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Il fatto che un parcheggio sia a pagamento non comporta automaticamente a carico del gestore l’assunzione dell’obbligo di custodia dei mezzi parcheggiati, tanto più se è presente un cartello che informa che è esso incustodito: la “puntualizzazione” non è di secondaria importanza considerato che molti automobilisti sono convinti che il parcheggio a pagamento sia “una garanzia” rispetto ad eventuali atti vandalici o, peggio ancora, furti.

A precisare il concetto la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31979/2019 pubblicata il 6 dicembre 2019.

 

Un automobilista chiede i danni per il furto della sua auto in un parcheggio a pagamento

Un automobilista aveva citato in giudizio dinanzi il tribunale di Milano l’Azienda trasporti milanesi, lamentando che la sua auto parcheggiata nel parcheggio a pagamento gestito dalla stessa era stata oggetto di furto da parte di ignoti, e chiedendo, pertanto, la condanna dell’ente al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda e condannava la società al risarcimento liquidato in 10mila euro.

L’azienda però appellava la sentenza e la Corte d’Appello di Milano accoglieva l’impugnazione, riformando la decisione del Tribunale meneghino e respingendo le pretese dell’automobilista. In particolare, la Corte d’Appello rilevava che l’orientamento interpretativo espresso dalla sentenza impugnata era stato superato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza numero 14319 del 2011.

La quale aveva affermato che il gestore, concessionario del Comune, di un’area di parcheggio senza custodia non è responsabile del furto del veicolo in sosta. Ed evidenziava che anche la successiva giurisprudenza aveva sposato quest’orientamento. Secondo la Corte d’Appello le considerazioni espresse nella sentenza citata erano condivisibili e dovevano applicarsi anche alla fattispecie in oggetto.

La Corte ha richiamato in primo luogo il quadro legislativo costituito dalla legge n. 122 del 1989 volta a favorire la circolazione e il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all’interscambio con sistemi di trasporto collettivo, con facoltà per i Comuni di stabilire aree destinate a parcheggio a pagamento con riscossione mediante dispositivi di controllo della durata e dell’accesso senza custodia del veicolo, fissando le relative tariffe.

La volontà del legislatore, pertanto, era quella di rimandare all’ente locale il potere di regolamentare la sosta dei veicoli privati nelle aree in questione e doveva riconoscersi in capo al singolo utente l’opzione se affidare il veicolo durante la sosta con garanzie di custodia ovvero utilizzare l’area di interscambio postagli a disposizione con modalità di accesso e di pagamento semplificato e a costi più contenuti rispetto al parcheggio con custodia.

Secondo tale indirizzo, peraltro, l’utente va posto in condizione di una scelta consapevole della natura della propria opzione: dunque, l’offerta al pubblico deve essere chiara e ben connotata nella sua entità. Requisiti che, per la Corte d’Appello, sussistevano nel caso specifico, non essendo contestato che all’esterno del parcheggio era affisso un avviso dal quale risultava che l’Atm non rispondeva del furto del veicolo. Nella specie, dunque, non poteva trovare applicazione la disciplina di cui all’articolo 1341 c.c. perché l’avviso integrava l’oggetto stesso della proposta contrattuale e non una semplice clausola.

In conclusione, la Corte d’Appello qualificava il contratto intercorso tra l’utente assicurato e l’Azienda come contratto atipico di parcheggio non custodito caratterizzato da adeguato sinallagma tra le rispettive prestazioni di corrispettivo per la locazione o comodato del cosiddetto posto auto e responsabilità limitata alla struttura dell’area.

 

Risarcimento negato e ricorso in Cassazione

L’automobilista ha proposto ricorso per cassazione avverso quest’ultima sentenza sulla base di due motivi di ricorso: l’Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. si è a sua volta costituita con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo.

Il ricorrente, in particolare, ha lamentato violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine all’accertamento di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360, n. 3 e 5, c.p.c. – errata applicazione dell’articolo 1766 c.c. e seguenti, articolo 7, comma 1, del d. Igs. n. 285 del 1992. Secondo l’automobilista, trattandosi nella fattispecie dell’area di un parcheggio interrato dotato di strutture edilizie e di un’organizzazione, doveva escludersi il riferimento all’area recintata di cui alla giurisprudenza richiamata dalla Corte d’Appello. Altrimenti si sarebbe introdotta una deroga ai principi relativi alla custodia di un bene, in virtù di esigenze urbanistiche.

Il caso di specie costituirebbe un contratto atipico di parcheggio e dovrebbe trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 1766 e ss. cod. civ., con particolare riferimento al deposito oneroso, in relazione alla circostanza che la consegna della vettura al gestore del parcheggio avvenne mediante immissione nell’area destinata ad hoc e delimitata previo superamento di una sbarra, accessibile dopo il rilascio di una scheda magnetica, mentre il conducente poteva uscire dal parcheggio solo dopo aver effettuato il pagamento mediante l’introduzione in un altro apparecchio della scheda e della somma e poi introducendo all’uscita la scheda contrassegnata dal pagamento.

All’esterno del parcheggio non risultava affisso alcun avviso di qualunque genere dal quale risultasse che Atm non rispondeva del furto totale o parziale del veicolo. Per la configurabilità del contratto atipico di parcheggio come assimilabile al deposito e, quindi, con l’obbligo di custodia da parte del depositario ai sensi dell’art. 1766 c.c. non era necessario, secondo il ricorrente, l’affidamento del veicolo ad una persona fisica, poiché la consegna poteva materialmente realizzarsi attraverso la sua immissione nell’area a ciò predisposta, previo perfezionamento del contratto mediante introduzione di denaro nell’apposito meccanismo.

In caso di perdita della cosa depositata in seguito a furto, il depositario, sempre secondo la tesi affermata dal ricorrente, non si liberebbe della responsabilità ex recepto, provando di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia come prescritto dall’articolo 1768 c.c., ma dovrebbe provare che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile ex art.1218 c.c.

 

Per il ricorrente la clausola che esclude la responsabilità del gestore sarebbe vessatoria

Con il secondo motivo, poi, l’automobilista derubato ha lamentato violazione di legge, contraddittorietà della motivazione in ordine all’accertamento di un fatto controverso decisivo per il giudizio ex articolo 360, nn. 3 e 5, c.p.c., errata applicazione degli artt. 1322, 1341, comma 2, c.c. nonché del d. Igs. n. 205 del 2006 (codice del consumatore).

A parere del ricorrente la limitazione di responsabilità sarebbe inefficace se non approvata specificamente per iscritto, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1341, secondo comma, c.c., dovendosi essa ritenere quale condizione generale di contratto ed essendo il suddetto avviso assimilabile a tutti gli effetti ad un’offerta pubblica ex articolo 1336 c.c.

Dunque, la clausola che esclude la responsabilità del gestore del parcheggio per il furto di un’autovettura avrebbe carattere vessatorio e sarebbe inefficace se non approvata specificamente per iscritto.

 

La Cassazione respinge il ricorso

I due motivi del ricorso principale, però sono infondati secondo la Cassazione.

Questa Corte a Sezioni Unite – ribadiscono i giudici – ha già affermato il seguente principio di diritto: «L’istituzione da parte dei Comuni, previa deliberazione della Giunta, di aree di sosta a pagamento ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera f), del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), non comporta l’assunzione dell’obbligo del gestore di custodire i veicoli su di esse parcheggiati se l’avviso “parcheggio incustodito” è esposto in modo adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto (artt. 1326, primo comma, e 1327 cod. civ.), perché l’esclusione attiene all’oggetto dell’offerta al pubblico ex art. 1336 cod. civ., e l’univoca qualificazione contrattuale del servizio, reso per finalità di pubblico interesse, normativamente disciplinate, non consente, al fine di costituire l’obbligo di custodia, il ricorso al sussidiario criterio della buona fede ovvero al principio della tutela dell’affidamento incolpevole sulle modalità di offerta del servizio stesso (quali, ad esempio, l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, di dispositivi o di personale di controllo), potendo queste ascriversi all’organizzazione della sosta”.

 

Il gestore di un parcheggio incustodito non è responsabile del furto del veicolo

Ne consegue, aggiungono gli Ermellini, “che il gestore concessionario del Comune di un parcheggio senza custodia non è responsabile del furto del veicolo in sosta nell’area all’uopo predisposta» (Sez. U, Sentenza n. 14319 del 2011)”.

Un orientamento, questo, ricordano i giudici del Palazzaccio, “vincolante le sezioni ex art. 374 c.p.c. a meno di una nuova rimessione alle sezioni Unite” e che è stato “ribadito in altre sentenze (…).

La Corte d’Appello ha accertato sulla base delle risultanze istruttorie la presenza del cartello che avvisava l’utenza che le automobili parcheggiate non sarebbero state custodite e, come si è detto, deve ribadirsi che l’obbligo di custodia non può sorgere dalle modalità concrete di organizzazione della sosta (quali ad esempio l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, o dispositivi di controllo o la presenza di un piano interrato chiuso) con la conseguenza che deve escludersi la responsabilità del gestore per la custodia dei veicoli parcheggiati nell’area di sosta a ciò predisposta”.

Il ricorso è stato quindi rigettato e l’automobilista dovrà restituire la somma che gli era stata riconosciuta in primo grado.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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