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In caso di controversie in materia di responsabilità civile da circolazione stradale, il costo sopportato dal danneggiato per l’attività stragiudiziale svolta in suo favore da un patrocinatore, sia volta a prevenire il processo, sia ad assicurarne l’esito favorevole, si deve considerare un danno emergente che, se allegato e provato, deve essere oggetto di risarcimento, ex art. 1223 c.c., indipendentemente dal fatto che essa possa essere “potenzialmente” svolta anche personalmente dallo stesso danneggiato, eventualità, questa, che non assume alcun rilievo.

Con la rilevante sentenza n. 26368/22 depositata il 7 settembre 2022, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire l’assoluta e piena risarcibilità, e con essa la rilevanza, anche per la sua funzione deflativa del contenzioso giudiziario, dell’attività appunto stragiudiziale, accogliendo il ricorso di un pedone travolta da un’auto.

 

Un donna investita cita in causa l’assicurazione dell’auto che l’ha travolta

La donna aveva citato davanti al Giudice di pace di Taranto il conducente della vettura e la sua compagnia assicuratrice, Allianz, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni che aveva riportato per essere stata investita, detratto l’importo di 1800 euro che la compagnia già le aveva corrisposto ma che erano stati ritenuti insufficienti a risarcire il pregiudizio. Con sentenza del 2017 il giudice di pace aveva quindi condannato solidalmente l’automobilista e la sua compagnia a risarcire il pedone nella ulteriore misura di euro 1813,32, oltre accessori di legge. 

La danneggiata tuttavia aveva ritenuto il quantum ancora inadeguato, aveva proposto appello innanzi il Tribunale id Taranto, che però con sentenza del 2019 lo aveva respinto, e ha infine presentato ricorso anche per Cassazione adducendo cinque motivi di doglianza. Quelli che qui premono, e che la Suprema Corte ha accolto, riguardano per l’appunto il riconoscimento dell’attività stragiudiziale. 

 

Il mancato riconoscimento delle spese per l’attività stragiudiziale

La ricorrente, più precisamente, ha denunciato, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. “in punto di prova dell’attività svolta dal legale”. Il giudice d’appello aveva infatti sostenuto che le attività svolte dal suo patrocinatore erano “talune sprovviste di supporto probatorio, talaltre non necessarie“, e che erano risarcibili soltanto quelle necessarie. Dunque, secondo il Tribunale, non vi sarebbe stata la prova di tali attività, ma se vi fosse stata, sarebbero state comunque inutili. 

In questo modo, però, lamentava la danneggiata, il giudice d’appello tralasciava completamente il fatto che il suo patrocinatore era riuscito nel processo di primo grado a farle ottenere una ulteriore somma di 1.813,32 euro, a saldo della precedente offerta di 1.800 euro, oltre a 300 euro per spese stragiudiziali. Un risultato ottenuto mediante assistenza informativa e tecnica, attività che tuttavia il tribunale aveva ritenuto “così generica da non consentire neppure di individuare in concreto il contenuto della prestazione”: una conclusione censurata dalla danneggiata, che aveva ribattuto come tale definizione fosse stata tratta dall’art. 9 del D.p.r. 254/2006 “il quale così individua la prestazione da offrire al danneggiato”. 

Per i giudici territoriali si trattava di attività che poteva espletare anche la danneggiata

Inoltre il patrocinatore aveva nuovamente redatto, aggiornandola e re-inviandola, la lettera di messa in mora del 2015 prodotta in primo grado, ma anche qui il Tribunale aveva escluso la necessità di assistenza legale sostenendo che si trattava di “attività che avrebbe potuto svolgere personalmente la stessa danneggiata”: considerazione a cui anche qui l’interessata aveva controbattuto, rilevando come si trattasse invece di un atto giuridico in senso stretto, anche sulla scorta dell’art. 148 d.lgs 209/2005 e della stessa giurisprudenza di legittimità che l’ha riconosciuto, “dal momento che il diritto sorge prima dell’azione (per cui l’intervento di un patrocinatore di fiducia è garantito dalla Costituzione) – osserva la ricorrente – e nella fase stragiudiziale l’intervento di un professionista è necessario in quanto l’assicuratore è economicamente più forte e tecnicamente organizzato”. 

 

La necessità del supporto di un professionista

La ricorrente, durante il processo d’appello, aveva poi prodotto l’invio della richiesta di accesso agli atti, ma anche per questa secondo i giudici non sarebbe stata necessaria l’assistenza legale, laddove invece, ha obiettato la danneggiata, non si è tenuto conto il rilievo tecnico della perizia medico-legale, che generava “una sorta di sub-procedimento, spesso articolato e complesso, all’interno del procedimento di constatazione, valutazione e liquidazione del danno“, a maggior ragione per il fatto che non coincideva la valutazione della invalidità permanente nella perizia medico-legale di Allianz con quella del proprio medico legale. 

Ancora, il suo patrocinatore aveva stilato e inviato l’invito alla negoziazione assistita, in cui l’intervento dell’avvocato è obbligatorio, e infine la ricorrente aveva ricordato come il suo legale, una volta ottenuta da documentazione medica completa, avesse provveduto a preservare gli originali e a fornirne le fotocopie per studiare il caso al fiduciario della compagnia assicurativa. In conclusione, ad avviso della ricorrente, vi era prova ineludibile dell’attività compiuta dal suo patrocinatore in fase stragiudiziale, “attività necessaria e perentoria“, né d’altra parte si poteva imputare a quest’ultimo il mancato perfezionamento della transazione perseguita. 

La donna, inoltre, ha denunciato, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., anche la violazione degli articoli 1223 e 2056 c.c. Il Tribunale aveva reputato che le attività già descritte sarebbero state in rapporto di stretta connessione e complementarità con l’attività difensiva svolta nella fase giudiziale. Ad avviso della ricorrente, invece, si sarebbe trattato di due poste completamente diverse, sottolineando come, secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, sia ormai assodato che le spese stragiudiziali costituiscono danno emergente, non rientrando in quelle giudiziali.

Doglianze accolte dalla Suprema Corte, la quale osserva come il primo dei due motivi presenti una duplice sostanza: esso “è infatti riconducibile all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c. nella parte in cui invoca una sedie di prove documentali effettivamente per nulla considerate dal Tribunale, e all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione alla singolare interpretazione normativa effettuata dal giudice d’appello“. 

E per quanto attiene al primo profilo, gli Ermellini non possono non riconoscere che “il Tribunale non menziona le documentazioni dettagliatamente richiamate nel motivo riportato, incorrendo così in una evidente omissione riconducibile appunto all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c.”. Sotto il secondo profilo, poi, entra in gioco “l’articolo 1223 c.c.”, peraltro invocato nel motivo seguente, prosegue la Suprema Corte, la quale non condivide in alcun modo le scelte interpretative del giudice di merito, “in quanto giungono a consistere in una vera e  propria disapplicazione della norma”.

 

Le spese stragiudiziali sostenute costituiscono danno emergente

I giudici del Palazzaccio premettono, e ricordano, che la giurisprudenza di legittimità ha a più riprese dichiarato “la, peraltro più che evidente, natura di danno emergente” per quel che riguarda il recupero delle spese stragiudiziali. Punto, questo, da cui pure il giudice di merito prende le mosse, richiamando poi un altro elemento indiscutibile, ovvero che, qualora il professionista già stia prestando assistenza giudiziale, le sue prestazioni che altrimenti avrebbero potuto qualificarsi stragiudiziali sono assorbite, ai fini del pagamento, da quelle giudiziali, nel caso in cui non sussista in esse un’autonoma rilevanza”.

Ma, una volta fatte queste ovvie premesse, il tribunale territoriale, con l’applicazione dell’art. 1223 c.c. sottesa alle sue argomentazioni, giunge a una “forma di disapplicazione della norma pervenendo a due risultati non condivisibili” ripete la Cassazione, che chiarisce. 

 

L’attività stragiudiziale è regolata da norme specifiche ed è presupposto per adire le vie legali

In primo luogo la non necessità, in sostanza, dell’assistenza legale stragiudiziale perché la persona che lamenta di esser danneggiata sarebbe – quasi del tutto – in grado di “fare da sola”: come se, nel quadro legislativo della responsabilità civile per la circolazione di veicoli, non sussistano invece norme specifiche relative all’attività stragiudiziale che viene inserita come presupposto legittimante all’adizione del giudice, presupposto che come tale è, per così dire, radicalmente logico che, per il preteso danneggiato, sia attuato proprio da un legale o comunque (si pensi alla trattativa derivante dall’accertamento peritale) sotto la supervisione di un legale che lo assista”.

E non è “annullabile” in quella giudiziale

Non solo. “In secondo luogo – prosegue la Suprema corte -, ed è questa in effetti la sostanza della censura racchiusa nel terzo motivo, la sentenza del tribunale di merito giunge alla nullificazione dell’attività forense stragiudiziale nel caso in cui venga poi instaurato un processo, perché l’inevitabile “stretta connessione di complementarità” assumerebbe, a ben guardare, una sorta di effetto retroattivo sull’attività forense stragiudiziale nel senso di assorbirla in quella giudiziale e quindi espungerla dal danno emergente perché all’attore, se vince la causa, sarà rifusa la spesa giudiziale: sempre che naturalmente il giudice non ravvisi ragioni di compensazione anche diverse dalla soccombenza/ reciproca/parziale, ma ciò, logicamente, non inciderebbe perché l’impostazione adottata dal giudice d’appello è quella di una attrazione rigorosa e totale dell’attività stragiudiziale in quella giudiziale, indipendentemente dal fatto quest’ultima venga poi rifusa oppure no”. 

In conclusione, convenendo con la ricorrente gli Ermellini prendono atto che il giudice d’appello non ha effettivamente considerato i documenti probatori prodotti dall’appellante e non ha correttamente applicato l’articolo 1223 c.c. in quanto, ribadiscono, “ha espunto, in sostanza, l’esborso per l’attività stragiudiziale dal danno emergente che possa subire chi viene danneggiato in un sinistro stradale, gravando della effettuazione dell’attività stragiudiziale il danneggiato stesso e, a completamento della deprivazione, inserendo un assorbimento da parte della successiva attività giudiziale delle spese sostenute per le attività stragiudiziali che rimangano – nell’ottica del giudice d’appello che, si ripete, non condivisibile – non espletabili direttamente dalla persona danneggiata”. 

Il principio di diritto

Questa interpretazione, prosegue la Suprema Corte, “oltre a contrastare con una giurisprudenza già ben chiara nel senso che l’attività stragiudiziale genera danno emergente per un soggetto che l’ha dovuta disporre, confligge con la ratio sottesa alla procedura stragiudiziale anteriore al giudizio, imposta nel caso in esame dal d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209, ovvero, conformemente a una strutturazione incrementata da anni, con il generale obiettivo di dirimere le contese mediante una sorta di processo tra privati così da alleggerire la macchina giudiziaria e favorire quindi, adeguando il contenzioso alle concrete potenzialità della giurisdizione, la ragionevole durata del processo pubblico”. 

In conclusione, le censure sono state accolte con cassazione della sentenza e rinvio al giudice monocratica di Taranto che dovrà applicare ili principio di diritto pronunciato con l’occasione della Suprema Corte: “in tema di responsabilità civile da circolazione, il costo sopportato danneggiato per l’attività stragiudiziale svolta in suo favore da un legale, diretta sia a prevenire il processo sia ad assicurarne un esito favorevole, ancorché detta attività possa essere svolta personalmente, si deve considerare danno emergente che, se allegato e provato, deve essere risarcito ai sensi dell’articolo 1223 c.c.”. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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