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La quantificazione del danno morale conseguente ad un grave incidente stradale non può essere rapportata, in via riduttiva, alla scarsa durata della sofferenza in quanto è sopraggiunta la morte precoce della vittima. Il danno, infatti, si realizza al momento dell’evento e dunque, diversamente dal danno biologico, gli accadimenti successivi non rilevano in alcun modo nella sua determinazione.

E’ una sentenza di estremo rilievo quella, la n. 12060/22, depositata il 13 aprile 2022 dalla Corte di Cassazione accogliendo il ricorso, contro la compagnia di assicurazione, dei familiari di un uomo deceduto (in corso di causa) a seguito, per l’appunto, di un sinistro stradale.

La Corte d’Appello liquida il danno morale sulla base della sopravvivenza della vittima

Con l’occasione la sesta sezione civile della Suprema Corte ha anche statuito un principio di diritto secondo il quale “la liquidazione del danno morale, quale sofferenza interiore patita dalla vittima dell’illecito, deve effettuarsi con riferimento al momento dell’evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso“.

La Corte di appello, in sede di rinvio dopo che già la Cassazione aveva emesso una prima pronuncia sulla vicenda, aveva ritenuto congrua la somma di 40mila euro liquidati complessivamente a favore della vittima a titolo di danno biologico e morale, assumendo come riferimento la sua sopravvivenza ‘effettiva” dopo il sinistro, e non già l’aspettativa di vita del medesimo.

Gli eredi hanno presentato quindi un nuovo ricorso per Cassazione lamentando la violazione dell’articolo 2059 del codice civile e, più precisamente, l’avvenuta liquidazione del danno non patrimoniale in dispregio del carattere istantaneo del medesimo.

Motivo di doglianza che è stato accolto dagli Ermellini. I quali hanno chiarito che il principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente già pronunciata sul caso (Cass. 24075/2017) andava sì nel senso che il giudice di merito, in sede di rinvio, dovesse valutare, ai fini della personalizzazione del danno morale, “intensità e durata della sofferenza psichica“, ma era fuori di dubbio che questa “durata” andasse accertata sulla scorta della giurisprudenza di legittimità.

 

Il danno morale si verifica quando l’evento accade, gli accadimenti seguenti non rilevano

Pertanto, avrebbe dovuto trovare applicazione il principio secondo cui “il danno patrimoniale quale sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, si verifica nel momento stesso in cui questo evento dannoso si realizza“, e ciò “pur dovendosi tener conto della natura istantanea o permanente dell’illecito o della sua reiterazione“: ragion per cui “la liquidazione del danno deve far riferimento al momento dell’evento dannoso ed alle caratteristiche indicate, mentre non vi incidono fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso“.

In questo senso, proseguono i giudici del Palazzaccio, non sono pertanto conferenti i precedenti citati dall’assicurazione, tutti relativi al danno cosiddetto “biologico”, per il quale, nell’ipotesi di decesso del danneggiato in corso di causa, l’ammontare del risarcimento va invece parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato.

Rispetto al danno alla salute, dunque, la voce di danno morale mantiene la sua autonomia non essendo in esso “conglobabile”. Il danno morale perciò, tira le fila del discorso la Cassazione, “deve liquidarsi secondo un attendibile criterio logico-presuntivo che si fonda sulla “corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva“, poiché “tanto più grave risulterà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa“.

In conclusione, asserisce la Suprema Corte, che ha nuovamente cassato la sentenza impugnata con ulteriore rinvio, il riferimento alla “durata” della sofferenza – contenuto nella prima pronuncia rescindente della stessa Cassazione, alla quale aveva fatto seguito quella rescissoria adottata dal giudice del rinvio, ed oggetto dell’ultima impugnazione oggetto di causa – non doveva intendersi come correlata alla permanenza in vita del danneggiato, ma quale parametro dell’intensità, e cioè dei termini nei quali la sofferenza è rimasta permanente nel tempo o ha subito evoluzioni, essendosi, per vero, escluso, da parte di questa Corte, non solo “che il valore della integrità morale possa stimarsi in una mera quota minore del danno alla salute, ma anche di potersi fare ricorso a meccanismi semplificativi di tipo automatico.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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