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Anche se non vi sono testimoni del fatto, laddove le circostanze addotte dalla vittima collimino con tutti i riscontri delle indagini e persino con le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non vi è ragione per rigettare a priori la richiesta di risarcimento per un investimento “pirata”.

Con l’ordinanza n. 7413/21 depositata il 17 marzo 2021 la Corte di Cassazione ha affermato un principio fondamentale a tutela dei danneggiati dall’esecrabile fenomeno della pirateria stradale ai quali, per provare la fondatezza delle loro asserzioni ed essere risarciti dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, (che interviene, o meglio dovrebbe farlo, in caso di sinistri con veicoli non identificati o non assicurati), viene spesso richiesto l’impossibile, con pratiche che si strascinano per anni e che non infrequentemente finiscono nelle aule di giustizia.

 

Un’anziana investita da un’auto pirata cita in causa l’assicurazione mandataria

Com’è capitato ad un’anziana la quale, per il tramite della sua curatrice speciale, era stata costretta a citare in causa avanti il Tribunale di Perugia la compagnia Sara assicurazioni, in qualità di impresa allora mandataria ed esercente il Fondo di Garanzia per la regione Umbria, per essere risarcita dei gravi danni patiti a seguito di un sinistro in cui era rimasta coinvolta nel dicembre del lontano 1993, ben 27 anni fa. La signora, mentre procedeva in bicicletta, era stata investita da tergo da un veicolo rimasto ignoto, in quanto il suo conducente si era dileguato, era stata agganciata al cappotto e scaraventata al suolo dov’era stata trovata in stato di incoscienza da alcuni passanti.

Sara Assicurazioni si era costituita in giudizio contestando per l’appunto la fondatezza della domanda sia per l’an, mettendo cioè in dubbio che l’incidente fosse effettivamente accaduto, o quanto meno nelle modalità descritte, sia per il quantum risarcitorio richiesto, evidenziando la carenza di elementi probatori validi in ordine alla imputabilità del sinistro e sostenendo che in realtà questo sarebbe stato dovuto a un malore dell’anziana.

 

In primo e secondo grado richiesta danni rigettata per carenza di elementi probatori

Il tribunale aveva quindi acquisito gli atti di un corrispondente procedimento penale avviato dalla Procura, escusso i testi e disposta una Ctu ergonomica e medico-legale, all’esito della quale la domanda era stata tuttavia rigettata.

La danneggiata aveva quindi appellato la sentenza, ma anche la Corte d’Appello di Perugia, nel contraddittorio con la compagnia di assicurazioni, con sentenza del 2017 aveva confermato l’assenza di alcuna prova idonea a sostegno delle tesi dell’appellante, con particolare riferimento alla mancanza di testimoni e all’assenza di elementi atti a comprovare che il cappotto della vittima fosse stato tranciato dal veicolo che l’avrebbe fatta cadere.

I giudici territoriali avevano ritenuto che gli unici elementi probatori fossero costituiti da dichiarazioni dei familiari che riportavano peraltro “reminiscenze” della vittima in alcuni rari momenti di lucidità e che ciò non fosse sufficiente a ricondurre la responsabilità del fatto a soggetti terzi.

 

La ricorrente lamenta l’omessa valutazione di diverse e autorevoli prove testimoniali e tecniche

La curatrice dell’anziana tuttavia non si è data per vinta e ha proposto ricorso anche per Cassazione adducendo, attraverso il proprio legale, ben sette motivi di doglianza. In estrema sintesi, la ricorrente ha lamentato il fatto che il giudice territoriale non avrebbe tenuto in alcuna considerazione gli elementi probatori raccolti in giudizio, che sarebbero stati di per sé sufficienti a provare i presupposti per il risarcimento del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada.

In particolare sarebbe stata omessa la valutazione delle prove testimoniali, la relazione del maresciallo della Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica, l’analisi della bicicletta che aveva riportato danni da collisione, così come sarebbe stata omessa qualunque valutazione delle risultanze della Ctu la quale aveva concluso nel senso dell’avvenuta verificazione del sinistro secondo le modalità descritte dalla danneggiata e dalla Polizia Giudiziaria in sede di indagini preliminari, con particolare riguardo alle condizioni della bicicletta e alla presenza di un foro sul cappotto indossato dalla signora al momento del sinistro.

Il consulente tecnico d’ufficio, più precisamente, aveva sottolineato che il foro presente sul cappotto era compatibile con l’altezza da terra del gancio della sponda del cassone di un motocarro Ape, e che la dinamica dell’incidente come ricostruita dalle testimonianze era compatibile con i danni riportati dalla bicicletta.

Da ultimo, si censurava anche la mancata valutazione da parte della Corte d’Appello delle risultanze del giudizio penale nel quale era stata richiesta l’archiviazione non perché la notizia di reato fosse ritenuta infondata ma per la mancanza di elementi atti a consentire di individuare il responsabile dell’incidente.

Tutti motivi fondati e meritevoli di accoglimento secondo la Cassazione. “La sentenza d’appello, in effetti – asseriscono gli Ermellini – manca di qualunque supporto motivazionale con riguardo agli elementi acquisiti al giudizio: in particolare, tace del tutto sul cappotto acquisito agli atti e sulla compatibilità del foro in esso presente con la dinamica dell’aggancio da parte di un rimorchio; nulla dice sui danni riportati dalla bicicletta.

In definitiva la motivazione è meramente apparente e la sentenza merita di essere cassata con rinvio per nuovo esame” alla Corte d’Appello perugina in diversa composizione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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