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Non può andare esente da responsabilità il conducente di un veicolo che, procedendo a una velocità non solo sensibilmente superiore al limite ma anche inadeguata al luogo, abitualmente frequentato da pedoni, investa un bambino che sta attraversando la strada, e a fronte di questa grave violazione poco rileva che questi fosse o meno tenuto per mano dai genitori.

Con l’ordinanza n. 40406/21 depositata il 20 dicembre 2021 la Cassazione, oltre a ribadire alcune norme centrali del codice della strada, ha reso definitivamente giustizia a un piccolo di otto anni rimasto vittima di un tragico incidente stradale e ai suoi familiari.

 

La tragica morte di un bambino investito da una moto mentre attraversa la strada

Il bimbo, il 25 giugno 2013, poco dopo le 21, a Partanna, in provincia di Trapani, mentre per l’appunto attraversava la Strada Provinciale 4 in compagnia del padre, era stato investito in pieno da una moto che viaggiava tra una velocità stimata tra i 73 e gli 82 km/h, a fronte di un limite di 50, e il cui conducente godeva anche di buona visibilità trattandosi di un inizio di serata d’estate, nella quale c’era ancora la luce naturale, e comunque il luogo era dotato di pubblica illuminazione. Il bambino era stato sbalzato a circa trenta metri di distanza e aveva riportato lesioni fatali.

Centauro inizialmente assolto, per i giudici il bimbo aveva attraversato da solo all’improvviso

In primo grado, tuttavia, il Tribunale di Marsala aveva (incredibilmente) mandato assolto dall’accusa di omicidio colposo il motociclista, reputando non credibile che il bambino stesse attraversando la strada tenuto per mano dal papà, per il fatto che questi era uscito illeso e non era stato minimamente colpito dalla moto, e ritenendo più verisimile che il piccolo avesse attraversato da solo e in modo repentino e imprevedibile. E con una considerazione altrettanto discutibile, aveva concluso che la velocità (eccessiva) tenuta dal centauro non aveva avuto un ruolo decisivo nel decesso del piccolo, che si sarebbe verificato comunque anche se il veicolo avesse proceduto nel rispetto dei limiti.

In appello sentenza ribaltata e investitore condannato, soprattutto per la velocità eccessiva

La Corte d’appello di Palermo, con pronunciamento del settembre 2020, tuttavia, in totale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica, aveva condannato il motociclista ritenendolo invece responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione di norme sulla circolazione stradale. La Corte di merito, ribaltando il giudizio assolutorio dopo aver proceduto al riesame di tutti le fonti di prova, aveva escluso che l’attraversamento della strada da parte del bambino fosse avvenuto autonomamente, confermando la versione del padre, secondo il quale lui e il figlio procedevano mano nella mano ed avevano atteso anche il transito di un’auto che passava in direzione Partanna-Castelvetrano prima di passare.

I giudici avevano inoltre argomentato che in quel tratto di strada il limite era di 50 km/h (e non dì 90 kmh, come sostenuto dal consulente dell’imputato) e che la velocità tenuta dal motociclo era comunque tale che, ove il conducente avesse osservato il limite vigente, avrebbe potuto consentire ai due pedoni di spostarsi dalla traiettoria della due ruote.

 

Il centauro ricorre per cassazione sostenendo che il limite di velocità fosse di 90 km/h

A questo punto è stato l’imputato a ricorrere per Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe inserito nel corpo motivazionale una valutazione non oggetto di alcun motivo di appello proposto dal Pubblico Ministero circa le modalità dell’attraversamento della strada e, più in generale, la dinamica dell’incidente.

Inoltre, nella sentenza impugnata, secondo la tesi del ricorrente, vi sarebbe stata carenza argomentativa in ordine all’assunto secondo il quale una più moderata velocità avrebbe scongiurato l’evento, e infine il centauro è tornato a eccepire sullo stesso limite effettivamente vigente nel tratto di strada in questione: limite di velocità che la Corte di merito avrebbe determinato a suo dire sulla base di elementi inidonei, ossia la delibera comunale che qualificava la zona come “centro urbano“, il cartello con il limite dei 50 km/h presente nell’opposto senso di marcia, a lui non visibile, e il segnale presente “a monte” a margine della corsia da lui percorsa, il cui limite avrebbe però perso efficacia per la presenza di intersezioni stradali. Il motociclista adduceva anche le dichiarazioni di un tecnico comunale secondo il quale quel tratto di Provinciale, collocandosi al di fuori del perimetro urbano, doveva considerarsi una strada extraurbana e dunque con limite di 90.

La Suprema Corte rigetta le doglianze, il bambino attraversava con il padre

La Suprema Corte tuttavia ha rigettato tutte le doglianze. Gli Ermellini chiariscono innanzitutto sul piano giuridico che “non assume rilievo alcuno il fatto che il Pm appellante non avesse fatto espresso riferimento alle modalità di attraversamento del bambino e di suo padre, avendo però censurato nel suo complesso la motivazione della sentenza di primo grado sotto il profilo della dinamica dell’incidente, sia pure soffermandosi in particolare sulla velocità tenuta dal motociclo”.

Scendendo poi nello specifico, secondo la Cassazione la decisione impugnata “si confronta espressamente con le divergenti argomentazioni della sentenza di primo grado, sia in ordine all’attraversamento della strada da parte del bambino (i giudici del Palazzaccio sottolineano che la circostanza che il bambino fosse tenuto per mano dal padre era stata confermata da un testimone oculare, ndr), sia in ordine al ragionamento controfattuale riferito alla velocità del motociclo”.

 

Doveroso il giudizio controfattuale circa l’andatura

Al riguardo, rimarca ancora la Suprema Corte, “è affatto corretto, sul piano metodologico, ipotizzare la condotta doverosa – il cosiddetto comportamento alternativo lecitoe ricavarne la sequenza fattuale che si sarebbe verificata in assenza di decorsi causali alternativi. E nella specie, l’elemento posto a base del ragionamento controfattuale della Corte di merito muovendo dall’ipotesi che l’imputato avesse tenuto un’andatura più moderata è riconducibile a un dato oggettivamente certo e sicuramente rilevante, soprattutto per lo spostamento che i pedoni stessi avrebbero avuto più tempo di effettuare rispetto alla traiettoria del motociclo”, anche a fronte del fatto che il consulente tecnico aveva rilevato come l’attraversamento fosse stato completato dal bambino all’80 per cento.

Senza contare che, ben rammentano gli Ermellini in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedoneè necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo.

Ma è ancora più significativo quanto la Suprema Corte argomenta circa la questione del limite di velocità. “A prescindere, infatti, dalla considerazione che su ambo le direttrici di marcia vi erano segnalazioni del limite di velocità di 50 kmh – spiegano gli Ermellini – è apodittico affermare che la segnalazione di tale limite sulla corsia di marcia del ciclomotore avrebbe esaurito la sua validità per la presenza di intersezioni (la cui natura peraltro è correlata, dalla sentenza impugnata, ad accessi a immobili privati)”.

Al di là dei limiti, inoltre, va tenuta una velocità adeguata al caso concreto

Ma, soprattutto, va a concludere la Cassazione ribadendo l’aspetto decisivo della questione, ciò che appare certo è “che il motociclo teneva una velocità compresa fra i 72 e gli 82 kmh in una strada che, peraltro, il bambino aveva già quasi completamente attraversato (con conseguente, più prolungata visibilità per il motociclista) e che viene descritta dalla Corte di merito come certamente interessata dall’usuale attraversamento di persone in tempo d’estate”. E infatti i giudici del Palazzaccio fanno notare come, la sentenza di secondo grado, “più che sul limite di velocità vigente in quel tratto ai sensi dell’art. 142 Cod. Strada”, si soffermava “correttamente sui principi generali di cui all’art. 141 dello stesso codice, che impongono all’utente della strada una serie di cautele – anche al di là del formale rispetto dei limiti di velocità – avendo riguardo alle circostanze del caso concreto”.

La cosiddetta velocità esigibile. Dunque, ricorso respinto e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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