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Il danno (patrimoniale) da riduzione della capacità lavorativa generica va riconosciuto non solo a chi al momento del sinistro percepiva già un reddito da lavoro ma anche a chi non aveva alcuna entrata, o per la giovane età, o perché disoccupato, in quanto l’invalidità permanente, tanto più se grave, inciderà puntualmente sulla capacità di guadagno di questa persona quando egli inizierà a svolgere un’attività remunerata, in ragione appunto della riduzione della sua capacità lavorativa conseguente alla pesante menomazione determinata dalla lesione patita. A chiarire in merito a questa specifica e rilevante voce di danno la Cassazione, terza sezione civile, con la preziosa ordinanza n. 26641/23 depositata il 15 settembre 2023.

La complessa causa per un grave incidente stradale che finisce in Cassazione

La lunga e complessa causa di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un grave incidente stradale occorso tra due auto nel Frusinate. In primo grado il Tribunale di Frosinone aveva attribuito l’esclusiva responsabilità a uno dei due conducenti, ma la Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame interposto da quest’ultimo, rimasto gravemente macroleso con una invalidità permanente dell’ottanta per cento, e dai suoi congiunti che avevano dovuto assisterlo, aveva notevolmente riformato la sentenza, ascrivendogli solo il 30 per cento di colpa e assegnando invece il restante settanta all’automobilista ritenuto esente di responsabilità in primo grado, con conseguente riformulazione dell’ammontare del risarcimento stabilito sulla base di tali percentuali.I vari ricorsi delle parti in causa per Cassazione ha avuto come principale nodo del contendere sempre la definizione delle responsabilità, che tuttavia la Suprema Corte ha confermato.

Conducente rimasto menomato rivendica il danno da lesione della capacità lavorativa generica

Ma qui premono i motivi di doglianza proposti dal guidatore a cui erano residuati postumi invalidanti quantificati nell’ottanta per cento e dai suoi familiari, e in particolare quello con cui i ricorrenti di dolevano del fatto che la Corte territoriale avesse ritenuto di provvedere soltanto alla personalizzazione (seppur in percentuale prossima al massimo) del risarcimento del danno non patrimoniale in relazione alla lesione della capacità lavorativa generica subita dal danneggiato, non riconoscendo il richiesto danno patrimoniale da riduzione e/o perdita della capacità lavorativa specifica futura. In altre parole, i giudici d’appello, a fronte della certezza del danno alla capacità lavorativa subito dal conducente che aveva avuto la peggio nell’incidente, avrebbe “erroneamente” ritenuto che non potesse trovare applicazione il riferimento al triplo della pensione sociale, criterio ritenuto applicabile dalla giurisprudenza di legittimità laddove, come nella specie, la vittima non avesse alcun reddito da lavoro al momento del sinistro.

Con riferimento alla riduzione della capacità lavorativa generica, “essa non attiene alla produzione del reddito ma si sostanzia in un danno alla persona, in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto, dunque in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico – premette la Cassazione – Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è viceversa generalmente ricondotto nell’ambito non già del danno biologico bensì del danno patrimoniale, precisandosi peraltro al riguardo che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso”.

 

Laddove la menomazione riduce o elimina la capacità lavorativa il danno è patrimoniale

La Suprema Corte tuttavia precisa che la circostanza che  “i postumi permanenti di lieve entità rientrino nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona non significa lo stesso “assorba” anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell’attitudine a produrre guadagni attraverso l’impiego di attività lavorativa, sicché gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono pertanto consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito”.

Va risarcito anche in prospettiva futura, sotto il profilo del lucro cessante

Pertanto, spiegano gli Ermellini, “vanno risarciti al danneggiato non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l’attività lavorativa prestata all’epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità del danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. In tale ipotesi l’invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno da evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante.

Va pertanto escluso, tira le fila del ragionamento la Cassazione, “che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito e si sostanzi sempre e comunque in una menomazione dell’integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico, costituendo una lesione di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto”.   

 

Il risarcimento non può essere escluso perché al momento del fatto il danneggiato non lavorava

La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nell’idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio ma confacente alle proprie attitudini, può infatti ben costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, “la cui sussistenza va accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica. Il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette infatti automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza”.

Naturalmente, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica eserciti già un’attività lavorativa e il grado di invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (le cosiddette lesioni micro-permanenti), “un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione alla capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale

Ma laddove l’invalidità è di una gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, “integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c.”.

Questo danno, proseguono ancora i giudici del Palazzaccio, deve allora (se del caso) riconoscersi non solo in favore di soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato (es., casalinga) o non sia ancora in età non lavorativa, ovvero versi in concreto in una condizione lavorativa caratterizzata da carattere saltuario o al momento del sinistro sia disoccupato e perciò senza reddito, potendo in tal caso escludersi il danno da invalidità temporanea ma non anche il danno collegato all’invalidità permanente che proiettandosi nel futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima”.

Dunque, un danno anche patrimoniale risarcibilepuò essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che proiettandosi appunto per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima al momento in cui questa inizierà a svolgere un’attività remunerata, in ragione della riduzione della capacità lavorativa conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita, da liquidarsi in via equitativa, tenuto conto dell’età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione”.

 

Ribadita la validità del criterio del triplo della pensione sociale

Mentre la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro deve avvenire “ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima” precisa quindi la Cassazione, venendo al criterio di calcolo e dando anche qui ragione ai ricorrenti, “in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima può applicarsi il criterio del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale”.

E’ quindi evidente che, venendo al caso di specie,  trattandosi di invalidità macro-permanente di ben l’80 per cento, “rimane invero integrata la lesione non solo di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto danneggiato rientrante nell’aspetto (o voce) del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, sicché la relativa liquidazione non può essere pertanto in questo ricompreso, ma anche sotto il (differente) profilo dell’eventuale ulteriore danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, in quanto per la sua entità l’invalidità non consente al danneggiato la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali ed idonei alla produzione di fonti di reddito, oltre a quello specificamente prestato al momento del sinistro”.

In definitiva, un danno patrimoniale da perdita di chance, certo e attuale in proiezione futura

Si tratta, in quest’ultima ipotesi, ribadisce ancora la Suprema Corte, di un aspetto del danno da lucro cessante, “di cui si compendia la categoria generale del danno patrimoniale, concernente la capacità di produzione di reddito futuro, o, più precisamente, della perdita di chance, da questa Corte intesa quale entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un risarcibile danno da considerarsi non già futuro, bensì danno certo ed attuale in proiezione futura (nella specie, ad esempio la perdita di un’occasione favorevole di prestare altro e diverso lavoro confacente alle attitudini e condizioni personali ed ambientali del danneggiato idoneo alla produzione di fonte di reddito)”.

Un danno che, concludono gli Ermellini, ove venga dal giudice di merito individuato ed accertato, “con adeguata verifica dell’assolvimento del relativo onere probatorio incombente sul danneggiato, il quale può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c.”. E la sua attribuzione, se dal giudice del merito riconosciuta come dovuta, “non realizza invero duplicazione alcuna nemmeno in presenza del riconoscimento e liquidazione del danno da incapacità lavorativa specifica, il quale attiene invero a1risarcimento del diverso pregiudizio che al danneggiato consegua in relazione al differente aspetto dell’impossibilità di attendere alla specifica attività lavorativa in essere al momento del sinistro”.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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