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E’ destinata a fare giurisprudenza la recente sentenza pilota del Tribunale di Ivrea, che per la prima volta riconosce l’esistenza del nesso causale tra l’(ab)uso del telefono cellulare e l’insorgenza di tumori al cervello. Anche perché, stando a quanto ha riaffermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nonostante il ventennio di ricerca scientifica sull’argomento, mancano ancora prove inequivocabili che confermino quest’assunto.

Ad onor del vero, però, l’Oms, ha anche precisato che gli studi finora hanno indagato gli effetti dei campi a radiofrequenza su attività elettrica del cervello, funzione cognitiva, sonno, battito cardiaco, pressione e tumori, sottolineando che il gruppo di esperti dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc) della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato nel 2011 i campi elettromagnetici a radiofrequenza quali “possibili cancerogeni” per l’uomo (gruppo 2B), soprattutto per i cosiddetti super-utenti che stanno per ore e ore al giorno al telefonino.

Il caso che ha dato adito alla corte di condannare l’Inail al risarcimento del danno, nonché ad erogare una rendita vitalizia da malattia professionale, è infatti quello di un impiegato della Telecom che per oltre 15 anni ha utilizzato il telefono cellulare per circa 3-4 ore al giorno, per ogni giorno.

I giudici di primo grado hanno accolto la tesi che il neurinoma dell’acustico, diagnosticatogli nel 2010, fosse riconducibile al ricorso costante all’apparecchio tecnologico come strumento imprescindibile con cui svolgere l’attività lavorativa. Sette anni fa il ricorrente aveva iniziato ad avvertire una persistente sensazione di orecchie tappate e gli era stato appunto diagnosticato un neurinoma al cervello, con conseguente asportazione del nervo acustico: oggi non sente più dall’orecchio destro.

Siamo di fronte indubbiamente ad un processo in cui ha ricoperto un ruolo decisivo la prova scientifica, e quindi l’apporto del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice del lavoro di Ivrea: questi ha infatti riconosciuto all’uomo un danno biologico permanente del 23 per cento, che sarà risarcito con un’indennità di circa 500 euro al mese per tutta la vita della vittima.

Da un punto di vista processuale, in particolare, è stata adottata la strategia di “ribaltare” la giurisprudenza esistente, secondo la quale non era possibile riconoscere il nesso di causalità tra l’uso prolungato di telefoni cellulari e patologie oncologiche, sostenendo esattamente il contrario. È vero, cioè, che non c’è la prova dell’effettiva incidenza dello strumento tecnologico sulla salute umana, ma non è stato nemmeno dimostrato il contrario.

La sentenza, come detto, farà nuova giurisprudenza e apre definitivamente le porte ad un dovere di controllo e sorveglianza sull’uso che viene fatto dei cellulari da parte dei cittadini, richiamando il Parlamento ad assumere una posizione forte paragonabile, ad esempio, alla campagna di informazione condotta rispetto al fumo da sigaretta. E si parla anche di una possibile class action volta a far sì che l’Inail inserisca tra le malattie professionali anche quelle derivanti dall’uso dei telefonini.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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