Dei danni causati a terzi da cani randagi deve rispondere il soggetto deputato a catturarli, in genere l’Azienda Sanitaria attraverso il proprio servizio Veterinario. Punto.
Non rileva che prima del fatto in questione non siano arrivate segnalazioni all’ente preposto circa la presenza di cani vaganti non tatuati, per il semplice fatto che i controlli e gli interventi non vanno effettuati ex post ma sono un obbligo di legge.
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Le responsabilità per i danni prodotti dal fenomeno del randagismo
E’ passata forse sotto traccia, ma la sentenza n. 38020/2021 depositata dalla Cassazione il 2 dicembre 2021 introduce un chiarimento fondamentale per i danneggiati nei casi, anche tragici, di incidenti stradali o danni in generale causati dal fenomeno del randagismo, sgravandoli dell’onere, immotivatamente richiesto loro da diversi tribunali, di provare che precedentemente altri avessero segnalato il problema in quella data zona per dimostrare l’omessa custodia del soggetto a cui si domanda il risarcimento. Una richiesta che non ha alcuna ragione d’essere.
Un allevatore chiede i danni ad Asl e Comune per le sue pecore aggredite da cani randagi
Il caso di cui si è occupato la Suprema Corte non è un sinistro stradale ma quello di un pastore, o comunque un allevatore calabrese, a cui dei cani randagi avevano aggredito e sbranato svariati capi del suo gregge di pecore. L’uomo aveva citato in giudizio per essere risarcito il Comune di Melissa, nel cui territorio era successo il fatto, e l’Azienda Sanitaria provinciale crotonese, entrambe condannate in solido a rifondergli i danni. L’Asl tuttavia aveva appellato la sentenza e il tribunale di Crotone, quale giudice di secondo grado, con pronunciamento del 2019, in parziale riforma della decisione di prime cure, accogliendo il gravame aveva ritenuto responsabile il solo Comune di Melissa.
I giudici territoriali nella sentenza avevano sostenuto che, sulla base della disciplina legislativa della Regione Calabria, all’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone non spettasse alcuna incombenza di sorveglianza preventiva della fonte di pericolo costituita dai cani randagi, essendole rimesso il solo compito di procedere a interventi di cattura provocati da segnalazioni o richieste specifiche, con la conseguente mancata dimostrazione, da parte del danneggiato, dei presupposti per l’accertamento della responsabilità dell’azienda sanitaria in relazione ai danni subiti, non essendo stato in grado il proprietario delle pecore di provare che il servizio avesse ricevuto altre segnalazioni in merito alla presenza di cani vaganti.
Il danneggiato ha quindi proposto ricorso per Cassazione censurando la sentenza impugnata che, a suo dire, aveva erroneamente escluso la responsabilità dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone, contravvenendo all’espresso dettato legislativo della Regione Calabria (la legge regionale n. 41/1990, con successive modifiche), che individuava per l’appunto nell’Asl l’ente preposto alla cattura e alla custodia dei cani vaganti, individuati dalla giurisprudenza di legittimità quali attività espressive della riferibilità soggettiva del dovere di protezione funzionale alla prevenzione dei danni provocati, a carico della collettività, dal fenomeno del randagismo.
Per la Suprema Corte la doglianza è manifestamente fondata. “La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi – premettono gli Ermellini – spetta esclusivamente all’ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l’attribuzione di altri generici compiti di prevenzione del randagismo”
Nel caso di specie, come detto, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 12 della legge della Regione Calabria n. 41/1990, “i cani vaganti non tatuati – per citare la norma – devono essere catturati dal Servizio Veterinario competente per territorio, il quale, tramite la sua Unità operativa, adempie agli obblighi previsti dalla presente legge”.
L’attività di cattura non va esercitata unicamente ex-post a seguito di richieste
Questa specifica attività, quella cioè consistente nella cattura dei cani randagi, “è per sua natura espressiva di incombenze legate alla generale prevenzione dei pericoli per l’incolumità della popolazione e del territorio derivabili dal fenomeno del randagismo, che solo arbitrariamente il giudice a quo ha configurato quale forma di controllo da esercitare unicamente “ex post” a seguito di segnalazioni ovvero di specifiche richieste di intervento” asserisce la Suprema Corte -: una interpretazione, quest’ultima, fatta propria dal giudice d’appello “in assenza di alcun indice positivo o alcun criterio di stretta congruità logica idoneo a giustificarla”.
Azienda Sanitaria è civilmente responsabile dei danni indipendentemente dalle segnalazioni
Pertanto, preso atto della spettanza della responsabilità per i danni derivanti da randagismo a carico degli enti cui la legge regionale attribuisce compiti di cattura (e conseguente custodia) di cani randagi, e accertata l’attribuzione, da parte della legislazione regionale calabrese, al Servizio Veterinario competente per territorio dei compiti di cattura dei cani randagi, “dev’essere conseguentemente rilevata l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone per non avere l’attore fornito la dimostrazione di alcuna previa segnalazione o di specifiche richieste di intervento inoltrate alla medesima azienda, dovendo ritenersi quest’ultima civilmente responsabile dei danni causati dai cani randagi a terzi nella sua qualità di ente titolare del servizio veterinario territoriale” va a concludere la Cassazione. E questo, torna a ribadire, “indipendentemente dalla previa ricezione di qualsivoglia segnalazione o richiesta di intervento”.
La sentenza contestata è stata quindi cassata con rinvio al Tribunale di Crotone, in persona di altro magistrato, per la ridefinizione della causa.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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