a sostanze nocive nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze dei datori di lavoro, in particolare dell’ultimo, possa aver avuto un qualsiasi ruolo concausale nell’insorgere o nell’aggravamento della patologia tumorale, sia pure innescata dall’esposizione subita presso i precedenti datori, e definendo il ruolo svolto dal vizio del fumo, se sia stato “solo” una “concausa ad effetto moltiplicatore” o una “serie causale autonoma” da sola idonea e sufficiente a determinare la lesione. Il tutto sula scorta di un’indagine scientifica che sia in grado di produrre un risultato in termini non “meramente presuntivi” ma di “elevata plausibilità logica”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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