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Anche se il danno, in questo caso terribile, una catastrofe, è stato dovuto essenzialmente a un atto non commissivo ma omissivo del sindaco, il Comune ne è responsabile diretto e come tale deve rispondere sul piano risarcitorio.

Proprio nei giorni dell’ennesima tragedia causata dal malgoverno del territorio, il 26 novembre a Ischia, la Cassazione, con l’ordinanza n. 35020/22 depositata il 29 novembre 2022, ha definitivamente deliberato su una causa collegata ad un’altra drammatica alluvione, quella del 1998 nella vicina Sarno, nel Salernitano.

 

La moglie di una delle vittime dell’alluvione di Sarno chiede i danni a Stato Comune e sindaco

La moglie di una delle vittime aveva citato in giudizio avanti al Tribunale di Salerno la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Interni, il Comune di Sarno e l’allora sindaco chiedendo il risarcimento del danno per la morte del marito in conseguenza, appunto, degli eventi franosi verificatisi il 5 maggio di quell’anno, costati la vita a 137 persone e per i quali era stata riconosciuta la penale responsabilità del primo cittadino per omicidio colposo multiplo, con la condanna generica, unitamente ai responsabili civili, al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente. Le Amministrazioni dello Stato avevano a loro volta proposto domanda riconvenzionale di regresso nei confronti dei coobbligati.

Il Tribunale aveva accolto la domanda risarcitoria, condannando gli enti citati in solido al pagamento della somma di 208.305,72 euro per il danno non patrimoniale e di 120mila euro per il danno patrimoniale, oltre interessi, e anche quella riconvenzionale proposta nei confronti del sindaco, rigettando però quella proposta nei confronti del Comune.

La sentenza era stata appellata in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero degli Interni, nonché in via incidentale dalla moglie della vittima. Con sentenza del 17 dicembre 2020 la Corte d’appello di Salerno aveva rigettato l’appello principale accogliendo invece quello  incidentale, condannando gli originari convenuti, confermate le restanti statuizioni, al risarcimento del danno patrimoniale nella misura di 150.685,17 euro, nonché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni al rimborso delle spese processuali in favore del Comune di Sarno, liquidate in complessivi 8.900 euro. I giudici di seconde cure avevano infine condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Interni, il Comune di Sarno e l’allora sindaco, in solido fra di loro, al rimborso delle spese processuali, in favore della moglie della vittima, liquidate in complessivi 4.297 euro oltre accessori.

 

Per la Corte territoriale anche l’Amministrazione comunale è responsabile indiretta

La Corte territoriale aveva osservato che nel caso di responsabilità per fatto altrui non era consentito al responsabile (per fatto altrui appunto) agire in via di regresso ai sensi dell’art. 2055, comma 2, cod. civ. nei confronti di altro responsabile indiretto in quanto, essendo quest’ultimo per definizione estraneo alla causazione del fatto illecito nonché responsabile senza colpa, era inapplicabile il criterio della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze derivatane, mentre era consentito al responsabile indiretto agire contro l’immediato autore del fatto lesivo per l’intera somma corrisposta al danneggiato, in applicazione del principio di cui all’art. 1298, comma 1, cod. civ..

Responsabile diretto viene considerato solo il sindaco

I giudici avevano altresì aggiunto che responsabile diretto della morte del marito della ricorrente era l’allora primo cittadino perché, quale sindaco, come accertato dal giudicato penale (a seguito della sentenza n. 19507/2013 della Corte di Cassazione), aveva omesso di allertare tempestivamente la popolazione, alla quale al contrario aveva inoltrato avvisi tranquillizzanti, di disporre l‘evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio quale unica condotta salvifica possibile, di convocare ed insediare con urgenza il comitato locale per la protezione civile e di segnalare prontamente alla Prefettura di Salerno la gravità degli eventi per consentirne gli interventi di competenza.

Ancora, la Corte d’Appello aveva osservato che, mentre il sindaco era l‘unico autore delle condotte penalmente rilevanti causative dell’evento dannoso, il Comune e le Amministrazioni dello Stato erano solo responsabili civili indiretti in forza di disposizione normativa (art. 28 Cost.), a prescindere dalla colpa e dalle regole di causalità del fatto, per cui le Amministrazioni dello Stato per un verso avevano diritto di agire in regresso per l’intero nei confronti dell’autore immediato del fatto antigiuridico, per l’altro non potevano promuovere l’azione ai sensi dell’art. 2055, comma 2, cod. civ. nei confronti del Comune di Sarno, altro responsabile civile parimenti incolpevole.

Infine, i giudici avevano ritenuto che fosse infondato l’appello principale avente ad oggetto l’assenza di prova del danno patrimoniale, mentre, in accoglimento di quello incidentale, dovevano essere computati gli interessi maturati sulla quota di reddito destinata alla moglie della vittima, per come progressivamente rivalutata dall’evento lesivo alla decisione, in funzione dell’integrale risarcimento del danno patrimoniale.

Contro quest’ultima sentenza, tuttavia, aveva riproposto ricorso per Cassazione la moglie e avevano resistito con unico atto di controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni, che avevano proposto altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi e contro il quale aveva resistito il Comune di Sarno.

La ricorrente principale sosteneva che nella liquidazione delle spese in proprio favore andava applicato lo scaglione di valore compreso fra 52.001 e 260mila euro poiché bisognava sommare l’incremento di risarcimento riconosciuto in accoglimento dell’appello incidentale, pari a 30.685,15 euro, all’importo di 120mila euro che le Amministrazioni appellanti avevano chiesto di escludere con il gravame, per un totale di 150.685,15 euro, sulla base del principio che nel caso di rigetto della domanda il valore della causa corrisponde al “disputatum”, principio di cui peraltro la corte territoriale aveva fatto corretta applicazione nella liquidazione delle spese a favore del Comune di Sarno. La moglie della vittima aveva lamentato il fatto che, in mancanza di questa “correzione”, si sarebbe pervenuti a un risultato iniquo.

E la Suprema Corte le ha dato ragione, convenendo che, sulla base del criterio del “disputatum”, non poteva essere pretermesso, nella determinazione del valore della causa, l’importo risarcitorio riconosciuto in primo grado e che, in base all’appello proposto dalle Amministrazioni dello Stato, era sub iudice. “Ove infatti l’appellata si fosse limitata a resistere all’appello, senza proporre l’impugnazione incidentale, l’importo risarcitorio riconosciuto in primo grado sarebbe stato il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese, come si rileva nel motivo di censura. Lo scaglione da considerare, ai fini della liquidazione delle spese, è pertanto quello risultante dalla somma dell’importo riconosciuto per effetto dell’accoglimento dell’appello incidentale e dell’importo riconosciuto dalla sentenza di primo grado della quale, con l’appello principale, è stata invano richiesta la riforma spiegano gli Ermellini.

 

Presidenza Consiglio e Ministero dell’Interno invocano la responsabilità diretta del Comune

Ciò che però qui preme è il ricorso incidentale, nel quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni sostenevano che, in ragione del rapporto di immedesimazione organica e dell’art. 28 della Costituzione, ricorreva la responsabilità diretta per fatto proprio del Comune di Sarno, e a supporto della loro tesi citavano la sentenza della Cassazione e Sezioni unite n. 13246 del 2019 e quanto era emerso dalla sentenza di legittimità nel processo penale a proposito dei poteri pubblicistici del sindaco.

Secondo le due amministrazioni dello Stato ricorreva nello specifico una fattispecie di mancato esercizio di funzioni pubbliche, con la conseguenza che gli atti e le omissioni, oltre che immediatamente riferibili alla persona fisica del sindaco, nel sistema della protezione civile sia autorità comunale che ufficiale di governo, erano anche direttamente imputabili tanto al Comune quanto alle Amministrazioni statali in ragione delle rispettive funzioni. E pertanto ricorreva il presupposto per l’azione di regresso.

Anche questo motivo per la Suprema corte è fondato. Gli ermellini muovono proprio dai principi di diritto enunciati da Cass. sez. U. 16 maggio 2019, n. 13246. “Il comportamento della pubblica amministrazione che può dare luogo, in violazione dei criteri generali dell’art. 2043 c.c., al risarcimento del danno per il fatto penalmente illecito del dipendente, o si riconduce all’estrinsecazione del potere pubblicistico, e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali” spiega la Suprema Corte.

 

La responsabilità diretta e indiretta dell’Ente

Nel primo caso (attività provvedimentale o, se si volesse generalizzare, istituzionale in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà), “l’immedesimazione organica di regola pienamente sussiste ed è allora ammessa la responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all’ente“.

Nel secondo caso, di attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale, ove pure vada esclusa l’operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all’ente, “opera, nei limiti indicati dalle Sezioni Unite (profilo qui non rilevante), il diverso criterio della responsabilità indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’art. 2049 c.c.”.

I giudici del Palazzaccio rammentano poi che nella sentenza sulla tragedia di Sarno n. 19507 del 2013 della Corte di Cassazione, che aveva concluso il procedimento penale per omicidio colposo plurimo nei confronti del sindaco, si leggeva, quanto alla imputazione sollevata nei suoi confronti, che “non considerava la “mappa dei rischi” allegata al menzionato piano di protezione civile, nella quale quello derivante da alluvioni, frane e valanghe veniva ritenuto di “grado alto” e, quindi, degno della massima attenzione, con la indicazione degli adempimenti da attuarsi al verificarsi dell’emergenza; ometteva di dare tempestivamente il segnale di allarme alla popolazione, di disporre l’evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio, di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile, di dare tempestivo e congruo allarme alla Prefettura di Salerno alla quale, anzi, fino alle ore 20.47, forniva notizie imprudentemente rassicuranti sull’emergenza in corso, suscettibili di non provocare l’adeguato allertamento degli organi competenti; forniva alla popolazione in pericolo notizie imprudentemente rassicuranti sull’emergenza in atto, diffondendo due appelli televisivi, trasmessi da un’emittente locale, con i quali invitava i cittadini a restare nelle proprie abitazioni, facendo così ritenere che la situazione fosse sotto controllo ed inesistente il pericolo; inoltre, a fronte di una precisa richiesta di evacuazione dei plessi ospedalieri di Sarno, in pericolo, avanzata dall’Autorità sanitaria competente, rifiutava tale evacuazione assumendo la insussistenza di pericolo per la vita dei pazienti”.

L’attività colposa che viene in rilievo, sottolinea la Cassazione, “non è meramente materiale ed estranea ai compiti istituzionali, tale da essere legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri esercitati – alle condizioni indicate dalle Sezioni Unite -, ma è istituzionale nel senso di estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà”.

La circostanza, poi, che l’attività non fosse per lo più collegata ad un formale provvedimento amministrativo ed integrasse piuttosto una condotta di tipo omissivo non muta i termini della questione poiché l’omessa adozione di un provvedimento amministrativo non costituisce comportamento materiale, ma illegittima condotta istituzionale (peraltro al sindaco risultano imputate anche condotte di carattere commissivo sotto il profilo delle notizie imprudentemente rassicuranti fornite durante l’emergenza in corso)” prosegue la Siprema Corte.

“L’attribuzione del potere illegittimamente non esercitato è criterio di responsabilità dell’autorità rimasta inerte, per cui non esercitare il potere non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato – va a concludere la Cassazione – Costituendo manifestazione di attività istituzionale anche l’omesso esercizio di potestà pubblica, la responsabilità del Comune nel caso di specie ha carattere diretto ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per cui, alla stregua dell’assunto del giudice di merito, secondo cui il regresso ai sensi del secondo comma dell’art. 2055 può essere esercitato solo nei confronti del responsabile diretto, ben può essere proposta l’azione dalle Amministrazioni statali ricorrenti”.

La Suprema Corte enuncia così il principio di diritto finale: “sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione, tale da far reputare sussistente l’immedesimazione organica con quest’ultima, non solo in presenza di formale provvedimento amministrativo, ma anche quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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