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L’accertamento del danno alla persona non può che avvenire con i criteri medico-legali fissati da una secolare tradizione: vale a dire, l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali: “criteri che sono fungibili ed alternativi tra loro, e non già cumulativi”.

La Corte di Cassazione è tornata su una questione spesso controversa con una sentenza, la n. 26242/19 depositata il 16 ottobre 2019, che, pur respingendo nel caso specifico le pretese del ricorrente, ribadisce con forza il principio che i cosiddetti esami strumentali, ossia le radiografie, la cui assenza viene spesso addotta dalle compagnie di assicurazione per denegare il risarcimento, non sono l’unico criterio degli accertamenti medico-legali richiesti dalla norma per determinare l’esistenza delle microlesioni, come i colpi di frusta.

 

Un terzo trasportato chiede i danni

Il caso. Il passeggero di un veicolo aveva citato in causa il conducente e proprietario e la compagnia di assicurazione della vettura, Generali, avanti il giudice di Pace di Afragola, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un tamponamento da parte di un mezzo rimasto non identificato in quanto allontanatosi dopo l’impatto.

Il giudice autorizzò la chiamata in causa di Generali (che già vi era parte in quanto assicuratore del vettore) nella veste anche di impresa regionalmente designata dal Fondo di garanzia vittime della strada e accolse la domanda, ma ritenne che il danno patito dal terzo trasportato fosse consistito unicamente in due giorni di invalidità temporanea, pregiudizio che liquidò nella somma di cento curo.

Il passeggero quindi appellò la sentenza avanti il Tribunale di Napoli Nord, che però, con sentenza del 6 marzo 2017, rigettò il gravame, asserendo che era impossibile liquidare il danno lamentato dal ricorrente poiché le lesioni che questi dichiarava di avere sofferto “non erano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”, ai sensi dell’articolo 32, comma 3 quater, del d.l. 24.1.2012 n. 1 (convertito dalla 1. 24.3.2012 n. 27). 5

 

Il ricorso per Cassazione

Il terzo trasportato tuttavia ha ricorso anche per Cassazione, basandosi du due motivi.

Con il primo, in particolare, ha invocato il vizio di cui all’articolo 360, n. 3, c.p.c. e la violazione degli articoli 32 della costituzione e 2043 c.c. , sostenendo che Tribunale avrebbe deciso la causa applicando norme costituzionalmente illegittime, e cioè l’art. 32, commi ter e quater, del d.l. 24.1.2012 n. 1.

Tali norme, infatti, a suo dire, impedirebbero il risarcimento del danno permanente alla salute causato da sinistri stradali, se di lieve entità e non suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”.

Per il ricorrente, queste previsioni sacrificherebbero in modo ingiustificato il diritto alla salute delle vittime di sinistri stradali, impedendo il risarcimento dei numerosi pregiudizi permanenti non strumentalmente riscontrabili, e creerebbero ingiustificate disparità di trattamento nell’ipotesi in cui la vittima decidesse di domandare il risarcimento solo al responsabile civile, e non anche al proprio assicuratore.

Di qui il suo sollecito alla Cassazione a sollevare nuovamente un incidente di costituzionalità, per quanto la Corte Costituzionale abbia già dichiarato infondata la questione di legittimità.

 

L’accertamento del danno biologico

Secondo la Suprema Corte tuttavia il motivo è tanto inammissibile, quanto infondato, innanzitutto perché esso “prescinde dall’effettivo contenuto e dall’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata”.

I giudici del Palazzaccio, infatti, precisano che il Tribunale di Napoli Nord non ha rigettato la domanda ritenendo che l’appellante un danno alla salute l’avesse patito, ma che tale danno non fosse risarcibile perché non attestato da alcun esame strumentale.

“La sentenza ha, invece, rigettato la domanda perché ha ritenuto che un danno permanente alla salute non sussistesse affatto”, condividendo l’opinione del consulente tecnico (nominato dal Giudice di pace), secondo cui era “impossibile” determinare l’esistenza di postumi permanenti”.

Pertanto, osserva la Cassazione, a fronte di questa affermazione, il richiamo compiuto dal Tribunale all’art. 32, comma 3 quater, del d.l. 1/12, appare “ultroneo ed irrilevante nella motivazione della sentenza impugnata. Infatti un danno di cui sia impossibile stabilire non già il suo esatto ammontare, ma la sua stessa esistenza, non è nemmeno un danno in senso giuridico”.

 

L’art. 32 del d.l. 1/12 non è incostituzionale

Il Collegio, tuttavia, coglie l’occasione per chiarire che il discusso art. 32, comma 3 ter, d.l. 1/12 “non presenta profili di illegittimità costituzionale (…). Esso infatti non è né una norma che pone limiti ai mezzi di prova (essa non impedisce, dunque, di dimostrare l’esistenza d’un danno alla salute con fonti di prova diversi dai referti di esami strumentali), né una norma che pone limiti alla risarcibilità del danno (essa non impone, dunque, di lasciare senza ristoro i danni che non attingessero una soglia minima di gravità)”.

“L’art. 32 d.l. – prosegue la Suprema Corte – è semplicemente una norma che ribadisce un principio già insito nel sistema, e cioè che il risarcimento di qualsiasi danno (e non solo di quello alla salute) presuppone che chi lo invochi ne dia una dimostrazione ragionevole; e che, per contro, non è nemmeno pensabile che possa pretendersi il risarcimento di danni semplicemente ipotizzati, temuti, eventuali, supposti, possibili ma non probabili”.

 

Il danno va accertato con criteri medico legali

Dal punto di vista letterale ed etimologico, i giudici del Palazzaccio ricordano come la legge definisca “danno biologico” solo quello “suscettibile di accertamento medico legale”, e accertare “è verbo deriva etimologicamente dal latino medioevale accertare, deverbativo di certus: esso esprime il concetto di “certificare”, cioè rendere sicuro, riconoscere per vero, verificare”.

Pertanto, definire la categoria del danno biologico come quello “suscettibile di accertamento medico legale” vuol dire che per “predicarsi l’esistenza stessa (e non la mera risarcibilità) di tale pregiudizio occorre che esso sia dimostrabile non già sulla base di mere intuizioni, illazioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia accertativa medico-legale”. La quale non si limita a considerare solo la storia clinica documentata della vittima, ma essa “ricorre altresì all’analisi della vis lesiva, della sintomatologia, all’esame obiettivo, alla statistica clinica”.

In altri termini, un corretto accertamento medico-legale potrebbe pervenire a “negare l’esistenza d’un danno permanente alla salute (o della sua derivazione causale dal fatto illecito) anche in presenza di esami strumentali dall’esito positivo; così come, all’opposto, ben potrebbe pervenire ad ammettere l’esistenza d’un danno permanente alla salute anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza del danno e della sua genesi causale”.

Non è un mistero che il d.l. 1/12 sia stato adottato al dichiarato di scopo di rilanciare l’economia, favorire la concorrenza e, in quest’ottica, di contrastare anche le truffe assicurative, in primis quelle legate alla sinistrosità stradale, per ridurre i costi degli indennizzi e, di conseguenza, favorire l’abbassamento dei premi.

Secondo la Suprema Corte, è quindi coerente con tale fine “interpretare l’art. 32 d.l. cit. nel senso che esso abbia inteso contrastare non solo le truffe assicurative, ma anche la semplice negligenza colposa, la benevola tolleranza o il superficiale lassismo nell’accertamento dei microdanni”.

 

La riaffermazione dei principi

Ma a questo punto, tirando le fila del discorso, gli Ermellini ribadiscono alcuni principi fondamentali per i danneggiati: l’art. 32 “non è una norma di tipo precettivo, ma una di quelle che la dottrina definisce “norme in senso lato” (cioè prive di comandi o divieti, ma funzionalmente connesse a comandi o divieti contenuti in altre norme); questa norma va intesa nel senso che l’accertamento del danno alla persona non può che avvenire coi criteri medico-legali fissati da una secolare tradizione, e pertanto l’esame obiettivo (criterio visivo); l’esame clinico; gli esami strumentali”.

Criteri che, puntualizza bene la Cassazione, “sono fungibili ed alternativi tra loro, e non già cumulativi. L’art. 32, commi 3 ter e 3 quater d.l. 1/12, in definitiva, non fa altro che ribadire un principio immanente nell’ordinamento: quello secondo cui l’accertamento dei microdanni alla salute causati da sinistri stradali debba avvenire con l’applicazione rigorosa dei criteri insegnati dalla medicina legale, rifuggendo tanto dalle appercezioni intuitive del medico-legale, quanto dalle mere dichiarazioni soggettive della vittima”.

La disposizione, pertanto, ribadiscono i giudici del Palazzaccio, non contrasta con l’art. 32 della Costituzione, perché non limita la risarcibilità del danno alla salute, né pone limiti alla prova di esso, ma si limita “a richiamare il rispetto dei propri doveri di zelo solerte da parte di quanti (medici legali di parte e d’ufficio, avvocati, magistrati) siano chiamati a stimare e liquidare il danno alla salute”.

 

Respinto anche il secondo motivo di ricorso

Tornando al caso di specie, quindi, secondo la Cassazione delle due una: se si interpreta la sentenza impugnata nel senso che il Tribunale ha rigettato la domanda per avere ritenuto “impossibile” l’accertamento in corpore dell’effettiva sussistenza di danni alla salute patiti dal terzo trasportato, il primo motivo di ricorso è inammissibile perché denuncia di illegittimità costituzionale una norma della quale il Tribunale non doveva fare applicazione, giacché qualunque danno è irrisarcibile, se sia impossibile dimostrarne l’esistenza; se invece si interpretasse la sentenza nel senso che il Tribunale ha rigettato la domanda per avere ritenuto sussistente il danno, ma irrisarcibile a causa della mancanza di esami strumentali, il motivo sarebbe del pari inammissibile, “poiché la lettera e la ratio dell’art. 32 d.l. 1/12 non impongono affatto tale interpretazione. Il vizio, dunque, starebbe in tal caso nella decisione d’appello e non nella incostituzionalità della norma applicata”.

Per dovere di cronaca, la Cassazione ha rigettato anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente, tra le altre cose, sosteneva l’esistenza di un esame radiografico, “che costituiva riscontro obiettivo delle lesioni patite”, e osservava che il consulente tecnico nominato dal giudice aveva accertato come egli lamentasse algie al collo, postumi congrui con le modalità di produzione dell’evento traumatico come riferite.

Decisivo il fatto che il passeggero non abbia tuttavia allegato alcun documento in tal senso al ricorso.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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