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Se una garza viene dimenticata, ed è tutt’altro che una rarità, nel corpo di un paziente durante un intervento chirurgico, ne risponde anche il chirurgo capo dell’équipe.

Perché è vero che il conteggio delle garze spetta agli infermieri, ma è altrettanto vero che il chirurgo deve non solo constatare che la conta sia stata fatta, ma anche effettuare sempre un controllo finale del sito chirurgico. E’ una sentenza rilevante in materia di malpractice sanitaria quella, la n. 392/22, depositata dalla Cassazione l’11 gennaio 2022.

Chirurgo e infermiere condannati per aver scordato una garza nel corpo di una paziente

La vicenda. Con sentenza del dicembre 2019 la Corte d’appello di Palermo aveva confermato la sentenza del Tribunale cittadino con cui un medico, in qualità di primo operatore dell’équipe chirurgica, e l’infermiere della sala operatoria, erano stati ritenuti responsabili dei reato di lesioni colpose gravi. Si imputava loro, con colpa consistita, in negligenza, imprudenza, ed imperizia e nella violazione delle regole stabilite dalle Raccomandazioni del Ministero della Salute, in materia di prevenzione di ritenzione delle garze, strumenti o materiali all’interno del sito chirurgico, di aver causato a una paziente un ascesso retroperitoneale fistolizzato al colon, determinato da una garza laparotomica dimenticata nell’addome, a seguito di intervento chirurgico di istero-anniesectomia radicale, da cui era derivata una malattia con prognosi superiore ai quaranta giorni.

Il medico ricorre per Cassazione sostenendo che la conta delle garze compete agli infermieri

Il chirurgo ha proposto ricorso per Cassazione obiettando che l’intervento del chirurgo è limitato al controllo che prima dell’intervento gli infermieri eseguano la conta delle garze, che durante  l’operazione ne annotino il numero introdotto nel campo operatorio e che, al suo termine, prima di suturare, essi abbiano verificato il numero delle garze utilizzate in entrata e quelle in uscita, operando il relativo conteggio: solo in caso di discrasia evidenziata dal conteggio, di esclusiva competenza degli infermieri, ai sensi della Raccomandazione ministeriale, sarebbe dovere del chirurgo intervenire e procedere alla ricerca della garza derelitta, attraverso l’accurata ispezione del campo operatorio e dell’area circostante ed eventualmente con una radiografia per individuarla e rimuoverla.

 

Il chirurgo aveva verificato che il conteggio fosse stato effettuato

Nel caso di specie, l’imputato, secondo le sua tesi difensiva, aveva eseguito tutti i compiti che gli spettavano, come attestato da tutta la documentazione relativa all’intervento. Rispetto a questa obiezione, invece, a quanto lamentato dal chirurgo la Corte territoriale si era limitata a sostenere che l’imputato aveva preteso di andare esente da responsabilità esclusivamente per avere rispettato tutti i protocolli previsti, senza cogliere che il nodo della doglianza era relativo alla mancata segnalazione della discordanza, a fronte di un ri-conteggio in parità sottoscritto, come stabilito, solo dagli infermieri, mentre la sottoscrizione della check-list per la sicurezza operatoria, documento del tutto diverso, è apposta dal chirurgo per quanto di competenza. Insomma, secondo il medico l’erroneo conteggio ex ante, ovvero l’erronea trascrizione delle garze immesse, spiegava plausibilmente l’accaduto, ma si trattava di attività di esclusiva competenza infermieristica.

Il dottore inoltre eccepiva anche sulla definizione della posizione di garanzia del chirurgo ed sulla riconoscibilità dell’errore. Egli ammetteva che l’assunzione della posizione di garanzia del chirurgo nei confronti dei paziente implica l’assunzione di responsabilità anche rispetto all’attività svolta dagli altri membri dell’équipe, dovendo egli controllare con la dovuta diligenza la correttezza del loro operato, anche rimediando agli eventuali errori, tuttavia ascrivere al medesimo anche quelli non riconoscibili avrebbe implicato un giudizio che coincide con la responsabilità oggettiva.

Non gli si poteva ascrivere alcuna colpa dunque, neanche in in vigilando, perché un suo intervento diretto – attraverso la ricerca in addome e gli esami strumentali – sarebbe stato imposto solo in assenza del conteggio o della sua parità, o ancora della manifestazione di dubbi da parte degli infermieri. E d’’altro canto, rilevava ancora, la garza, per la sua intrinseca natura, tende ad inibirsi di sangue e a mimetizzarsi nel campo operatorio e rappresenta una criticità non comprimbile.

La Suprema Corte respinge le doglianze, il chirurgo deve comunque controllare

Premesso che il reato, commesso il 21 febbraio 2012, è stato dichiarato estinto per prescrizione, la Cassazione affronta tuttavia il caso e chiarisce alcuni punti chiave della questione circa la delimitazione dei campi di intervento del medico e dell’infermiere e sulle rispettive mansioni. La Suprema corte conclude la sua disamina rilevando come l’attenta lettura della Raccomandazione succitata consenta di affermare che, “se li materiale conteggio in entrata ed la uscita delle garze e degli strumenti adoperati è materialmente affidato al personale infermieristico, che deve provvedervi secondo le modalità previste (a voce alta ed in due persone), tuttavia, tutti gli operatori coinvolti nell’atto chirurgico debbono assicurare l’adempimento degli oneri di controllo rivolti a scongiurare l’evento avverso”.

In particolare, “al chirurgo compete di assicurarsi con certezza dell’assenza di ritenzione interna al sito chirurgico di garze o strumenti, prima di procedere alla sua chiusura”: quest’onere, precisano gli Ermellini, non consiste solo nel mero controllo formale dell’operato altrui, ovverosia nel controllo dell’esecuzione del conteggio affidata all’infermiere (ferrista) e del risultato di parità, “ma attiene anche a un dovere proprio del chirurgo di evitare il prodursi di un evento avverso connesso alla ritenzione di materiale nel corpo del paziente, derivante dalla posizione di garanzia che egli assume con l’atto operatorio”.

 

L’obbligo di diligenza oltre alla conta impone il continuo monitoraggio del campo operatorio

L’obbligo di diligenza imposto a tutti i componenti dell’équipe operatoria in relazione all’utilizzo di garze e strumenti nel corso dell’intervento – aggiungono i giudici – non è che il riflesso della prevedibilità ed evitabiiità delle conseguenze del mancato completo “sgombro” del campo operatorio, e va oltre il perimetro della sola formalizzazione della procedura di conteggio e della sua verifica, comprendendo il continuo monitoraggio del campo operatorio sia nel corso che al termine dell’intervento chirurgico.

E nel quadro della collaborazione continua fra componenti dell’équipe spicca il ruolo del soggetto che la coordina e che assume il compito di guida del lavoro collettivo, ai quale compete sempre non solo il dovere di dirigere l’azione operatoria e di farla convergere verso il fine per il quale viene intrapresa, ma anche quello di costante e diligente vigilanza sul progredire dell’operazione e dei rischi ad essa connessi. La ripartizione del lavoro di controllo tra i membri dell’équipe deve intendersi come rivolta ad assicurare un fattore di sicurezza ulteriore che integra e non sostituisce il dovere di diligenza di colui che è tenuto a coordinare il gruppo e vigilare su ciascuna delle attività che i membri dell’équipe pongono in essere.

Non può, invero, immaginarsi alcuna segmentazione degli interventi delle diverse competenze che esima il coordinatore dagli obblighi che gli sono propri”.

 

La figura centrale del capo équipe

La Suprema Corte ammette che, come precisato da una pregressa sentenza della stessa Cassazione, ”il principio di affidamento non trova applicazione nei confronti della figura del capo équipe”. Ciò, nondimeno, ribadiscono gli Ermellini, “non significa affatto ricondurre la sua responsabilità ad una forma di responsabilità oggettiva per l’opera altrui, ma semplicemente ricondurre il controllo finale dei campo operatorio alla diligenza che l’ordinamento rimette al capo équipe.

E’ per questa ragione che, a fronte di una “conta” affidata in modo autonomo al personale infermieristico, che vi deve provvedere con le modalità prescritte dalla Raccomandazione citata e deve sottoscrivere la relativa scheda infermieristica, il chirurgo, benché non tenuto a procedervi direttamente insieme con gli infermieri, deve non solo accertarsi che li riconteggio sia stato effettuato ed abbia dato un risultato di parità, ma compiere una verifica finale dei campo operatorio, che consenta la sua chiusura in sicurezza, posto che il risultato di parità, pur significativo indice dello sgombro del sito chirurgico, non cautela l’errore di calcolo nell’introduzione delle garze e degli strumenti operatori, né l’eventuale frammentazione delle prime nel corso dell’intervento, il cui verificarsi conduce agli stessi  risultati che i protocolli mirano ad evitare”.

 

Non basta il risultato pari, il chirurgo deve effettuare la verifica finale sul sito chirurgico

E la responsabilità di questo finale accertamento, al quale deve tendere l’operato di tutti gli operatori sanitari coinvolti nelle attività chirurgiche, “compete da ultimo al capo che guida l’equipe, “il quale è tenuto, in forza della sua posizione di garanzia verso il paziente, a verificare che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prime e durante l’intervento, non potendo far affidamento solo sull’operato dei collaboratori”.

Non è, quindi, corretto affermare, come fa il ricorrente “che al chirurgo spetti unicamente constatare l’avvenuto conteggio e ricevere la relativa scheda infermieristica, dandone atto nella check list da lui sottoscritta”. Sono quindi irrilevanti gli errori compiuti dai giudici di merito in ordine alla distinzione fra scheda infermieristica e check list, restando comunque il fatto che “il controllo finale dei sito chirurgico è mancato, non avendovi l’imputato provveduto al termine dell’intervento”.

La colpa dunque non è stata lieve

Queste considerazioni consentono infine di escludere che la condotta imputata al medico sia da qualificare come culpa in vigilando, “trattandosi della violazione di una norma cautelare prescritta per il capo équipe”.

E giustamente, concludono gli Ermellini, la Corte territoriale ha reputato colpa non lieve (per la quale dunque si risponde penalmente) l’omissione di controllo dell’imputato “perché essa non si è affatto accompagnata al rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, ma è dipesa dall’inequivoca violazione di una norma precauzionale imposta al capo dell’équipe chirurgica”. In conclusione, sentenza annullata senza rinvio agli effetti penali per estinzione del reato per prescrizione, ma ricorso rigettato agli effetti civili: la paziente andrà risarcita dal dottore e dalla struttura.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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