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Con l’ordinanza n. 25217/23, pubblicata il 24 agosto 2023, la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha ricordato la ripartizione degli oneri probatori in tema di infortuni sul lavoro per datore e dipendente partendo dal caso della caduta da una scala occorsa ad una lavoratrice domestica, che è riuscita ad ottenere il risarcimento per i danni subiti.

La domestica cade da una scala: tribunale e appello non risarciscono

La vicenda prende le mosse da un fatto accaduto nel marzo del 2015. Una colf, mentre stava rimuovendo delle tende da sopra una scala, è caduta a terra, procurandosi delle lesioni. La donna ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro, ma in primo grado la responsabilità non è stata ascritta al proprietario della casa.

La Corte d’appello ha confermato quanto affermato dai giudici di prime cure, sostenendo che spetta al lavoratore che ha subito l’infortunio provare il nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno alla salute. Nella fattispecie sarebbe venuto a mancare l’ordine da parte del datore di lavoro alla domestica, in quanto egli al momento del sinistro si trovava fuori dalla sua abitazione per delle commissioni. Inoltre agli atti non erano state rilevate problematiche né allo strumento utilizzato (scala danneggiata e priva di una base stabile) né al contesto (tappeto  sotto la scala che ha contribuito alla caduta), deducendo quindi che la lavoratrice non poteva addebitare colpe al datore di lavoro, ancorché assente.

 

Ricorso per Cassazione: chi deve provare l’infortunio?

La colf ha quindi proposto ricorso in Cassazione, articolandolo su tre punti. Nei primi due ha sostanzialmente asseverato che spettasse al datore di lavoro dimostrare di aver, in caso, adottato tutte le misure cautelari necessarie ad evitare il danno, poiché non era stato messo in atto alcun comportamento “abnorme” da parte della donna, lamentando quindi “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in particolare dell’art. 2087 c.c. dell’art. 1218 c.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”.

Infine nell’ultimo motivo è stato dedotto – si legge nell’ordinanza – “vizio di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art.360, comma l n. 5 c.p.c.”. I giudici, cioè, non hanno considerato che la domestica stesse solo svolgendo il proprio lavoro nello smontare le tende in primavera, com’era solita fare, senza condotte abnormi, inopinabili, bensì eseguendo normalmente le mansioni che le venivano conferite quotidianamente, seppur non in presenza del datore di lavoro, allontanatosi omettendo di vigliare e di indicare specifiche prescrizioni.

Spetta al datore di lavoro l’onere di prova

La Suprema Corte innanzitutto ha fatto una premessa in tema di responsabilità datoriale, affermando che dalla natura contrattuale vigente tra quest’ultimo e la dipendente, spetta proprio al datore di lavoro rispondere degli eventi lesivi occorsi. Si legge infatti nell’art. 2087 che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Ma la necessità della colpa, spiegano gli Ermellini, “va coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall’art. 1218 cod. civ., cosicché grava sul datore l’onere di provare di aver ottemperato all’obbligo di protezione, mentre il lavoratore deve provare sia la lesione all’integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità”.

Venendo al caso di specie – prosegue il Palazzaccio nell’ordinanza – va rilevato che la Corte d’appello ha rigettato la domanda sostenendo che mancasse la prova che fosse stato il datore ad impartire l’ordine; affermando che non vi fosse prova che la scala usata possedesse una base stabile o antiscivolamento; ed inoltre che non avesse alcun rilievo il posizionamento di un tappeto sotto la scala, potendo essere facilmente rimosso dalla lavoratrice”.

Così facendo, però, in secondo grado è stato “capovolto l’onere della prova”, dal momento che si trattava di requisiti riferiti al comportamento che il datore di lavoro doveva adottare, dimostrando sia di aver ordinato alla domestica di non rimuovere le tende in sua assenza e in suddette circostanze di sicurezza.

La domestica deve dimostrare solo l’infortunio sul lavoro

La colf ha quindi il dovere di provare “il fatto costituente l’inadempimento”, ossia l’infortunio sul lavoro, ma non l’eventuale colpa del datore per aver messo a disposizione una scala idonea e la sicurezza generale del contesto, che spetta invece al datore di lavoro.

Nella sentenza della Sez. Lavoro del 2008, la n. 9817, si legge che “la responsabilità ex art. 2087 cod. civ. è di carattere contrattuale che impone l’obbligo di sicurezza, sicché il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell’art. 1218 cod. civ. sull’inadempimento delle obbligazioni. Ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.

Sulla base di tutto ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando per la prosecuzione del giudizio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Scritto da:

Dott. Andrea Biasiolo

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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