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Il datore di lavoro deve risarcire al lavoratore anche il danno morale, oltre che alla salute, per l’infarto da stress. Ciò perché, dopo il triplice intervento di bypass, l’ex dipendente è divenuto non idoneo a qualsiasi attività produttiva. Ed è difficile negare che il danneggiato, dopo l’operazione al cuore, abbia provato sofferenze, paure e turbamenti, mentre l’inabilità assoluta pesa sulla sfera interiore oltre che sul piano relazionale: il lavoro, infatti, è “inseparabile dall’essere umano che lo presta”. E’ una sentenza di assoluta rilevanza a tutela dei lavoratori quella, la n. 25191/23 depositata dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, il 24 agosto 2023.

 

Ex autista di autobus cita l’azienda per i danni patiti da infarto da stress lavorativo

La vicenda. Un ex autista di autobus, dipendente di una ditta di trasporti locale, aveva chiesto il risarcimento del danno a seguito di un intervento chirurgico di bypass aorto-coronarico in conseguenza del quale era stato prima assegnato al lavoro di ufficio e, poi, giudicato non idoneo in via definitiva alle mansioni lavorative sino ad allora svolte, con cessazione del rapporto di lavoro.

La Corte d’appello riconosce la responsabilità datoriale e il danno differenziale

L’uomo, pertanto, aveva citato in causa la sua ex azienda e la Corte d’appello di Messina con decisione del 2018, in riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto il suo diritto al risarcimento del danno differenziale da patologia professionale, pari a 148.759 euro, da cui aveva detrarre detratto l’importo indennizzabile dall’Inail, oltre rivalutazione monetaria, interessi sulla somma risultante e spese processuali. A fondamento della sentenza la Corte aveva ritenuto che fosse stato accertato il nesso di causa tra l’attività lavorativa effettuata, quella di autista appunto, e l’evento patito, con conseguente intervento cardiochirurgico. In particolare, secondo i giudici, in ragione delle condizioni di lavoro troppo pesanti, dei turni, degli orari, dell’eccessivo carico di lavoro, del costante superamento dell’orario era integrata anche la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. da cui discendeva la liquidazione del danno differenziale da malattia professionale.

 

La Cassazione accoglie la richiesta del danneggiato di ottenere anche il danno morale

L’azienda ha quindi proposto ricorso per Cassazione e ha presentato contro-ricorso anche il lavoratore. Ebbene, la Suprema Corte ha rigettato tutte le censure del datore di lavoro e ha invece accolto uno dei tre motivi di doglianza del danneggiato, segnatamente il secondo, volto a ottenere dall’azienda datrice di lavoro anche il risarcimento del danno morale, non riconosciuto dalla Corte territoriale con motivazione non ritenuta congrua dagli Ermellini.

Il danno morale – spiegano i giudici del Palazzaccio – all’interno della categoria unitaria del danno non patrimoniale dà rilievo ai pregiudizi del danno alla persona che attengono alla dignità e al dolore soggettivo ovvero a quei pregiudizi interiori rilevanti sotto il profilo del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione, che sono differenti e autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano cioè nell’ambito delle relazioni di vita esterne”.

Impossibile pensare che l’infarto non abbia causato sofferenze, paure e turbamento alla vittima

Per la Suprema Corte, appare difficile negare che la patologia – con accertato nesso di causa tra attività lavorativa e evento lesivo subito – non abbia provocato al lavoratore sofferenze, paure e turbamento dal punto di vista morale, atteso che è stato sottoposto a tre interventi di by pass aorto-coronarico, con successiva dichiarazione di inidoneità a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.

Pertanto, di fronte a compromissioni, oltre che dal punto di vista biologico anche dal punto di vista morale, la Corte di appello, prima di negare al lavoratore il risarcimento del danno morale, avrebbe dovuto prendere in debita considerazione anche tali aspetti della vicenda.

Il giudice del merito infatti, chiarisce ancora la Cassazione, deve considerare tutte le conseguenze negative che derivano dall’evento di danno, mentre la Corte d’appello non ha spiegato perché ha escluso la lesione morale e tutti i già ricordati elementi (dolore, paura, vergogna e disistima di sé, ecc.) differenti rispetto agli effetti dell’illecito sulla vita quotidiana del danneggiato, che possono, anzi devono, essere apprezzati in modo autonomo sul piano del risarcimento.

I tre bypass hanno anche impedito al lavoratore di realizzarsi sul piano professionale

Non solo. La Suprema corte batte molto anche sui valori costituzionali, aggiungendo come i tre bypass impediscono al lavoratore di realizzarsi sul piano professionale e umano oltre che di portare a casa lo stipendio. Pesa “la polifunzionalità” del lavoro come valore nella Costituzione, tutelato non solo nella dimensione contrattuale e sotto il profilo della salute ma anche su piani diversi come la sfera collettiva sociale e quella individuale della dignità personale. All’autoferrotranviere che non può più lavorare per l’infarto da stress si preclude anche di “partecipare effettivamente all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese”. Insomma: l’illecito del datore compromette valori “di pregnanza costituzionale” anche dal punto di vista morale che vanno considerati nel risarcimento.

Dunque, la Cassazione ha accolto il motivo del controricorso del lavoratore, rinviando la causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, che ora dovrà rivalutare la causa alla luce delle indicazioni degli Ermellini

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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