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Lo scorretto utilizzo di un macchinario da parte del lavoratore non fa venire meno le responsabilità da parte del datore di lavoro laddove a monte lo strumento in questione sia inefficiente e, soprattutto, privo dei dispositivi di sicurezza richiesti delle norme.

A ribadire questo concetto basilare, che pure molte corti territoriali continuano a disattendere, la Cassazione, con l’ordinanza 17351/21 depositata il 17 giugno 2021.

 

In primo e secondo grado rigettata la domanda di risarcimento di un lavoratore infortunatosi

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 2019, e peraltro confermando la pronuncia di primo grado, aveva respinto la domanda proposta da un uomo nei confronti dell’Inail e delle persone per conto delle quali aveva lavorato procurandosi un grave infortunio, nel giugno del 20919.

Il danneggiato chiedeva che fosse accertata la natura di incidente sul lavoro di quanto successo, con la conseguente condanna dell’ente previdenziale alla corresponsione della rendita per inabilità permanente in misura del 100% e degli altri citati in causa al risarcimento del danno differenziale, ovvero, in via subordinata, per l’accertamento della loro responsabilità ex artt. 2043, 2050 e 2051 c.c.

Il danneggiato non era sotto contratto

La Corte territoriale, tuttavia, aveva sostenuto che correttamente il primo giudice, alla luce delle risultanze istruttorie, aveva escluso la qualificazione dell’incidente come infortunio sul lavoro in quanto non avvenuto in occasione dello svolgimento della prestazione lavorativa subordinata: era infatti risultato che il danneggiato aveva lavorato con la motozappa – con cui si era gravemente ferito – su un fondo agricolo del tutto volontariamente, in virtù di rapporti di amicizia esistenti con i proprietari: conseguentemente, secondo i giudici, tale attività non aveva alcuna attinenza con la prestazione oggetto del rapporto di lavoro subordinato intercorrente con l’impresa edile di proprietà di uno di coloro detenevano anche l’appezzamento di terreno.

 

La colpa andava ascritta esclusivamente all’operaio

Inoltre, e soprattutto, la Corte d’appello ha concluso che nessuna responsabilità poteva rinvenirsi ai sensi dell’art.2050 c.c. in quanto, benché l’utilizzo del mezzo meccanico adoperato rappresentasse sicuramente un’attività pericolosa, era risultato insussistente il nesso di causalità tra l’esercizio dell’attività e il verificarsi dell’incidente, che sarebbe stato provocato esclusivamente dallo scorretto utilizzo da parte dell’operaio.

Il lavoratore ricorre per Cassazione 

Il quale, tuttavia, non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione, con sei motivi di doglianza. Quelli che qui premono sono il quinto e il sesto, che la Suprema Corte ha ritenuto “manifestamente fondati”, rigettando invece i primi quattro.

Il danneggiato ha lamentato il fatto che la Corte territoriale avesse omesso qualsiasi pronuncia sulla responsabilità extra contrattuale dei convenuti sia in via generale (ex art. 2043 cod.civ.) sia derivante da cose in custodia (ex art 2051 cod.civ.), e avesse trascurato che la responsabilità per attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c. ha natura oggettiva e sussiste sulla base del solo nesso causale, a prescindere da qualsiasi rimprovero in termini di colpa che possa essere mosso all’esercente l’attività stessa.

 

La macchina agricola che gli era stata fornita era priva dei sistemi antinfortunistici

Nel caso di specie il mezzo agricolo era di proprietà di uno soggetti citati in causa, messo a disposizione dal secondo per essere utilizzato nel fondo del terzo: l’attività di lavorazione del terreno, posta in essere dai tre, mediante l’impiego di una rudimentale macchina agricola e pacificamente priva dei sistemi antinfortunistici di protezione delle parti meccaniche in movimento, era un’attività oggettivamente pericolosa per i mezzi utilizzati e per le modalità di svolgimento e non era sufficiente – per vincere la presunzione di colpa – provare che il danno fosse imprevedibile ma era necessario dimostrare che fossero state adottate le misure di prevenzione necessarie.

La Corte territoriale, pur dando atto della proposizione di una domanda di responsabilità a titolo extracontrattuale, per l’esercizio di attività pericolosa e per danni cagionati da cose in custodia (ex artt. 2043, 2050, 2051 cod.civ.), e pur rilevando la natura pericolosa dell’attività di fresatura del terreno agricolo tramite una motozappa vecchia e priva di sistemi antinfortunistici, aveva ritenuto interrotto il nesso di causalità tra comportamento-fatto ed effetto-danno in considerazione della condotta della vittima.

Una conclusione a cui i giudici erano giunti in particolare in considerazione, come detto, dello scorretto utilizzo da parte del lavoratore che, inserendo la retromarcia, aveva mutato la direzione di movimento delle lame, ma poi non ne aveva tenuto conto, evidentemente distraendosi, per cui le lame stesse si erano impigliate nel lembo inferiore dei suoi pantaloni trascinandolo sotto il mezzo meccanico.

 

La teoria della causalità adeguata

Ma “lo spettro di indagine del rapporto di causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale – obiettano gli Ermellini – si muove nell’ambito della cosiddetta teoria della causalità adeguata o di quella similare della regolarità causale per cui occorre dare rilievo (solo) alle serie causali che ex ante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile.

In tale contesto, anche il fatto del danneggiato può venire in rilievo (sia in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 cod. civ. che di quella ex art. 2051 cod.civ.) ai fini della verifica di sussistenza del nesso di causa tra condotta del danneggiante ed evento dannoso, ed essere, quindi, sia fattore concorrente nella produzione del danno ex art. 1227, primo comma, cod.civ., sia fattore idoneo – in base ad un ordine crescente di gravità – ad elidere il nesso eziologico anzidetto, in base ad un giudizio improntato al principio di regolarità causale”.

La Suprema Corte ammette dunque che la condotta della vittima può anche assumere efficacia causale esclusiva, “ma – precisa con forza – soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto”.

E inoltre, proseguono i giudici del Palazzaccio, “la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcirlo, in tutto o in parte”.

 

La condotta di chi aveva affidato un macchinario pericoloso

Invece, sottolinea la Cassazione, il giudice di merito, pur sottolineando l’utilizzo, da parte del danneggiato, di un macchinario inefficiente e privo delle tutele antinfortunistiche, “ha concentrato il giudizio sull’efficienza causale esclusivamente sulla responsabilità concorrente del danneggiato, trascurando totalmente ogni indagine sulla questione rilevante ai fini della decisione, ossia quella dell’accertamento e della valutazione dell’esistenza di una eventuale incidenza causale della condotta tenuta da coloro che hanno consegnato alla vittima uno strumento ritenuto — secondo un accertamento insindacabile in questa sede di legittimità — inefficiente e pericoloso al fine di effettuare un impegnativo lavoro agricolo”.

Il ricorso, insomma, coglie nel segno là dove evidenzia la mancata valutazione, ai sensi dell’art. 2087 cod.civ. e del d.lgs. n. 81 del 2008, dell’efficienza causale della mancata adozione delle misure di sicurezza che le leggi dell’arte e la comune prudenza avrebbero imposto nel caso concreto, “con particolare riferimento ai sistemi di sicurezza di cui gli strumenti meccanici affidati al lavoratore dovevano essere dotati. Tale accertamento – in relazione alle evocate fattispecie legali di responsabilità ex artt. 2043 e 2051 – è del tutto mancato nella sentenza di merito”.

Che pertanto è stata cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà rivalutare la causa attenendosi, nell’esame della responsabilità extracontrattuale, ai principi succitati.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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