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In caso di investimento di un pedone, uno degli elementi chiave per determinare le responsabilità è data dalla sua “avvistabilità”: se la vittima si poteva “avvistare”, l’investitore è sempre responsabile.

A soffermarsi su questo principio fondamentale a tutela degli utenti deboli della strada la Corte di Cassazione, con la sentenza 28463/21 depositata il 22 luglio 2021.

 

Automobilista condannato per lesioni personali per aver investito un pedone

Per fortuna il caso di cui si sono occupati nello specifico gli Ermellini non è tragico, ma il danneggiato aveva comunque riportato delle lesioni. Con sentenza del 2019 il Giudice di pace di Licata aveva dichiarato un automobilista responsabile del reato di cui all’art. 590 cod. pen., ossia lesioni personali stradali, per avere, alla guida della sua vettura, il 10 febbraio 2016, colposamente investito un pedone che procedeva a piedi, cagionandogli dei traumi al ginocchio e all’anca per una prognosi di una decina di giorni.

Secondo la ricostruzione del giudice di merito, intorno alle 10.00 la parte offesa stava andando a consegnare la spesa – con il carrello del supermercato presso cui lavorava – a un cliente la cui abitazione si trovava accanto all’esercizio commerciale, quando era stato urtato dall’autovettura condotta dall’imputato rovinando a terra dopo essere caduto contro lo stesso veicolo.

L’automobilista tuttavia ha proposto ricorso per cassazione lamentando errata valutazione delle dichiarazioni rese dalla parte civile: contrariamente a quanto da quest’ultimo dichiarato, non avrebbe corrisposto alla verità la circostanza che l’imputato guidava parlando al telefonino. Inoltre, il ricorrente obiettava che era stato il pedone a non avvedersi della presenza dell’auto che stava ultimando la manovra e a finire addosso alla macchina, facendo notare anche la natura non grave delle lesioni.

Per la Suprema Corte, tuttavia i motivi di censura sono inammissibili “in quanto accomunati dalla pretesa di ottenere in questa sede una rivalutazione nel merito della vicenda, attraverso una lettura del compendio probatorio alternativa e diversa rispetto a quella adottata nella decisione impugnata. Sotto questo profilo, le prospettate doglianze non sono consentite dinanzi al giudice di legittimità”.

 

Il principio della “avvistabilità”

La Cassazione tuttavia entra anche nel merito rilevando come la sentenza impugnata in realtà si poggi “su una non illogica lettura del compendio probatorio” e soffermandosi sul contenuto della “colpa generica” posta in capo all’automobilista e alla corretta applicazione del principio in forza del quale “il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, il cui avvistamento, poi, implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento”.

Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, “rileva la sua “avvistabilità” da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo”.

 

Nello specifico era stata provata la disattenzione dell’automobilista

Una situazione che, com’era ben evidente, non ricorreva nella fattispecie in esame, “laddove il Giudice di pace ha correttamente evidenziato la deposizione resa da un teste, secondo cui l’imputato aveva dichiarato di essersi immesso sulla strada guardando solamente a destra e non a sinistra, da dove, per l’appunto, proveniva la persona offesa, con ciò implicitamente confermando la sicura avvistabilità del pedone, qualora il prevenuto avesse prestato maggiore attenzione nella conduzione della manovra”.

A fronte dunque di una motivazione in sentenza che ha “adeguatamente trattato sia il tema della colpa, sia quello della sussistenza del nesso eziologico, risultando ampiamente argomentato l’impatto del veicolo contro il carrello trainato dal pedone, da cui sono derivate le lesioni riportate da quest’ultimo in conseguenza dell’urto, lesioni documentalmente provate e sicuramente riconducibili alla condotta negligente dell’imputato”, il ricorso è stato rigettato e la condanna dell’automobilista confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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