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Inaccettabile sostenere che gli imputati soffrono come noi e che sono degli eroi commenta amaro il superstite, che però confida in una sentenza di condanna il 23 febbraio: per quel giorno porterà in aula anche la figlia Gaia, “il giudice dovrà guardarla negli occhi”

 

“E’ inaccettabile paragonare la nostra tragedia a quello che starebbero vivendo gli imputati. E definirli pure eroi”. Giampaolo Matrone, uno dei simboli della catastrofe di Rigopiano del 18 gennaio 2017, l’ultimo superstite ad essere estratto vivo dopo 62 interminabili ore passate sotto le macerie del resort spazzato via dalla neve, sapeva bene che nelle tre udienze del processo celebrate questa settimana in tribunale a Pescara, dedicate alle arringhe dei difensori degli imputati, e che ha voluto seguire di persona, avrebbe dovuto inghiottire diversi “rospi”. 

“Ma non pensavo fino a questo punto, ho sentito cose che non stanno né in cielo né in terra. Gli avvocati difensori si sono commossi parlando dei morti, ma subito dopo questi pianti di coccodrillo hanno aggiunto che anche i loro assistiti da sei anni stanno vivendo un incubo, hanno i beni sequestrati, sono senza soldi, umanamente stanno male, paragonando la loro situazione alla nostra. Sappiano che la nostra tragedia non è paragonabile a nulla e nessuno” commenta amaro l’oggi trentanovenne pasticciere di Monterotondo, uscito vivo ma gravemente menomato dall’hotel crollato e senza la moglie Valentina Cicioni, una delle 29 vittime. “Così come sono rabbrividito nel sentirli definire “eroi”, uomini che hanno gestito “in modo eroico” il Piano neve – prosegue Matrone -: sono affermazioni che lasciano sgomenti tutti quanti”. 

Anche nel merito delle argomentazioni addotte a giustificazione degli imputati il sopravvissuto è rimasto più volte esterrefatto. “Sapevo che i loro avvocati si sarebbero dovuti arrampicare sugli specchi, ma ho ascoltato tesi davvero assurde, che il 17 gennaio la strada sarebbe stata pulita tanto che si vedeva l’asfalto, che la colpa sarebbe stata dell’albergatore e pure nostra perché non sarebbe stato rispettato il “Piano terremoto”, dopo le scosse saremmo dovuti uscire nel piazzale dell’albergo, restare lì e rientrare solo dopo un sopralluogo che certificasse l’agibilità della struttura. Così saremmo morti tutti di freddo, considerato che i soccorsi sono arrivati due giorni dopo. Non parliamo poi della turbina, che prima non era disponibile, poi non si sarebbe potuta “sottrarre” ad altre zone che avevano bisogno (“se il mio assistito l’avesse fatto lo avrebbero sbranato” ha detto l’avvocato del funzionario provinciale D’Incecco), e che infine, secondo il legale del prefetto, anche se fosse stata mandata prima non sarebbe comunque arrivata in tempo e non sarebbe servita ad evitare la tragedia. Ma al di là del fatto che non posso credere che il prefetto fosse all’oscuro della situazione di Rigopiano, se la turbina fosse partita prima, di giorno, con la luce e con dieci ore di nevicata in meno, ci avrebbe impiegato molto meno tempo, e per me che ero lì sotto, e non al caldo di un bell’ufficio pubblico, anche un’ora avrebbe fatto la differenza” prosegue Matrone, che è assistito dall’avv. Andrea Piccoli e da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini.

Il reduce però coglie anche l’aspetto positivo di questa tre-giorni. “La realtà è che c’è stato uno scaricabarile tra Enti, la Provincia di Pescara che incolpa il Comune di Farindola, quest’ultimo che attacca la Regione, la Prefettura la Provincia, e viceversa. Questo a conferma che la verità è quella che sappiamo tutti, e cioè che questa tragedia si poteva e doveva evitare tranquillamente, il problema non sono stati la neve o il terremoto in sé, ma il menefreghismo e l’incuria di tutte le persone che hanno mal gestito il Piano Neve e l’emergenza neve e Rigopiano in quei drammatici giorni di gennaio 2017”. E, soprattutto, Matrone sa bene che la lunga attesa per ottenere giustizia è ormai agli sgoccioli. “Adesso – conclude – ci saranno altre tre udienze per le repliche dei Pubblici Ministeri e delle parti civili, il 15, 16 e 17 febbraio, e poi il 23 sarà pronunciata finalmente la sentenza di questo processo e qui mi affido al giudice e a tutta la sua esperienza e intelligenza”. 

Per quel giorno il papà porterà in aula anche la figlia Gaia, oggi 11 anni “e saremo in prima fila. Quando il giudice leggerà la sentenza dovrà guardarla negli occhi”.

Caso seguito da:

Angelo Novelli

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Categoria:

Press

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