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Una coppia di bangladesi residenti a Mestre chiede risposte all’autorità giudiziaria: a maggio sarebbero accaduti nel nosocomio altri due casi a loro connazionali

Il bimbo nato morto all’ospedale dell’Angelo al termine di una gravidanza regolare, la mamma finita in Rianimazione e rimasta per giorni in pericolo di vita. Una giovane coppia di origine bangladese, da poco trasferitasi dalla Sicilia a Mestre, si è rivolta a Studio3A-Valore S.p.A. per fare piena luce sulla tragedia che l’ha colpita il 12 maggio, e il 5 giugno ha presentato un esposto presso la stazione dei carabinieri di via Miranese chiedendo all’autorità giudiziaria di disporre gli opportuni accertamenti, anche perché sempre in maggio nello stesso nosocomio altre due famiglie del Bangladesh avrebbero vissuto un’esperienza analoga.

La donna, 26 anni, nel 2021 aveva già dato alla luce un bambino con parto cesareo che le aveva causato dei problemi, la formazione di una sacca ematica che le procurava emorragie, tanto che si era poi dovuta sottoporre a un intervento chirurgico. Tuttavia, la sua seconda gravidanza – era rimasta nuovamente incinta nell’agosto 2022 procedeva regolarmente: è stata seguita prima dal consultorio di Giare (Catania) e poi, dopo il trasferimento con la famiglia a Mestre, inizialmente all’ospedale San Giovanni e Paolo, quindi in Villa Salus, dove la visita di controllo sostenuta a marzo era andata bene, mamma e piccolo in perfetta salute, infine all’Angelo.

Qui la partoriente, che quasi non parla l’italiano, viene visitata il 14 aprile per un controllo più approfondito e per valutare se possa dare alla luce il suo bimbo con un parto naturale o se si debba procedere a un nuovo cesareo, ma la ginecologa che la visita non dà praticamente modo al marito di illustrare le precedenti problematiche della consorte: anche l’esito di quest’accertamento è positivo, per la dottoressa la donna può partorire naturalmente, e viene fissato l’appuntamento per un successivo controllo l’11 maggio. Ma il giorno stabilito, nel reparto di Ginecologia e Ostetricia, dopo un primo tracciato in tarda mattinata, i medici decidono di ricoverare la ventiseienne e indurle il parto introducendole due ovuli con del medicinale, salvo però non procedere ad altri monitoraggi fino a tarda sera. E qui inizia il calvario. Alle 23 le contrazioni cominciano a farsi sempre più frequenti, una ogni due secondi, la donna accusa dolori sempre più forti, e capogiri, tanto che le ostetriche chiamano al telefono il marito, che è a casa e resta a lungo collegato in viva voce, per capire i sintomi della moglie che, come detto, non comprende la nostra lingua. Alla fine rimuovono gli ovuli e la partoriente inizia a sanguinare copiosamente, ma le ostetriche insistono che va tutto bene, di restare tranquilla.

L’emorragia però diventa irrefrenabile e, soprattutto, la mamma non sente più il bambino muoversi. A quel punto, finalmente, i sanitari decidono di effettuare un’ecografia, che purtroppo conferma l’assenza di battito del piccolo: la sottopongono a un cesareo d’urgenza, ma è tardi, alle 3.34 del 12 maggio il piccolo Ahmed nasce morto. Ma non è tutto, anche la mamma versa in pericolo di vita: i medici spiegheranno poi al marito, e nella circostanza avrebbero ammesso un errore di valutazione, che la moglie ha subìto in prossimità della cicatrice del primo cesareo la rottura dell’utero e della placenta, staccatasi col feto, con relative conseguenze. La donna viene ricoverata in Rianimazione, resta in coma farmacologico due giorni, contrae anche un’infezione e sopravvive per miracolo: è stata dimessa il 31 maggio. Sono riusciti a salvarle l’utero, ma difficilmente potrà avere altri figli.

Il marito ha chiesto subito spiegazioni ai medici e al primario del reparto, ha lamentato con forza come fosse stato trascurato il problema collegato al parto precedente, ha domandato perché, dopo l’introduzione degli ovuli, la moglie non fosse stata sottoposta per ore ad altri tracciati né ecografie, e perché di fronte ad un’emorragia di tale entità non fosse stato allertato o non fosse intervenuto prima un dottore: secondo il papà del piccolo vi erano tutte le avvisaglie e le possibilità per accorgersi prima della sofferenza del feto, che si sarebbe quindi potuto salvare con un cesareo tempestivo, evitando, oltre alla tragedia per la morte di un bimbo sano e che sarebbe nato di lì a poco, anche le gravi conseguenze subite dalla mamma.

Di fronte alle giustificazioni ritenute del tutto evasive dei sanitari, tuttavia, l’uomo, una volta che la consorte è uscita dall’ospedale, ha deciso di andare fino in fondo e ha chiesto il supporto di Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che ha già raccolto tutta la documentazione medica finora disponibile e l’ha sottoposta a un proprio medico legale per capire cosa sia accaduto e valutare eventuali profili di responsabilità in capo al personale dell’ospedale. E, da prassi, è stata anche presentata una denuncia querela alla magistratura, con l’accorata istanza che venga fatta piena luce sul tragico caso, attraverso l‘acquisizione delle cartelle cliniche integrali, di tutti gli esami strumentali effettuati dalla partoriente e dell’esito del riscontro diagnostico interno disposto ed effettuato dall’Azienda sanitaria sul corpicino del bimbo, e con una loro valutazione da parte di un consulente tecnico medico legale nominato dalla Procura e dunque di una perizia giudiziale. Una richiesta che i genitori e Studio3A confidano possa essere al più presto accolta anche alla luce degli altri casi.

Caso seguito da:

Dott. Riccardo Vizzi

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Categoria:

Malasanità

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