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La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24073/2017 del 13 ottobre, è tornata a ribadire le regole del riparto dell’onere probatorio in caso di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria nei confronti dei pazienti.

In particolare, conformandosi a un orientamento ormai consolidato e cristallizzato dalla recente legge Gelli (che ha fugato ogni dubbio sulla natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria), i giudici della terza sezione hanno confermato che il paziente danneggiato che chiede alla struttura il risarcimento del danno da responsabilità medica è tenuto a dimostrare esclusivamente l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e ad allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a cagionare il danno che si lamenta. Fatto ciò, è la struttura sanitaria convenuta, quale “debitore”, a dover dimostrare o che non vi è stato alcun inadempimento o che, pur essendovi stato, esso non è stato eziologicamente rilevante.

Nel caso in oggetto, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, riformando la decisione del giudice di prime cure, aveva accertato la responsabilità per inadempimento contrattuale di un’azienda ospedaliera, in conseguenza dell’asportazione totale di un rene cui era stata sottoposta una paziente dopo che le era stato diagnosticato da un sanitario una neoplasia, senza che però, prima dell’intervento, l’indagine diagnostica fosse stata approfondita con l’esecuzione di un esame bioptico estemporaneo.

L’azienda ospedaliera si era quindi rivolta alla Cassazione, lamentando che le risultanze della Ctu utilizzata ai fini della decisione non permettevano di accertare l’incidenza eziologica della omessa diagnosi sull’asportazione totale del rene.

Per la Corte, però, l’impostazione difensiva della ricorrente risultava «falsata dalla errata trasposizione del criterio del “più probabile che non”».

L’accertamento della relazione eziologica in caso di mancata attuazione di una condotta dovuta, infatti, va svolto utilizzando un criterio di prevedibilità oggettiva e quindi verificando se il comportamento omesso era o meno idoneo a impedire l’evento dannoso. Tale criterio è quello cui, correttamente, si è conformata la Corte d’Appello nel caso di specie, accertando che l’esame bioptico omesso era in realtà necessario per confermare o escludere la neoplasia ed evidenziare eventuali diverse patologie. Si trattava, insomma, di una condotta eziologicamente rilevante rispetto alla scelta terapeutica.

Ciò posto e considerato, alla luce di quanto detto in tema di onere probatorio, che la struttura non aveva dimostrato che l’esecuzione della biopsia avrebbe in ogni caso dato un risultato negativo per diagnosi di infezione o un dato non oggettivamente interpretabile come di pielofrenite xantogranulomartosa, la responsabilità dell’azienda ospedaliera deve quindi essere confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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