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Anche di fronte a quella che sembra una chiara evidenza, un giudice non può ergersi anche a “perito” arrogandosi un giudizio tecnico che non gli compete e valutando il nesso di causalità su semplici “congetture”. Lo ha sottolineato con forza la Cassazione, quarta sezione Penale, con la sentenza n. 42453/23 depositata il 18 ottobre 2023 su un caso di malpractice sanitaria.

Ginecologo condannato per aver causato la perforazione dell’utero a una paziente

A ricorrere alla Suprema Corte un ginecologo in servizio in un ospedale siciliano giudicato colpevole, con sentenza del novembre 2022, dalla Corte d’Appello di Messina, del reato di lesioni gravi ai danni di una paziente. Più precisamente, era accusato di aver causato ad una donna, dopo un aborto alla quinta settimana, la perforazione dell’utero e dell’intestino per non aver compiuto un adeguato monitoraggio del raschiamento e del decorso post operatorio: alla giovane era insorta un’ileite acuta virulenta gangrenosa che l’aveva costretta a sottoporsi a un delicato intervento chirurgico culminato con l’asportazione di 25 centimetri di ileo, ossia il tratto intestinale terminale.

Il dottore era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione nonché al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile, ossia l’Azienda Ospedaliera a cui faceva capo il nosocomio in questione, in favore delle parti civili costituite.

 

L’imputato ricorre per Cassazione, non c’era certezza assoluta che fosse lui il responsabile

L’imputato tuttavia ha contestato le conclusioni della Corte territoriale perché era fuori di dubbio, dopo l’intervento riparatore di laparotomia, che a causare la lesione fosse stato un medico e non il morbo di Chron, com’era stato (anche) ipotizzato, ma non era del tutto chiaro quale dottore: la paziente infatti si era sottoposta a due operazioni successive per mano di sanitari diversi. Il consulente tecnico medico legale nominato dal Pubblico Ministero non era sicuro al cento per cento su di chi fosse la responsabilità della lesione, pur propendendo decisamente per l’imputato, e il giudice aveva orientato la sua decisione finale valorizzando le dichiarazioni delle vittima e persino alcune confidenze che il dottore condannato avrebbe fatto al collega, prova dichiarativa utilizzata per collegare la lesione subita dalla donna al primo intervento, ma palesemente affetta da inutilizzabilità per la posizione del dichiarante (l’altro medico) nella vicenda.

La Suprema Corte accoglie le doglianze, nesso di causalità basato solo su “congetture”

La Suprema Corte ha accolto le doglianze, convenendo sul fatto che la Corte d’Appello aveva erroneamente fondato il giudizio di responsabilità nei riguardi dell’imputato surrogandosi in un giudizio tecnico che non può essere rimesso al giudicante. “Il giudizio rimesso al giudice circa il nesso di causalità tra la condotta del medico e l’evento nella maggior parte dei casi non potrà prescindere dal dato scientifico fornito dal contributo degli esperti. In tale prospettiva, il sapere scientifico acquisito nel processo mediante le conclusioni di periti e consulenti dovrà necessariamente essere utilizzato dal giudice di merito secondo un approccio metodologico corretto che presuppone la indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto” ribadiscono gli Ermellini.

 

Il giudice non può fare il perito utilizzando in modo non corretto le conclusioni degli esperti

In altre parole un giudice non può condannare un medico, per quanto pesanti indizi gravino su di lui, per le lesioni causate a un paziente mettendosi quasi a fare il perito. I consulenti tecnici, infatti, si esprimono in termini solo probabilistici nel giudizio sul nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno patito dalla vittima: è dunque escluso che il magistrato possa “surrogarsi in un giudizio tecnico” che, in quanto tale, “non può essere rimesso a lui”.

Per la condanna occorrono il giudizio esplicativo e quello controfattuale

Per sanzionare un sanitario servono il giudizio esplicativo e quello controfattuale: bisogna cioè in buona sostanza accertare prima ciò che è effettivamente accaduto e poi cosa sarebbe successo se il professionista avesse agito nel modo corretto e richiesto dalle buone pratiche della scienza medica,

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, non è stata raggiunta la certezza processuale su quanto accaduto prima di compiere il giudizio controfattuale, la verifica cioè, lo si ribadisce, se, senza la condotta omissiva o commissiva imputata al medico, si sarebbe evitato il danno,  “e ciò in base alla specifica attività richiesta al sanitario – diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali – che si ritiene idonea a scongiurare o ritardare l’evento pregiudizievole”.

La sentenza di condanna impugnata, viziata da questa valutazione del nesso di causalità su “congetture”, è stata pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, per un riesame del giudizio.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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