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Il danno estetico di norma rappresenta una componente del danno biologico e, pertanto, deve essere liquidato con quest’ultimo.

Questo l’orientamento ribadito dalla Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 26584/22 depositata il 9 settembre 2022 ha affrontato e giudicato un contenzioso riguardante la richiesta risarcitoria di un uomo rimasto vittima di un grave incidente stradale.  

 

Una causa risarcitoria contro il Fondo Vittime 

Il danneggiato aveva citato in giudizio Ina Assitalia Assicurazioni, oggi Generali Italia, nella qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, per essere risarcito dei danni patiti a causa di un incidente stradale verificatosi nel lontano 10 settembre 2006, allorché, mentre era ala guida della sua vettura, era stato violentemente urtato da un’altra auto di colore nero che, dopo l’impatto si era allontanata velocemente, rimanendo non identificata. Il Tribunale di Catanzaro, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio, come richiesto dalla compagnia, nei confronti dei due terzi trasportati, con sentenza n. 664/18 aveva parzialmente accolto la domanda risarcitoria, condannando l’impresa di assicurazioni a pagare a titolo risarcitorio la somma di 107.713,47, oltre agli interessi legali.

In appello i giudici liquidano anche il pregiudizio estetico, ma per il danneggiato solo in parte 

L’automobilista tuttavia aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, adducendone l’erroneità per avere escluso i postumi di carattere estetico dalla liquidazione del danno biologico e per avere ridotto l’invalidità permanente al 20%, e chiedendo pertanto ol pagamento del maggior importo di euro 212.031,86 o, in via subordinata, quello di euro 144.191,55, in applicazione della personalizzazione massima del danno tabellare riconosciuto dal Tribunale.

La Corte territoriale, dopo aver premesso e asserito che il danno estetico non può essere liquidato separatamente dal danno biologico e che la ricorrenza del danno non patrimoniale può essere provata anche per presunzioni, aveva ritenuto che effettivamente il Tribunale non avesse fatto buon governo della prova presuntiva, perché dalla consulenza tecnica d’ufficio emergeva chiaro che nell’incidente il danneggiato aveva riportato la frattura del femore sinistro e del seno mascellare destro nonché postumi cicatriziali con conseguente pregiudizio estetico medio-grave: una cicatrice di 10 centimetri nella regione temporo-zigomatico-palpebrale inferiore sinistra con lieve ectropion (la curvatura all’interno della palpebra), una di tre cm nella regione palpebrale superiore e arcata sopracciliare sinistra, poi cicatrici chirurgiche di 3 e 12 cm, rispettivamente, sul gluteo e sulla coscia sinistra.

Questi esiti, per i giudici di secondo grado, avrebbero dovuto indurre il Tribunale a personalizzare il danno non patrimoniale, giacché, secondo l’id quod plerumque accidit, conseguenze estetiche così evidenti dovevano essere giudicate tali da alterare l’aspetto dinamico relazionale di una persona, tanto più per un giovane che all’epoca aveva appena 18 anni. Di conseguenza, la Corte d’appello aveva aumentato di 15.902,20 euro, in via equitativa, la somma liquidata dalla sentenza del Tribunale, maggiorando il danno da invalidità permanente della percentuale media del 20%, ma aveva altresì respinto la richiesta di applicazione della personalizzazione massima consentita dalle tabelle: l’importo attribuito era stato poi attualizzato, applicando gli indici di rivalutazione monetaria Istat, e maggiorato di altri 2.987,93, pari agli interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata annualmente fino alla pubblicazione della sentenza.

La vittima ricorre per Cassazione, che però rigetta le doglianze

Per nulla soddisfatto di questa conclusione, solo parzialmente favorevole, il danneggiato ha quindi proposto ricorso anche per Cassazione, lamentando la ridotta quantificazione del danno per omesso esame di fatti decisivi per la discussione, con riferimento alla (a suo dire) immotivata esclusione di lesioni considerate dal Ctu, cioè il danno estetico medio grave al volto. Secondo il ricorrente, il giudice non avrebbe adeguatamente tenuto conto della consulenza tecnica e se ne sarebbe discostato senza fornire adeguata motivazione. Motivo di doglianza ritenuto tuttavia inammissibile dalla Suprema Corte, secondo la quale invece proprio le risultanze della Ctu avevano consentito la riforma parziale della sentenza di primo grado che non aveva personalizzato il danno non patrimoniale, pur in presenza del certo ed evidente peggioramento della fisionomia del volto, “perciò difetta il presupposto per invocare l’omesso esame della stessa” asserisce la Suprema Corte. 

Per il ricorrente il danno estetico andava liquidato a sé

Inoltre il ricorrente ha censurato il fatto che fosse stato escluso dal Tribunale il danno estetico dalla liquidazione del danno biologico; secondo la sua tesi, il danno estetico, come accertato dal consulente tecnico nella misura del 13%, avrebbe dovuto sommarsi ai punti di invalidità per i postumi permanenti e per il danno funzionale ed avrebbe dovuto comportare una personalizzazione del danno tabellare. La Corte territoriale, pur rilevando il mancato riconoscimento del danno estetico, non si sarebbe pronunciata sulla invocata formula di Balthazard (30%) e si sarebbe limitata a ritenere giustificata una personalizzazione del danno non patrimoniale nella misura del 20%, ponendosi in contrasto, sempre secondo l’interpretazione del danneggiato, con la giurisprudenza di legittimità “che ritiene il danno biologico, quello morale e quello dinamico-relazionale pregiudizi ontologicamente diversi e tutti risarcibili. 

 

Il danno estetico va ricompreso nel danno biologico attraverso la personalizzazione

Anche qui però la Cassazione ha dato torto al ricorrente, precisando in primis come il motivo della censura non sia l’omesso esame della Ctu (“proprio l’esame di questa ha infatti consentito alla Corte territoriale di riformare parzialmente la decisione di prime cure” spiegano gli Ermellini), ma l’erronea liquidazione del danno non patrimoniale. “In realtà la Corte territoriale ha fatto applicazione proprio della giurisprudenza di legittimità sul punto” evidenzia la Suprema Corte, spiegando come la formula di Balthazard sia stata invocata “in modo non pertinente. Essa non consente, infatti, la sommatoria, in caso di lesioni plurime, aventi causa nel medesimo fatto dannoso, dei singoli valori di invalidità riferibili a ciascuna menomazione, come parrebbe adombrare il ricorrente”. 

La Suprema Corte evidenzia infatti come nel suo ricorso il danneggiato abbia sostenuto che per calcolare i punti di invalidità del danno biologico “sarebbe legittimo sommare la percentuale per i postumi permanenti a quella per il danno funzionale e a quella per il danno estetico subiti”, invocando però erroneamente la giurisprudenza di questa Corte, “che si esprime in termini affatto diversi” ricordano gli Ermellini, ribadendo che “la lesione dell’integrità fisionomica dell’individuo, il cosiddetto danno estetico, è di norma una componente del danno biologico, nel quale la prima è ri-compresa”. Ciò non significa che il giudice del merito possa liquidare la compromissione dell’integrità psicofisica senza tenere conto del danno estetico, “ma comporta che della menomazione estetica si tenga adeguato conto nella liquidazione del danno biologico, attraverso una idonea personalizzazione del parametro monetario di base adottato per il risarcimento”.

 

La formula di Balthazard

La formula di Balthazard, concludo i giudici del Palazzaccio, “è fondata sul principio per cui alla determinazione della invalidità nella responsabilità civile non può procedersi mediante una mera sommatoria dei gradi di invalidità permanente relativi a ciascuna singola lesione afferente un organo o distretto anatomico diverso, in quanto tale operazione comporterebbe il superamento – illogico, rispetto alla valutazione di una “residua” capacità biologica del soggetto – del grado massimo di invalidità del 100% corrispondente all’annullamento di detta capacità, e dunque essendo richiesta una correzione del risultato della predetta sommatoria, mediante applicazione di un coefficiente proporzionalmente riduttivo, idoneo ad esprimere una percentualizzazione della invalidità coerente con la complessiva residua capacità biologica della persona danneggiata”.

Il ricorso è stato pertanto rigettato e la decisione della Corte d’Appello confermata. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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