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Soprattutto per la cura dei tumori, oggi la radioterapia è sempre più utilizzata potendo contare sul vantaggio di essere localizzata, poco invasiva, indolore, per lo più praticata in regime ambulatoriale, eccetera. Tuttavia, purtroppo non sempre va tutto liscio e vi sono anche casi in cui i pazienti lamentano pesanti ricadute determinate da procedure e trattamenti effettuati in modo errato. In tali circostanze si può essere risarciti? E in che misura?

Indicativa in tal senso è la sentenza n. 26805/22 depositata il 12 settembre 2022 che si è occupata, appunto, della vicenda di un uomo che ha avviato una causa per malpractice medica dopo aver sviluppato, a seguito di alcuni cicli di un trattamento radioterapico, praticatogli per la cura di una coxartrosi d’anca sinistra, una radiodermite cronica con necrosi cutanea ed area ulcerata che, oltre a precludergli l’intervento di artroprotesi, gli aveva reso necessari ben sei interventi di chirurgia plastica.

 

Un paziente vittima di un trattamento radioterapico errato cita per i danni medico e ospedale

Il paziente aveva quindi citato in giudizio avanti il tribunale di Padova il medico che lo aveva seguito e la struttura sanitaria presso cui gli era stato praticato l’errato trattamento, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, quantificati in 360mila euro, una cifra determinata dal danneggiato a prescindere dai valori delle tabelle milanesi”, per risarcire adeguatamente, come asseriva, un danno di natura moralepeculiare e affatto ordinario” quale “il dolore continuo”, che provava.

Dottore e struttura condannati, ma il danneggiato ritiene esiguo il risarcimento stabilito

Il dottore e la clinica si erano costituiti contestando sia la responsabilità ascritta loro sia la quantificazione delle pretese risarcitorie, ma i giudici, dopo aver disposto una consulenza tecnica medico legale, ne avevano invece accertato la piena responsabilità quantificando il danno in 81.071,26 euro. Nel corso del giudizio di primo grado, peraltro, la compagnia assicurativa della struttura aveva formulato una proposta transattiva versando al danneggiato un importo di 110mila euro.

Il Tribunale, dopo aver quantificato il danno in 81.071,26 e accertato la responsabilità in solido del medico e dell’ospedale, in considerazione della proposta transattiva e dei conseguenti versamenti, aveva preso atto dell’avvenuto, integrale risarcimento del danno, compensando interamente le spese fino alla data della proposta transattiva, e condannando invece il danneggiato a rifondere alle controparti quelle successive a tale data.

Il paziente tuttavia non aveva ritenuto equa la quantificazione del danno operata in primo grado, in particolare l’omesso esame del danno morale, e aveva appellato la sentenza. La Corte d’Appello di Venezia aveva accolto parzialmente il gravame, modificando il capo relativo alle spese (integralmente compensate) e affermando che, anche a ritenere dovuto un ulteriore importo per spese mediche ed una maggiore personalizzazione, la somma già corrisposta, pari a 110mila euro, doveva ritenersi comunque satisfattiva delle pretese.

 

Il paziente ricorre per Cassazione lamentando l’omessa valorizzazione del danno morale

Il danneggiato tuttavia è voluto andare fino in fondo e ha proposto ricorso anche per Cassazione, lamentando la – a suo dire – non corretta valutazione e liquidazione compiuta dalla Corte d’appello con riferimento alla componente “danno morale” del danno non patrimoniale. Secondo il ricorrente, anche se in modo non del tutto soddisfacente, il danno biologico gli era stato liquidato, e con la personalizzazione del punto anche il danno esistenziale, ma non sarebbe stato invece considerato e adeguatamente valutato il danno morale, che, per citare il suo ricorso, “è una componente del danno non patrimoniale unitariamente inteso (biologico, morale, esistenziale) che va liquidato integralmente”.

Scendendo nel dettaglio, secondo il paziente tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello avrebbero recepito acriticamente i valori delle Tabelle di Milano (pur riconoscendogli una personalizzazione), trascurando la peculiare sofferenza soggettiva ed il particolare dolore fisico patito nel caso concreto, eccezionali rispetto alla casistica comune a parità di invalidità permanente, ciò che avrebbe legittimato i giudici a discostarsi, in aumento, dai valori massimi delle Tabelle.

Il ricorrente infatti nell’atto di citazione del processo di primo grado aveva chiesto per la componente della sofferenza una liquidazione per un importo di 45mila euro del tutto svincolata dalla rigida applicazione delle tabelle milanesi, così da risarcire adeguatamente questo “dolore continuo”. I giudici, invece, pur accogliendo la domanda risarcitoria, avevano liquidato il danno da invalidità temporanea totale nella misura massima, riconoscendo poi un aumento personalizzato del danno biologico nella misura, altrettanto massima, del 41%.

La Corte di appello, nell’accogliere in parte il gravame, aveva ritenuto ricompresa nella liquidazione complessiva del danno anche la relativa componente morale intesa come sofferenza soggettiva, incrementando ulteriormente la personalizzazione ed affermando, quanto alla doglianza circa l’impossibilità per il danneggiato di svolgere i suoi hobbies, che si trattava di “un pregiudizio di cui si teneva conto nella personalizzazione del danno, che nel caso di specie era stato riconosciuto nella misura massima”.

La Suprema Corte tuttavia ha rigettato il ricorso. Gli Ermellini innanzitutto hanno accennato soltanto en passant “all’errore di diritto in cui è incorso il giudice di appello nel riconoscere un’ulteriore personalizzazione del danno risarcibile, in continuità con l’errore già compiuto in primo grado, ove veniva riconosciuta una personalizzazione massima, in evidente spregio dei principi dettati da questa Corte”: considerazioni “non consentite in questa sede” in assenza di ricorso incidentale.

 

Le due componenti del danno non patrimoniale sono quella dinamico-relazionale e morale

La Cassazione è quindi entrata nella “tripartizione” proposta dal ricorrente con riguardo alle componenti del danno non patrimoniale (biologico-morale-esistenziale), definendola “destituita di giuridico fondamento, avendo questa Corte costantemente affermato, a far data dalla sentenza n. 901 del 2018, che la relativa morfologia è caratterizzata dalla duplice componente, dinamico/relazionale e morale”.

“II risarcimento del danno morale intesa come sofferenza soggettiva, di natura strettamente emotiva, e non fisica – proseguono i giudici del Palazzaccio – è stato correttamente operato dalla Corte territoriale, che ha dato atto, nell’applicazione delle tabelle milanesi, di aver considerato espressamente ed autonomamente tale componente del danno, sia pur giungendo ad una liquidazione unitaria, in consonanza con quanto affermato da questa Corte con la sentenza 25164/2020, i cui principi vanno in questa sede integralmente riaffermati, sia pur con riferimento alle tabelle milanesi precedenti all’anno 2022 (che contengono, in ossequio al dettato legislativo, una duplice e separata indicazione monetaria per il danno morale)”.

 

Gli Ermellini ricordano come va liquidato il danno alla salute

La Suprema Corte con l’occasione ricorda quindi che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito deve: accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di un danno da sofferenza morale, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervenivano, per il danno biologico – prima dell’ultima, necessaria modificazione – all’indicazione di un valore monetario automaticamente e complessivamente unitario (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico (espressamente ed esclusivamente definito dal legislatore, fin dall’anno 2000, come danno dinamico/relazionale), depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, e liquidando, conseguentemente il solo aspetto dinamico-relazionale del danno; in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cosiddetta personalizzazione del danno secondo gli stringenti criteri indicati dalla sentenza 7513/2018, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale, automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.

Tornando al caso in questione, conclude la Cassazione, la voce di danno “ancor oggi insistentemente richiesta in aggiunta a quanto liquidato in sede di merito, ove pure risulta riconosciuta (erroneamente) la personalizzazione massima tanto del danno biologico, quanto di quello da sofferenza emotiva interiore rispetto alla cifra complessivamente liquidata”, ha ad oggetto esclusivamente “il dolore fisico conseguente all’intervento medico e non alla componente della sofferenza morale del danno non patrimoniale nel senso dianzi specificato, che risulta, viceversa, abbondantemente risarcita”. Dunque, ricorso rigettato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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