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Il tribunale di Trento ha inteso lanciare un segnale forte sul grave fenomeno dell’abbandono dei bambini in auto, culminato anche in tragedia. E ha condannato a quattro mesi di reclusione una madre che aveva lasciato i figli di 3 e 9 anni in macchina per una “sola” mezzora. Tanto infatti era durata l’assenza dei genitori, turisti di Ravenna in vacanza a Pinzolo: un lasso di tempo durante il quale il padre era andato a recuperare l’attrezzatura da sci, mentre la mamma accompagnava un’altra figlia più grande sulle piste per una lezione.

Queste argomentazioni, tuttavia, non sono state sufficienti, come scusante, per evitare la esemplare condanna al giudice di Trento (pena comunque sospesa con la condizionale) della donna, protagonista di un reato odioso, soprattutto per un genitore. Nelle motivazioni della sentenza, depositata nei mesi scorsi, ma portata alla ribalta in questi giorni su numerosi siti web, il giudice ha evidenziato che non conta tanto la durata dell’assenza, quanto la messa in pericolo dell’incolumità del minore.

Il fatto risale al 13 marzo 2016. Una passante che portava a spasso il cane notò i piccoli ‘rinchiusi’ dentro l’abitacolo della macchina parcheggiata nei pressi delle funivie, e vide che uno dei due bimbi era particolarmente agitato: piangeva e sbatteva le mani contro i vetri dell’automobile, chiusa a chiave. Inevitabile la chiamata ai carabinieri, che in pochi minuti raggiunsero il parcheggio, giusto mentre arrivava il padre dei bambini. Nei confronti dei turisti di Ravenna scattò la denuncia per abbandono di minorenni, ma alla fine solo la madre è stata citata in giudizio. La posizione del padre è stata archiviata dalla Procura di Trento, perché l’uomo si era allontanato per recuperare dell’attrezzatura da sci presso un appartamento preso in affitto quando la moglie si trovava ancora con la prole.

Da parte sua, in questo mini-dramma familiare, la mamma ha respinto tutte le accuse, raccontando ai militari di essersi allontanata dall’auto solo per portare in bagno la terza figlia. Quanto ai figli di 3 e 9 anni rimasti in auto, questi, secondo la madre, erano tranquilli e intenti a giocare con il tablet con il quale il bimbo poteva anche comunicare con i genitori. A fare scoppiare il piccino in lacrime sarebbe stata la presenza di molte persone intorno all’auto. Per la difesa quindi si tratterebbe di un equivoco.

Il giudice di Trento, però, non è stato dello stesso avviso. Secondo l’accusa, in realtà, l’imputata si era assentata ben più di qualche minuto per accompagnare la figlia sulle piste da sci. “Sotto il profilo della rilevanza penale – si legge in sentenza – dagli elementi in atti emerge un lasso temporale di circa 30 minuti, idoneo a realizzare la messa in pericolo del bene giuridico tutelato”.

Ed è proprio questo che colpisce dell’intera vicenda: non basta un i-Pad per mettere a posto la coscienza di un genitore nella speranza che un figlio possa rimanere tranquillo in solitudine, chiuso dentro lo spazio limitato di una vettura. “Il legislatore ha inteso punire – si spiega nella sentenza – non la durata dell’abbandono quanto la messa in pericolo dell’incolumità di un minore, sicché il reato risulta integrato anche nelle ipotesi di abbandono temporaneo”, in quanto la norma esiste per garantire “il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo”. Cosa che non si verifica, evidentemente, chiudendo a chiave i propri figli in macchina, anche se con un dispositivo digitale in mano. Tanto meno se a fare questa scelta è una mamma.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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