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L’infarto può essere determinato anche dal pesante stress accumulato a causa della prestazione lavorativa. Con una sentenza, la n. 5814/22 depositata il 22 febbraio 2022, di assoluto rilievo, la Cassazione, sulla base di questo assunto, ha riconosciuto ai familiari di un lavoratore stroncato, appunto, da infarto il diritto di ottenere l’indennizzo dell’Inail.

La causa dei familiari di un manager stroncato da infarto per una dura trasferta di lavoro

I congiunti avevano promosso una causa in tal senso sulla scorta delle vicissitudini che il loro caro si era trovato ad affrontare e che avrebbero determinato il tragico evento: l’uomo, dopo una serie di avvenimenti sfortunati e particolarmente stressanti, sia sotto il profilo psicologico sia sotto il profilo fisico, era infatti deceduto durante un viaggio di lavoro in Cina. In particolare, dopo la cancellazione di un volo aereo per maltempo, il lavoratore si era visto costretto ad attendere per molto tempo in aeroporto e, dopo un pernottamento “di fortuna” in un albergo, aveva preso un treno per arrivare fino a Pechino, percorrendo circa 700 km.

Giunto quindi nella capitale cinese, senza nemmeno riposarsi, aveva partecipato, con un periodo di veglia di quasi 24 ore consecutive, a una riunione di lavoro. Il giorno successivo era stato ritrovato morto nella propria camera d’albergo a causa di un infarto.

In primo e secondo grado domande di indennizzo respinta

I giudici territoriali tuttavia avevano rigettato la domanda. La Corte d’Appello de L’Aquila, aveva escluso che l’evento occorso al lavoratore fosse qualificabile come infortunio in itinere: a detta dei giudici, la morte per infarto non poteva ritenersi collegata alla prestazione lavorativa perché causata dall’esposizione a un rischio – vale a dire la cancellazione di un volo – cui sono potenzialmente esposti tutti coloro che viaggiano in aereo. Dunque, avevano respinto il gravame e escluso la tutela indennitaria nei confronti della vedova e dei figli del manager.

I congiunti della vittima ricorrono per Cassazione che dà loro ragione

I quali però, a questo punto, hanno presentato ricorso per Cassazione che ha dato loro ragione  e che, sintetizzando, conclude: “L’ostruzione acuta delle coronarie rientra di per sé nella “causa violenta” ex articolo 2 del dpr 1124/65, che ben può essere integrata anche dalla pressione psicologica e ambientale quando il colpo al cuore scatta in occasione della prestazione lavorativa”. E inoltre “è infortunio in itinere qualunque sinistro che si verifica lungo il tragitto casa-lavoro con la sola eccezione del rischio elettivo”, vale a dire la scelta arbitraria del lavoratore che opti per un percorso diverso da quello normale,

 

Rischio determinato dalla cancellazione del volo e dal resto connesso all’attività lavorativa

Innanzitutto, secondo la Cassazione l’infarto al miocardio integra di per sé la causa violenta della morte perché costituisce una rottura dell’equilibrio nell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione di secondo. E dunque costituisce infortunio sul lavoro quando risulta collegato sul piano eziologico a un fattore di servizio.

La Suprema Corte, riconducendo dunque la vicenda in esame nella categoria dell’infortunio in itinere, ha affermato che il rischio rappresentato dalla cancellazione del volo aereo e dai successivi eventi che ne erano conseguiti, con riduzione per il lavoratore delle pause di riposo, era invece connesso all’attività lavorativa.

 

E’ sempre infortunio in itinere se il lavoratore non cambia l’abituale percorso casa-lavoro

A tal proposito i giudici del Palazzaccio, rammentano che ai sensi dell’art. 2 comma 3 del DPR 1124/65, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 12 del DLgs. 38/2000, l’assicurazione Inail comprende gli infortuni in itinere, vale a dire quegli infortuni occorsi ai lavoratori durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, tranne quando vi siano state interruzioni deviazioni indipendenti dal lavoro o non necessitate, dunque non dovute a cause di forza maggiore, a esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

La Cassazione, sulla base di tale norma e riprendendo principi ormai pacifici in giurisprudenza, ha ricordato come la copertura assicurativa Inail sia garantita in presenza della mera sussistenza di un rapporto finalistico tra il tragitto casa-lavoro e l’attività lavorativa, senza che rilevi l’entità del rischio o la tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato risulti addetto.

Viene quindi tutelato il rischio generico cui soggiace qualsiasi persona che lavori, a differenza del cosiddetto rischio elettivo, che invece ricorre quando il lavoratore, in base a ragioni o a impulsi personali, compia una scelta arbitraria in ragione della quale affronti una situazione diversa da quella legata al percorso normale, interrompendo, in questo modo, ogni nesso tra rischio ed evento.

Il ruolo causale dell’attività lavorativa non è escluso da eventuali cause preesistenti

Nel caso di specie, l’infarto è stato ritenuto collegato all’attività lavorativa, non avendo il lavoratore posto in essere alcuna condotta arbitraria tale da interrompere questo nesso di causalità e trattandosi, anzi, di un evento occorso a seguito di un forte stress psicologico e ambientale connesso alla attività di lavoro svolta dal dipendente.

Del resto, la Suprema Corte ricorda anche che il ruolo causale dell’attività lavorativa non è escluso dalla sussistenza di altre cause preesistenti o contestuali, quali eventuali patologie preesistenti del lavoratore. In tali casi le suddette condizioni rilevano, invece, in senso contrario, rendendo più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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