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Il danno parentale per la morte del coniuge va liquidato anche in base allo stato degli effettivi rapporti tra i due.

Sulla base di questo principio la Cassazione, con la sentenza 9010/22 depositata il 21 marzo 2022, che farà certamente discutere in alcune sue parti, ha accolto il ricorso di un’azienda sanitaria riducendo di fatto il risarcimento stabilito dai giudici di merito a favore della vedova per il decesso del marito dovuto a malpractice medica, sulla scorta della constatazione che questi aveva da tempo una relazione extraconiugale e risiedeva altrove e che la moglie si era subito rifatta una vita con un altro compagno, da cui aveva anche avuto un figlio.

In primo e secondo grado risarcita la moglie di un uomo deceduto per malpractice medica

La donna aveva citato in causa l’Asl chiedendo il risarcimento per la perdita del marito a causa di trattamenti sanitari inadeguati. Il tribunale di Milano, comprovata la responsabilità dei medici, aveva accolto la domanda risarcitoria condannando l’Azienda a liquidarle una somma di oltre 280mila euro, decisione sostanzialmente confermata anche in secondo grado: la Corte d’appello meneghina aveva soltanto lievemente ridotto l’importo da corrispondere determinato in 264mila euro.

L’Asl ricorre per Cassazione sull’an e il quantum

L’azienda sanitaria ha quindi proposto ricorso anche per Cassazione con due motivi. Il primo relativo all’an è stato rigettato: la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici territoriali circa le responsabilità sanitarie nella morte del paziente. E’ stata invece accolta la doglianza sul “quantum”, ossia per la determinazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale riconosciuta alla moglie in conseguenza del decesso del coniuge.

Al riguardo, spiegano gli Ermellini, nel caso in cui si tratti di congiunti apparte­nenti alla cosiddetta famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle) “la perdita di effettivi rapporti di reciproco af­fetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo “nucleo familiare minimo“, nell’ambito del quale l’effettività di detti rapporti co­stituisce tuttora la regola, nell’attuale società, fatta salva la prova contraria da parte del convenuto”, la quale  a sua volta può essere fornita sul­la base di elementi presuntivi, “tali da far venir meno la pre­sunzione di fatto derivante dall’esistenza del mero legame co­niugale o parentale (nel qual caso sarà onere del danneggiato dimostrare l’esistenza del suddetto vincolo in concreto, sulla base di precisi elementi di fatto), ovvero, quanto meno, da at­tenuarla considerevolmente: nel qual caso delle relative circo­stanze dovrà tenersi conto ai fini della liquidazione dell’importo del risarcimento, che dovrà essere inferiore a quello riconosciuto nei casi “ordinari”, come eventualmente previsto su base tabellare”.

 

Gli elementi “spia” di una attenuazione o perdita degli effettivi legami effettivi

Quali sono questi elementi idonei a far ritenere attenuata ovvero addirittura superata la presunzione di perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il coniuge defunto sotto il profilo dinamico-relazionale? La Cassazione cita la separa­zione, legale e/o di fatto, tra i coniugi stessi, “ferma restando sempre la possibilità per il coniuge superstite di dimostrare la sussistenza di un vincolo affettivo particolar­mente intenso nonostante la separazione”, o l’assenza di convivenza, “la quale – chiariscono gli Ermellini -, benché non costituisca, in generale, connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale, è cer­tamente rilevante almeno ai fini della determinazione del quantum debeatur”.

Naturalmente, precisano altresì i giudici del Palazzaccio, in tutti questi casi, “i vari (anche contrapposti) elementi presuntivi, cioè tutti gli indizi, di vario segno, relativi all’esistenza/inesistenza ed all’intensità del vincolo affettivo reciso dal fatto illecito (con le sue relative conseguenze, spe­cie sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggia­to) devono essere sempre oggetto di una valutazione unitaria e complessiva da parte del giudice del merito che deve tener conto della gravità, della preci­sione e della concordanza del complesso degli elementi indi­ziari a sua disposizione”.

Nel caso di specie la Corte di merito non ha valutato questi elementi nel complesso

Ed è appunto quello che l’azienda sanitaria imputava alla Corte territoriale, di non aver cioè compiuto questa “complessiva valutazione” in conformità al disposto normativo, valutando in realtà in modo “atomistico” una serie di circostanze di fatto pacificamen­te emerse all’esito dell’istruzione probatoria, e finendo così per negare il dovuto valore all’evidente concordanza di alcune di esse, che deponevano in senso contrario all’effettività e/o, quanto meno, all’intensità del vincolo tra i coniugi.

 

Il marito defunto aveva una relazione extraconiugale e non conviveva più con la moglie

Censure che, secondo la Cassazione, colgono nel segno. In particolare, gli Ermellini osservano che la Corte di appello “non ha adeguatamente tenuto conto, in primo luogo, del fatto che i termini dell’effettiva convivenza tra i coniugi sono rimasti quanto me­no incerti”: la vedova, infatti, sentita dal giudice, non era stata in grado di indicare precisamente, nel corso del giudizio, l’effettivo indirizzo della residenza coniugale, e la sua presunta coabitazione con il marito deceduto era stata affermata solo da una deposizione testimoniale assai generica, dato che neanche la teste aveva saputo indicare l’indirizzo preciso del luogo in cui i coniugi avrebbero convissuto, ma aveva fatto solo riferimento a una generica zona di Milano. “L’incertezza in ordine ai concreti termini della convivenza dei coniugi costituisce un indizio che depone in senso contrario all’intensità del vincolo relazionale reciso dal fatto illecito e che la corte territoriale avrebbe dovuto considerare in tal sen­so” prosegue la Cassazione, anche perché, sottolineano i giudici del Palazzaccio, tale indizio era concordante con quello, “certamente a sua volta grave e preciso”, della pacifica esistenzadi una stabile relazione extraconiugale, di tipo omosessuale, intrattenuta dal marito al di fuori del matrimonio, che a sua volta atte­sta quanto meno un certo “affievolimento” della saldezza del rapporto coniugale.

Nello stesso senso, poi, in quanto “certamente rilevante ai fini della valutazione dell’aspetto dinamico e relazionale della vita dell’attrice su cui ha inciso il fatto illecito”, la Corte d’appello secondo la Cassazione, avrebbe dovuto considerare la circostanza, “anch’essa pacifica”, che, a breve distanza dal decesso del coniuge, “la vedova aveva già ricostruito uno stabile rapporto sentimentale e di comunanza di vita con un altro uomo, con il quale, dopo non più di tre anni dalla perdita del primo marito, risultava già convivere, dopo aver generato in precedenza un figlio”.

 

Trascurate dai giudici di merito le circostanze indizio del venire meno del legame tra i coniugi

Tutte queste circostanze di fatto, “costituenti indizi gravi, precisi e concordanti in ordine, se non alla stessa insussisten­za, quanto meno a una minore intensità (rispetto all’ordinario) del concreto vincolo affettivo esistente tra la moglie ed il coniuge vittima del fatto illecito”, non sono stati adeguatamente valutati dalla corte territoriale, prosegue la Suprema Corte, “in modo com­plessivo ed unitario, come sarebbe stato necessario, ai fini del riconoscimento e, comunque, ai fini della liquidazione del ri­sarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in fa­vore della moglie, quanto meno sotto l’aspetto dinamico­ relazionale (fermo restando il danno relativo all’aspetto della sofferenza morale soggettiva conseguente all’evento luttuoso, questione che peraltro non risulta oggetto di specifiche censu­re nel ricorso)”.

Per la liquidazione peraltro erano state applicate le tabelle milanesi con valori alti

Gli Ermellini osservano poi che la la liqui­dazione era avvenuta mediante l’applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano nel 2018, caratterizzate, per quanto ri­guarda la perdita del rapporto parentale, “dall’individuazione di un importo minimo e di un “tetto” massimo, con un intervallo molto ampio tra l’uno e l’altro, senza utilizzazione della tecni­ca cosiddetta “del punto”, nonché dalla commistione dell’aspetto di­namico-relazione conseguente all’illecito e di quello relativo al­ la sofferenza interiore (danno morale)”.

Ai fini della determinazione dell’importo del risarcimento nell’ambito dell’ampio intervallo tra il valore tabellare “minimo” e “massimo”, la Corte d’appello aveva inoltre conside­rato, in concreto, una serie di circostanze di fatto espressa­mente indicate e relative tanto all’aspetto dinamico-relazione quanto a quello della sofferenza interiore derivanti dal fatto il­ lecito: in particolare, la giovane età della coppia, la particolare intensità del dolore e la lunghezza del periodo dell’agonia sofferta dalla vittima, la sofferenza che necessariamente accom­pagna lo sgretolarsi di un progetto di vita migliore in un Paese straniero, il lasso di tempo che presumibilmente i due coniugi avrebbero trascorso insieme, i benefici relazionali fatalmente perduti, le legittime aspettative di assistenza reciproca defini­tivamente venute meno.

Il tutto, però, “senza alcuna considerazione delle altre circostanze, deponenti in senso contrario. Anche sotto tale profilo, dunque, la liquidazione del risarci­mento dovuto non può ritenersi effettuata in modo conforme a diritto.

 

I principi di diritto di cui dovrà tenere conto il giudice del rinvio

La decisione impugnata è stata pertanto cassata affinché, in sede di rinvio, “la Corte d’appello rivaluti la fattispecie, te­nendo adeguatamente conto di tutto il complesso degli ele­menti indiziari a sua disposizione, sia (e in primo luogo) ai fini del riconoscimento o meno dell’esistenza di un effettivo danno da perdita del rapporto coniugale in favore della moglie (quanto meno sotto l’aspetto dinamico e relazionale), sia, eventualmente (cioè laddove sia riconosciuto il diritto ad un risarcimento per la perdita di tale rapporto coniugale), ai fini della concreta liquidazione dell’importo del conseguente risarcimento, che dovrà comunque avvenire in applicazione dei criteri precisati nella più recente giurisprudenza di questa stessa Corte”.

Criteri che nella circostanza la Cassazione ribadisce: “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni “vul­nus” arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va  valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in as­senza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risar­cibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche”.

E, ancora: in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso con­creto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preve­da, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valo­re medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo fi­nale dei correttivi in ragione della particolarità della situazio­ne, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendo­ne adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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