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Le infezioni ospedaliere, ancora oggi, rappresentano un problema grave che affligge il sistema sanitario; nonostante il progresso della scienza e l’aumentare delle conoscenze, la loro frequenza è infatti tutt’altro che in declino, anzi. Dai dati forniti in un recente convegno sul tema, a Napoli, sarebbero addirittura settemila i pazienti che ogni anno muoiono a causa di infezioni contratte durante la degenza in ospedale: il doppio delle vittime di incidenti stradali

La questione è stata di recente oggetto di una interessante sentenza del Tribunale di Roma, che, in persona del giudice Dott. Massimo Moriconi, ha condannato un’azienda ospedaliera a risarcire un paziente di quasi diecimila euro per aver questi contratto, a causa e durante un ricovero, un’infezione che lo aveva costretto a sottoporsi a ulteriori interventi chirurgici. La pronuncia è stata emessa e pubblicata lo scorso 27 settembre 2018.

Nell’affrontare la problematica, il Tribunale di Roma, riportando e valorizzando le conclusioni del consulente infettivologo nominato ad hoc, ne ha messo ampiamente in risalto la portata, evidenziando che le infezioni ospedaliere, oltre a essere una contraddizione, rappresentano un problema reale della sanità pubblica, che comporta un peso economico per i cittadini e un fallimento dell’assistenza.

Lungi dall’essere un fenomeno in declino, le complicanze infettive sono sempre più numerose e la loro frequenza è correlata con l’aumento delle giornate di degenza. Dinanzi a tale situazioni, i protocolli e le linee-guida elaborati dai Comitati per le Infezioni Ospedaliere risultano del tutto inutili. Manca, infatti, un controllo quotidiano della loro effettiva applicazione pratica, che sarebbe invece doveroso.

Dal punto di vista più strettamente processuale, la sentenza del Tribunale di Roma ha rilevato che, una volta che sia stato accertato in giudizio che il paziente ha contratto un’infezione nosocomiale, in virtù dei principi che regolano l’onere della prova in materia contrattuale, è la struttura ospedaliera che deve dimostrare di aver adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale. Più precisamente, occorre che essa dimostri che il contagio non sia una complicanza prevedibile ed evitabile della prestazione resa al paziente.

In assenza di tale prova, e mancando qualsivoglia utile contributo da parte dei consulenti tecnici di parte, si deve dunque ritenere che il nosocomio non abbia predisposto e adottato adeguate misure di sanificazione, con accoglimento delle pretese risarcitorie del paziente che, eventualmente, lo abbia tratto in giudizio, come avvenuto nel caso di specie.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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